Newsletter No 5 – 21/12/2015

“Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

Indice:

  1. La resistenza degli ulivi
  2. La Palestina al Forum “Med 2015 – Rome Mediterranean Dialogues”
  3. La Giornata Mondiale per i Diritti dell’Uomo ha trovato i palestinesi in condizioni disastrose
  4. La Corte Penale Internazionale va in Palestina

I – La resistenza degli ulivi

E’ di questi giorni la notizia che le forze di occupazione israeliane hanno raso al suolo i terreni agricoli e sradicato gli ulivi del villaggio di Shufa, in Cisgiordania. Almeno 10 veicoli dell’esercito scortavano 4 ruspe che hanno distrutto quasi 3 ettari di terreno, sradicando circa 200 alberi di ulivi e di agrumi, che sono stati trasportati altrove. E’ stata gravemente danneggiata anche una grande serra.

Come spesso avviene, anche stavolta l’esercito ha giustificato l’azione sostenendo che i terreni appartenessero allo Stato d’Israele, ma ha comunque impedito che i giornalisti riportassero la notizia.

Questa è infatti trapelata da un attivista palestinese impegnato a contrastare gli insediamenti, che ha riferito come i militari fossero a loro volta accompagnati da un folto gruppo di coloni. La pretesa di entrambi era che si trattasse di terreni abbandonati, quando invece i legittimi proprietari erano lì a dimostrare, documenti alla mano, che la terra apparteneva a loro. Le olive e l’olio d’oliva sono fondamentali nella storia, nell’economia e nella cultura dei palestinesi. Gli alberi di ulivo simboleggiano la determinazione palestinese e sono molto apprezzati per la loro capacità di prosperare e diramare le radici nella profondità di una terra dove l’acqua scarseggia. Molti ulivi sono secolari, eppure continuano a produrre olive. Simbolo internazionale di pace, gli ulivi sono uno dei bersagli preferiti dai soldati e dai coloni. Si direbbe che il loro sradicamento sia diventato uno strumento di dissuasione per rendere la vita impossibile ai palestinesi e convincerli ad abbandonare la loro terra. Ma i palestinesi sono ancora più resistenti e determinati dei loro ulivi.

L’impatto dell’occupazione israeliana, degli insediamenti e del Muro sugli ulivi, sulla raccolta di olive e sulla società palestinese si può riassumere così: gli ulivi e le olive costituiscono da sempre la principale fonte di sostentamento del popolo palestinese. I palestinesi piantano ogni anno in Cisgiordania circa 10.000 nuovi alberi di ulivo, per lo più da olio. L’olio è il secondo prodotto di esportazione della Palestina. Ad oggi circa il 48% del terreno agricolo (soprattutto in Cisgiordania) è coltivato a ulivo. Per costruire il Muro di Separazione e le infrastrutture per gli insediamenti esclusivamente israeliani, le ruspe hanno sradicato finora più di 800.000 alberi d’ulivo mettendo a rischio la sopravvivenza di 80.000 famiglie. Ciò equivarrebbe a dissodare l’intero Central Park per ben 33 volte.  Il Muro separa puntualmente i palestinesi dai loro ulivi, cosicché i coltivatori sono costretti a chiedere un permesso alle autorità israeliane per lavorare la propria terra e raccogliere le proprie olive. Incredibilmente, il 42% delle richieste ha esito negativo. Ma perfino i permessi concessi vengono ottenuti con un tale ritardo che spesso la stagione della raccolta (per non parlare di quella della coltivazione) è già finita o agli sgoccioli, costringendo i proprietari a dei ritmi impossibili da sopportare. Se tutto ciò non bastasse, durante la raccolta i coltivatori subiscono costanti attacchi da parte dei coloni israeliani, che danneggiano volutamente le coltivazioni e perseguitano letteralmente i coltivatori, sparando non solo in aria. La giustificazione teorica fornita da un comandante delle forze israeliane raggiunge il colmo dell’audacia. Secondo il colonnello Eitan Abrahams, infatti, gli alberi di ulivo verrebbero sradicati per impedire ai palestinesi di nascondersi quando tirano le pietre, preservando così l’incolumità dei coloni, “perché nessuno può venirmi a dire che un albero di ulivo è più importante di una vita umana”. In realtà, sono i palestinesi ad aver bisogno di essere protetti. Per questo si è mobilitato già da qualche anno un accompagnamento internazionale nonviolento alla raccolta delle olive organizzato dal Servizio Civile Internazionale, AssopacePalestina e Un Ponte Per. E per questo il Presidente Abu Mazen ha voluto ricordare gli ulivi palestinesi alla Conferenza dell’ONU sul Clima che si è appena tenuta Parigi.

Vedi:

https://www.middleeastmonitor.com/news/middle-east/22724-israeli-army-razes-agricultural-land-uproots-olive-trees-in-west-bank

http://www.wafa.ps/english/index.php?action=detail&id=30020

II – La Palestina al Forum “Med 2015 – Rome Mediterranean Dialogues”

Israele ha portato sull’orlo della totale delegittimazione politica l’attuale dirigenza moderata  dell’Autorità Nazionale Palestinese: lo ha denunciato il capo negoziatore palestinese e Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saed Erekat, venerdì 11 dicembre al Forum Med di Roma, un grande convegno volto a promuovere una nuova agenda per il Mediterraneo, “oltre i disordini”, affinché la regione cessi di essere percepita solo come sinonimo di crisi, pericolo e instabilità, ma torni ad essere teatro di opportunità. Erekat prevede un “futuro cupo”, se la comunità internazionale non arriverà, in extremis, ad imporre al premier Benjamin Netanyahu un accordo che preveda “due Stati nei confini” del 1967. “Ci sentiamo dei falliti – ha ammesso Erekat – perché abbiamo riconosciuto Israele e abbiamo promesso al nostro popolo che ciò avrebbe portato ad uno Stato palestinese; ma Israele continua a non volerci riconoscere e viviamo in un regime di occupazione e di apartheid: dai 200 mila coloni “illegali” del 2000 si è passati ai 600 mila di oggi. Se l’ANP verrà ulteriormente indebolita dall’atteggiamento di Israele, al nostro posto nei territori palestinesi arriverà l’estremismo dell’Isis e il conflitto, tenuto finora su binari politici, diventerà religioso: tra uno Stato ebraico e uno Stato islamico”. “Sarà il baratro”, profetizza Erekat.

Vedi:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2015/12/11/mo-anp-se-falliamo-israele-se-la-vedra-con-isis_7b851acb-2a91-44e4-bb10-5f31177af3ba.html

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/palestina/2015/12/11/mo-erekat-se-anp-fallisce-arrivera-il-buio-e-lisis_2c29b697-ddbc-452f-837d-9295cf006fd5.html

III – La Giornata Mondiale per i Diritti dell’Uomo ha trovato i palestinesi in condizioni disastrose    

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamava la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Per la prima volta nella storia dell’umanità, era stato prodotto un documento che riguardava tutte le persone del mondo, senza distinzioni. Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo. Eppure la Dichiarazione è ancora disattesa. Lo dimostrano i soprusi a cui viene sottoposto quotidianamente il popolo palestinese. Per questo, B’Tselem – il Centro di Informazioni Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati – ha deciso di celebrare l’anniversario della Dichiarazione che proclama come tutti abbiano diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, all’uguaglianza e alla dignità, pubblicando un video dove si dimostra e si ricorda che dall’altro lato della Linea Verde – una linea essenzialmente invisibile per gli israeliani risalente agli accordi d’armistizio del 1949  – i palestinesi che vivono in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e sulla striscia di Gaza sono privati dei loro diritti fondamentali. Ciò è particolarmente vero ad Hebron, dove l’escalation di arresti e di uccisioni a cui assistiamo in questi giorni non fa che mettere in risalto una situazione di ingiustizia permanente che si protrae da anni. La clip di B’Tselem è dedicata proprio a Hebron, una città oppressa dall’occupazione dell’esercito e dei coloni israeliani, dove nella migliore delle ipotesi può succedere che ai bambini venga impedito di andare a scuola.

Vedi:

http://www.btselem.org/video/20151210/hebron_human_rights_day

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=769271

 

IV – La Corte Penale Internazionale va in Palestina

Una delegazione della Corte Penale Internazionale andrà in Palestina nel mese di febbraio 2016 per visitare i territori occupati. Lo ha dichiarato Wasel Abu Yousef, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, il quale ha anticipato che la visita rientra nelle attività previste dall’esame preliminare in corso sui casi sollevati dalla leadership palestinese contro la condotta di Israele. Questi eventi sono la conseguenza dell’adesione della Palestina alla CPI, il 31 dicembre 2014, quando il Presidente Abu Mazen ha firmato lo Statuto di Roma, che definisce la giurisdizione e il funzionamento della Corte Penale Internazionale. In seguito, il 16 gennaio 2015, il Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, ha deciso di lanciare un esame preliminare sulla situazione in Palestina. Il 25 giugno scorso una delegazione guidata dal Ministro degli Esteri palestinese Riyad al Maliki si è recata all’Aja per presentare alla CPI una serie di documenti che denunciano le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e, dato che la Corte non può incriminare gli Stati, ma solo gli individui, prospettano l’incriminazione di dirigenti politici e militari israeliani di alto grado. La presentazione di questo documento seguiva di qualche giorno la pubblicazione di un rapporto delle Nazioni Unite sui crimini di guerra commessi sulla Striscia di Gaza durante l’estate 2014 ed era in risposta a una richiesta d’informazioni che era stata rivolta anche a Israele. Il governo di Israele ha sostenuto inutilmente (a maggior ragione da quando la Palestina è divenuta, con Risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale del 29 novembre 2012, “Stato osservatore non-membro” delle Nazioni Unite) che la CPI non può dare seguito a una denuncia palestinese perché la Palestina non è uno Stato.

Dopo un’introduzione di una trentina di pagine, il documento presentato dalla Palestina alla CPI è diviso in tre grandi categorie: gli insediamenti illegali di Israele, il trattamento dei detenuti palestinesi, e la guerra del 2014 nella Striscia di Gaza. Redatta da un comitato di 45 persone, tra cui ministri palestinesi, direttori di ONG, esperti di diritto internazionale, dirigenti delle forze di sicurezza e un rappresentante di Hamas, la denuncia riguarda numerosi casi per un periodo di tempo che va dal 13 giugno 2014 al 31 maggio 2015. Nel suo Rapporto annuale 2014 sulle indagini preliminari pubblicato lo scorso 12 novembre, il Procuratore Capo si impegna ad analizzare tutte le informazioni ricevute. Il viaggio in programma lascia ben sperare.

Vedi:

http://arabpress.eu/delegazione-della-cpi-in-palestina-a-febbraio/71302/

http://www.internazionale.it/notizie/2015/06/24/palestina-israele-corte-penale-internazionale

https://www.icc-https://www.icc-cpi.int/iccdocs/otp/OTP-PE-rep-2015-Eng.pdf

http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1251