Newsletter No 8 – 11/1/2016

La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina

Roma, Italia

No 8

“Chiediamo a tutti gli israeliani di ascoltarci e di capirci, perché siamo qui per restare nelle nostre case e sulla nostra terra”

Abu Mazen

Indice:

  1. Abu Mazen lancia un appello di pace
  2. L’accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina
  3. Numerare i palestinesi
  4. Uccidere i palestinesi
  5. Cacciare i palestinesi
  6. L’Ambasciatrice di Palestina a Otranto e a Pozzallo

I – Abu Mazen lancia un appello di pace

Il Presidente Mahmoud Abbas, in un discorso pronunciato nel palazzo presidenziale di Betlemme in occasione del Natale che, secondo il calendario orientale, cadeva il 6 gennaio, ha chiesto la convocazione di una conferenza internazionale per la pace volta a concretizzare l’Iniziativa Araba e a formare un gruppo capace di risolvere l’attuale crisi in Medioriente, perché è inaccettabile che la questione palestinese sia ancora irrisolta. “Vediamo che molte crisi – in Iran, Libia e Siria – vengono risolte prima della nostra che è la più antica di tutte”.

 “La soluzione è complessa e spinosa, può essere difficile arrivare ad una soluzione oggi o domani, ma dobbiamo restare fedeli ai nostri obiettivi, perché la Palestina è la nostra terra e noi dobbiamo proteggerla”.

Abbas ha poi aggiunto: “Continuiamo a porgere la nostra mano in segno di pace e per negoziati che portino alla ‘soluzione dei due Stati’. Rimarremo nella nostra terra e non permetteremo a Israele di costruire un regime dove vige l’Apartheid o un Paese con due diversi regimi”. “Vogliamo uno Stato pienamente sovrano – ha infatti insistito il Presidente palestinese – con gli stessi diritti che hanno gli altri Stati nel mondo. Nessuna cosa diversa da questa sarà accettata”. A proposito degli sforzi diplomatici dell’Autorità Palestinese, Abbas ha detto: “Continueremo a fare pressione sul Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – e questo non è un lusso – per garantire protezione internazionale al nostro popolo e interrompere le attività degli insediamenti”. Il Presidente ha infatti ricordato che gli insediamenti sono illegali dal 1967: “Questa è la nostra terra, i coloni dovranno tutti andarsene, come se ne sono andati da Gaza”.

Abbas ha anche smentito le voci circa il collasso dell’Autorità Palestinese, dicendo che è “una delle conquiste dei palestinesi e non sarà abbandonata. Nessuno se lo sogni”. L’Autorità Palestinese potrà essere seguita solo da uno Stato e non permetterà che la situazione resti com’è ancora per molto:

“Mentre i palestinesi sono impegnati su tutto, gli israeliani rifiutano di prendere qualsiasi impegno (…) Noi vogliamo due Stati; il nostro sarà basato sui confini del 1967 con Gerusalemme Est capitale”. Il Presidente ha chiarito e lanciato un appello: “Nonostante tutte le tragedie, non abbiamo altra scelta al di fuori della pace e dei negoziati. Chiediamo a tutti gli israeliani di ascoltarci e di capirci, perché siamo qui per restare nelle nostre case e sulla nostra terra”.

Infine, sull’unità nazionale, Abbas ha raccontato che in un recente incontro i ministri palestinesi hanno discusso la riconciliazione: “Da otto anni diciamo di volere una soluzione per Gaza, perché siamo un’entità sola”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=gOwS8fa28903786857agOwS8f

 

II – L’accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina

L’aspetto più interessante dell’accordo siglato lo scorso 26 giugno ed entrato in vigore il 2 gennaio sta nei firmatari: il Vaticano e lo Stato di Palestina.

In occasione della firma, Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e firmatario per la Santa Sede, aveva infatti sottolineato che  “il presente Accordo fa seguito all’Accordo base tra la Santa Sede e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), firmato il 15 febbraio 2000 […] ma “A differenza dell’Accordo appena menzionato, quello attuale viene firmato dalla Santa Sede con lo Stato di Palestina, e ciò come segno del cammino compiuto dall’Autorità Palestinese negli ultimi anni e soprattutto dell’approvazione internazionale culminata nella risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 29 novembre 2012, che ha riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite. Al riguardo spero che il presente Accordo possa in qualche modo costituire uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le Parti. Spero anche che l’auspicata soluzione dei due Stati divenga realtà quanto prima. Da parte sua, il Ministro degli Esteri Riad Al-Malki, firmatario per lo Stato di Palestina, aveva enfatizzato che “Per la prima volta l’Accordo include un riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte della Santa Sede, quale segno di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente libero dalle catene dell’occupazione. Esso appoggia anche la visione a favore della pace e della giustizia nella regione, conformemente con il diritto internazionale, sulla base di due Stati, che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza sulla base delle frontiere del 1967. (…) Ciò avviene in un momento nel quale l’estremismo, la violenza barbara e l’ignoranza minacciano il tessuto sociale e l’identità culturale della regione e sicuramente del patrimonio umano. In questo scenario lo Stato di Palestina reitera il proprio impegno a combattere l’estremismo e a promuovere la tolleranza, la libertà di coscienza e di religione e a salvaguardare nello stesso modo i diritti di tutti i suoi cittadini. Questi sono i valori e i principi che riflettono le convinzioni e le aspirazioni del popolo palestinese e della sua leadership e sono le basi sulle quali continuiamo a sforzarci di fondare il nostro Stato indipendente e democratico”.

A breve ci sarà l’inaugurazione in Vaticano di un’ambasciata dello Stato di Palestina, come annunciato da Riyad Al-Malki. Nei mesi scorsi Israele aveva già espresso “rincrescimento” per un’intesa che “danneggia le prospettive per un progresso dei negoziati di pace” tra israeliani e palestinesi, condannando “le decisioni unilaterali contenute nell’accordo”, e minacciando di voler studiare “le sue conseguenze sulla futura cooperazione con il Vaticano”. Adesso, il governo di Tel Aviv deve fare i conti con l’entrata in vigore di un documento ufficiale che ha valore giuridico.

Vedi:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/06/26/0511/01117.html

http://www.repubblica.it/vaticano/2016/01/02/news/entra_in_vigore_l_accordo_tra_santa_sede_e_stato_di_palestina-130513715/

http://www.corriere.it/cronache/16_gennaio_02/vaticano-entra-vigore-l-accordo-santa-sede-stato-palestina-b4e2f6f6-b15a-11e5-b083-4e1e773a98ad.shtml

 

III – Numerare i palestinesi

C’è ancora chi si indigna quando sente dire che i palestinesi vivono in regime di Apartheid. Chi si indigna non è stato ad Hebron; non ha visto i palestinesi percorrere terreni scoscesi paralleli a strade ben pavimentate dove camminano comodamente solo i coloni e l’esercito che li protegge; non sa che l’esercito israeliano ha appena introdotto un nuovo sistema di identificazione per 30.000 palestinesi residenti nella città di Hebron: vengono numerati, grandi e piccini.

La strada Al-Shuhada, cioè “dei Martiri “, una volta era vivace e attraversava il cuore della più grande

Città della Cisgiordania collegando il mercato all’aperto di Hebron alla Moschea di Ibrahim. I palestinesi giravano tra i negozi affollati e le fabbriche di vetro, vivendo negli appartamenti sopra ai negozi. Nel 1994, dopo la firma degli Accordi di Oslo, l’esercito israeliano ha chiuso le imprese e i negozi lungo questa strada; un decennio più tardi, alla fine della Seconda Intifada, ha fatto cessare le attività di produzione del vetro, vietando ai veicoli palestinesi di utilizzare la strada. Centinaia di persone sono state forzate a trasferirsi, mentre quelli che sono rimasti sono stati costretti a raggiungere le proprie case attraverso vicoli secondari. “Ai palestinesi è impedito di percorrere Al-Shuhada. Una parte di essa è proibita anche a piedi “, spiega Sarit Michaeli, portavoce del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem. “Tutta questa situazione è pensata per facilitare la presenza dei coloni israeliani. Si tratta della ‘politica di separazione’ adottata ufficialmente dal governo israeliano”.

L’area è infatti divenuta residenza di 600 coloni israeliani estremisti, ed è per questo un punto caldo. Negli ultimi mesi, i pochi palestinesi che vivono ancora su Al-Shuhada o nelle vicinanze, stanno sopportando una nuova serie di restrizioni imposte dall’esercito. Il 30 ottobre, l’esercito israeliano ha annunciato una nuova “zona militare chiusa”. Il risultato è sulla pelle dei cittadini palestinesi.  Per imporre la chiusura, infatti, l’esercito israeliano ha numerato i 30.000 palestinesi residenti nella zona H2, che comprende circa il 20% della città di Hebron includendo Al-Shuhada e una serie di insediamenti israeliani ed è sotto il controllo militare e civile israeliano secondo un protocollo del 1997. Il restante 80% della città, la zona H1, è sotto la giurisdizione dell’Autorità Palestinese ed è abitata da circa 200.000 palestinesi. Oltre a dover mostrare la propria di identità a ciascuno dei 17 posti di blocco interni alla città e ad essere sottoposti a controlli di sicurezza, i palestinesi devono ora dire a voce il proprio nuovo numero identificativo ogni volta che entrano ed escono dai blocchi che chiudono Al-Shuhada. L’esercito, infatti, non ha distribuito documenti cartacei con il numero di identificazione. Quando il soldato sente pronunciare il numero, controlla che sia sulla lista. “Chi non ha il numero viene mandato via o rinchiuso. L’esercito israeliano ha arrestato almeno 20 volontari internazionali che monitoravano la zona H2”, dice Sohaib Zahda, del gruppo di attivisti “Gioventù contro gli insediamenti” con sede a Hebron. Coloro che dimenticano il numero di identificazione o hanno scelto di non iscriversi sgattaiolano dentro e fuori l’area H2 attraverso i campi, facendo attenzione a non essere catturati. “Anche i bambini piccoli hanno un numero”, spiega Anas Murakatan, 27 anni, che vive in un appartamento nei pressi di un posto di blocco all’ingresso di Al-Shuhada. “Io sono il 58; mia moglie Fadwa, incinta, il 59, i miei figli il 60 e il 61. Quando la bambina sarà nata, avrà anche lei il suo numero.” Purtroppo, nessun parente potrà andare a trovarla.

Vedi:

https://desertpeace.wordpress.com/2015/12/22/numbering-palestinians/

https://www.facebook.com/younes.arar/videos/10154469406880760/

 

IV- Uccidere i palestinesi

Tra il 5 e il 7 gennaio sono stati uccisi 4 ragazzi di Sair, a Est di Hebron. Ahmed Youis Kawazba, di 17 anni, Muhanned ed Alaa Kawazba, di 18 anni, e Salem Kawazba, di 19 anni, erano cugini. Il bivio di Gush Etzion ha preso il nome di “incrocio della morte” per quanti palestinesi sono stati uccisi in questo posto dai proiettili delle forze di occupazione.

I militari isrealiani hanno poi continuato ad uccidere, nel corso delle manifestazioni di protesta seguite alla morte dei cugini Kawazba. Così, con il giovane Khalil Shalalda, di 16 anni, si è arrivati a 10 ragazzi di Saeer uccisi da ottobre.

La città di Sair è stata dichiarata un’altra volta “zona militare chiusa”, dopo che agli inizi di ottobre era già stato proibito di allontanarsi a chiunque avesse meno di 30 anni. Ma ciò non ha impedito che sabato 9 si svolgessero dei funerali molto partecipati, durante i quali 20 palestinesi sono rimasti feriti dai proiettili di gomma dell’esercito israeliano che si è fatto largo con lacrimogeni e bombe acustiche.

Vedi:

http://www.alternativenews.org/english/index.php/news/1227-a-bloody-week-in-palestine

http://english.palinfo.com/site/pages/details.aspx?itemid=76056

 

V – Cacciare i palestinesi

Addameer, l’Associazione per i diritti umani che sostiene i detenuti, si sta spendendo affinché abbia termine l’ondata di deportazioni che sta colpendo i cittadini palestinesi residenti a Gerusalemme. Il diritto internazionale vieta i trasferimenti forzati che le forze di occupazione israeliane eseguono regolarmente con lo scopo evidente di svuotare la città dei suoi residenti palestinesi; facilitarne l’occupazione; aumentare il controllo sulla vita politica, sociale, religiosa e educativa dei palestinesi.

Quest’anno, le forze di occupazione hanno emesso ben sette ordini di espulsione da Gerusalemme, nei confronti di: Anan Najeeb, Akram Shurafa, Obada Najeeb, Raed Salah, Mohammad Razem, Hijazi Abu Sbeih e Samer Abu Aisha.

 Abu Sbeih e Abu Aisha hanno deciso di respingere le accuse e di protestare, a partire dal 23 dicembre 2015, presso gli uffici della Croce Rossa di Gerusalemme. Un gruppo di viaggiatori provenienti dall’Italia è andato a trovarli per esprimere la propria solidarietà, apprendendo che tra le accuse vi sarebbe quella di aver partecipato a un campo estivo in Libano. Lo stesso gruppo ha voluto proseguire nell’impegno di aiutare i due cittadini palestinesi scrivendo direttamente alle autorità militari di Gerusalemme e al Ministro della Difesa di Israele per chiedere che vengano restituiti loro i diritti civili di cui sono stati privati. A questi viaggiatori va il più sentito ringraziamento dell’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Dra Mai Alkaila.

Addameer, da parte sua, insiste con le Nazioni Unite e il Segretario Generale Ban Ki-moon affinché prendano una posizione chiara che confermi l’universalità dei diritti umani e dimostri l’efficacia delle Nazioni Unite. Inoltre, Addameer chiede un intervento immediato per esercitare pressioni sulle autorità di occupazione israeliane affinché interrompano la politica di deportazioni e trasferimenti arbitrari dei civili palestinesi. Addameer invita anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) a fornire protezione ai civili palestinesi, garantendo il rispetto dei diritti umani universali.

Vedi:

http://www.addameer.org/news/addameer-illegal-forcible-transfer-aims-empty-jerusalem-its-palestinian-residents

VI – L’Ambasciatrice di Palestina a Otranto e a Pozzallo

Tra il 6 e il 10 gennaio, l’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Dra Mai Alkaila, ha compiuto due  interessanti visite, in Puglia e in Sicilia, volte a rinsaldare l’antica amicizia e la stima che legano il popolo palestinese con quello italiano.  Ad Otranto, l’Ambasciatrice ha potuto incontrare il Sindaco, i rappresentanti della Regione, i responsabili della sicurezza, associazioni e organizzazioni della società civile presenti sul territorio della Puglia, attivando un sostegno ancora più efficace alla causa palestinese da parte di questa regione. In particolare, l’Ambasciatrice ha avanzato la proposta, accolta da tutti i presenti con grande favore, di valorizzare ed estendere le esperienze di gemellaggio tra città italiane e città palestinesi, raccogliendole in un progetto comune.

Il Sindaco di Otranto ha presentato l’Ambasciatrice al consiglio comunale, esprimendo il desiderio di rafforzare la propria cooperazione con la città di Betlemme, nella speranza che ciò contribuisca ad un processo di pace.

Da parte sua, l’Ambasciatrice ha espresso il suo sincero ringraziamento per un invito giunto in un momento così difficile e tragico per il popolo palestinese, che proprio in quei giorni aveva riabbracciato i corpi di 23 martiri, finalmente restituiti alle famiglie. Un popolo, ha voluto sottolineare Mai Alkaila, che nonostante le continue persecuzioni continua ad amare la vita.

Il comune di Betlemme avrebbe dovuto partecipare con dei suoi inviati alla celebrazione del Natale di Otranto, ma circostanze così difficili lo hanno impedito. L’Ambasciatrice ha firmato il protocollo di cooperazione con una associazione che si occupa di invalidità speciali e ha ritirato un quadro dipinto dai bambini di Otranto da portare in dono a Betlemme.

L’ambasciatrice ha poi visitato Pozzallo, città natale di Giorgio La Pira in provincia di Ragusa, per prendere parte alle iniziative dedicate al 112° anniversario della nascita del politico cristiano, membro dell’Assemblea Costituente, nato nella cittadina siciliana il 9 gennaio del 1904. Mai Alkaila ha partecipato al corteo e alle attività che si sono svolte nello Spazio Cultura “Meno Assenza”. Presente alle celebrazioni anche il presidente della comunità islamica di Sicilia, Kheit Abdelhafid. In questa occasione, l’Ambasciatrice di Palestina ha avuto modo di incontrare, oltra al Sindaco di Pozzallo, diversi altri sindaci siciliani con cui sta programmando azioni comuni.

Vedi:

http://pozzallo.ragusanews.com/