Newsletter No 10 – 25/1/2016

“L’UE ribadisce la sua ferma opposizione agli insediamenti e alle azioni intraprese in questo contesto da Israele”

Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, 18 gennaio 2016

Indice:

  1. L’Unione Europea non riconosce gli insediamenti
  2. I soldi degli insediamenti
  3. La Chiesa metodista disinveste
  4. Colpita una bambina di 9 anni
  5. Al-Fatah celebra il 51° anniversario della nascita della Rivoluzione Palestinese

I – L’ Unione Europea non riconosce gli insediamenti

Le Conclusioni sul processo di pace in Medio Oriente, approvate dal Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea il 18 gennaio, auspicano “un cambiamento radicale della politica di Israele riguardo al territorio palestinese occupato” e, dopo l’importante decisione presa a novembre sulle etichette che dovranno contraddistinguere i prodotti delle colonie, tornano sull’argomento degli insediamenti:

 “Rammentando che gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, ostacolano la pace e minacciano di rendere impossibile la soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati, l’UE ribadisce la sua ferma opposizione agli insediamenti e alle azioni intraprese in questo contesto da Israele, come la costruzione della barriera di separazione al di là della linea del 1967, le demolizioni e le confische – anche di progetti finanziati dall’UE – gli sfratti, i trasferimenti forzati anche di beduini, gli avamposti illegali e le restrizioni riguardo alla circolazione e all’accesso in determinati luoghi. Invita Israele a porre fine a tutte le attività di insediamento e a smantellare gli avamposti costruiti dopo il marzo 2001, in linea con gli obblighi precedenti. Le attività di insediamento a Gerusalemme Est mettono gravemente a rischio la possibilità che Gerusalemme funga da futura capitale di entrambi gli Stati”.

Il Consiglio sottolinea che per garantire una pace giusta e duratura e porre fine a tutte le rivendicazioni sarà necessario “un aumento dello sforzo internazionale comune”. In quest’ottica, “tutti gli accordi tra lo Stato di Israele e l’UE dovranno indicare inequivocabilmente ed esplicitamente la loro inapplicabilità ai territori occupati da Israele nel 1967”.

Saeb Erekat, Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha salutato queste conclusioni come “un passo avanti perché Israele risponda di quel che fa”. Di fatto, con questo documento l’Unione Europea fa capire che “il regime di Apartheid in Palestina non sarà riconosciuto da nessuno” e che è possibile sperare in “un coinvolgimento ancora maggiore dell’Europa, perché faccia appello ad un approccio multilaterale in grado di porre fine all’occupazione intrapresa da Israele nel 1967”.

Vedi:

http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/01/18-fac-conclusions-mepp/

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=611

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=610

II – I soldi degli insediamenti

Un aspetto di cui non sempre si parla quando si affronta il tema degli insediamenti illegali è quello economico. Gli insediamenti sono arrivati subito dopo l’occupazione della Cisgiordania nel giugno del 1967, e fin dal principio sono stati accompagnati da aziende private che contribuivano al loro benessere in cambio di lauti profitti. Ce ne parla, oggi, il Rapporto di Human Rights Watch (HRW)  “Occupation, Inc. How Settlement Businesses Contribute to Israel’s Violations of Palestinian Rights”, dedicato proprio a questo argomento.

Il Rapporto descrive dettagliatamente i diversi modi in cui società israeliane e internazionali hanno aiutato a costruire, finanziare, servire e inserire nel mercato le comunità dei coloni. In molti casi il business è messo in piedi dagli stessi coloni, attratti negli insediamenti da affitti convenienti e tasse incoraggianti, sussidi governativi e accesso a manodopera palestinese a basso prezzo. Ma l’impronta di Israele sulla Cisgiordania va ben oltre i limiti degli insediamenti residenziali.

Insieme a questa descrizione, arriva una denuncia. HRW ricorda infatti che gli insediamenti in Cisgiordania violano le leggi dell’occupazione. La Quarta Convenzione di Ginevra proibisce a una forza occupante sia di trasferire i propri cittadini nel territorio occupato, sia di trasferire altrove la popolazione locale. La Corte Penale Internazionale (ICC) include tra i crimini di guerra il trasferimento forzato della popolazione di un territorio occupato, ed ha giurisdizione sullo Stato di Palestina, divenuto membro della Corte il 13 giugno del 2014. La confisca da parte di Israele di terre, acqua e altre risorse naturali a vantaggio degli insediamenti viola invece la Convenzione dell’Aja del 1907, che proibisce alle forze di occupazione di espropriare a proprio vantaggio le risorse del territorio occupato. Infine, la politica degli insediamenti viola la normativa internazionale sui diritti umani, al pari delle politiche discriminatorie contro i palestinesi che regolano la loro vita nell’area C della Cisgiordania, sotto il controllo esclusivo di Israele, forzando il loro trasferimento per fare posto ai coloni. I palestinesi sono in evidente svantaggio rispetto ai coloni, la loro economia è stata distrutta dalle restrizioni discriminatorie imposte da Israele, e in molti si sono visti costretti a lavorare mal pagati negli insediamenti; cosa che, paradossalmente, viene citata dal governo israeliano per giustificare l’esistenza e le attività degli insediamenti.

A riprova del fatto che il lavoro negli insediamenti non costituisce una vera opportunità ma una scelta forzata che non è nelle loro mani, il recente divieto di entrare negli insediamenti che colpisce circa 11.000 lavoratori palestinesi. Si tratta di una delle tante misure vessatorie e lesive della libertà di movimento che Israele sta mettendo in campo dall’escalation di violenze iniziato ad ottobre.

Secondo gli standard internazionali articolati nei Principi Guida delle Nazioni Unite sulle Imprese e i Diritti Umani, le imprese devono considerare attentamente i diritti umani per evitarne la violazione, non solo in prima persona, ma anche da parte di tutte le attività a cui i loro affari sono connessi.  In caso ciò non sia possibile, viene loro richiesto di interrompere attività e collaborazioni. HRW sostiene che sia questo il caso delle imprese che operano negli o per gli insediamenti, inestricabilmente legate all’abuso di diritti umani.

Parole molto dure, salutate con favore dal Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, perché da un lato smascherano l’assurda propaganda israeliana per cui le attività degli insediamenti contribuirebbero all’economia palestinese; e dall’altro chiamano le imprese internazionali ad assumersi le proprie responsabilità. L’unica cosa che manca nel Rapporto è – secondo Erekat – la richiesta esplicita di vietare qualsiasi attività commerciale con gli insediamenti.

Vedi:

http://english.pnn.ps/2016/01/19/hrw-israeli-settlements-make-money-on-palestinian-expense/

https://www.hrw.org/news/2016/01/19/israel-businesses-should-end-settlement-activity

https://www.hrw.org/news/2016/01/19/occupation-inc-how-settlement-businesses-contribute-israels-violations-palestinian

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=769932

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=612

 

III – La Chiesa metodista disinveste

Il Ministero degli Esteri israeliano si è detto “scioccato” alla notizia che un’altra Chiesa abbia deciso di prendere le distanze dal regime di Apartheid imposto dal suo governo. Per motivi umanitari, il fondo pensionistico della Chiesa Metodista, che ha un valore di circa 20 miliardi di dollari e abbraccia una delle più ampie confessioni protestanti radicate negli Stati Uniti, ha infatti escluso dai suoi investimenti 5 importanti banche israeliane, decidendo di disinvestire da 2 di queste. La Bank Hapoalim, Bank Leumi, First International Bank of Israel, Israel Discount Bank, e Mizrahi Tefahot Bank finanziano infatti, e quindi sostengono, diversi insediamenti illegali nei Territori Occupati. Una misura simile ha colpito una società di costruzioni – la Shikun & Binui – che opera negli insediamenti. Secondo il quotidiano Haaretz, la decisione presa dagli Stati Uniti sta effettivamente preoccupando Israele e viene considerata una delle più gravi mai prese da un’istituzione statunitense per colpire con sanzioni le aziende israeliane a causa delle loro attività in Cisgiordania. Il Ministero degli Esteri ne starebbe studiando le conseguenze, senza escludere il tentativo di persuadere i vertici della Chiesa a tornare sui propri passi. Cosa che appare difficile, visti i commenti entusiastici di molti membri. Il Rev. Michael Yoshii, Co-Presidente di United Methodist Kairos Response (UMKR), il movimento che si occupa in particolare della questione palestinese, ha così commentato: “Accogliamo con grande favore la decisione del fondo di volersi dissociare con un passo così significativo dall’occupazione illegale della terra palestinese (…) Questo può essere solo un primo passo per porre fine alla nostra complicità economica con la continua oppressione del popolo palestinese”. E il Rev. John Wagner, membro del Comitato per il Disinvestimento dell’UMKR, ha aggiunto: “La nostra Conferenza Generale ha chiesto a tutte le nazioni di boicottare i prodotti degli insediamenti illegali, sollecitiamo i nostri amministratori ad essere coerenti e disinvestire da tutte le società che traggono profitto da questi stessi insediamenti”.

Vedi:

http://www.imemc.org/article/74636

http://www.imemc.org/article/74571

IV – Colpita una bambina di 9 anni

Durante una delle “manifestazioni del venerdì”, durante le quali i palestinesi manifestano pacificamente contro l’occupazione israeliana, una bambina di soli 9 anni – Ayat Zahi Ali – è stata colpita da un proiettile mentre era nella casa di suo padre. I soldati israeliani hanno invaso il villaggio di Kafr Qaddum, vicino alla città di Qalqilia, in Cisgiordania, con l’intento di reprimere la dimostrazione, ma, oltre a ferire alcuni dei manifestanti, hanno colpito anche la mano di Ayat, che in quel momento si trovava nella veranda.  Il portavoce del Comitato Popolare per la Resistenza Nonviolenta di Kafr Qaddum, Murad Shtaiwi, ha raccontato che la bambina è stata portata all’ospedale Rafidia di Nablus, nella Cisgiordania del nord.

 

Vedi:

http://www.imemc.org/article/74693

http://www.maannews.com/Content.aspx?ID=769924

V – Al-Fatah celebra il 51° anniversario della nascita della Rivoluzione Palestinese

Al-Fatah Italia, con il patrocinio dell’Ambasciata di Palestina e la partecipazione di diverse forze politiche e sindacali, associazioni di solidarietà con il popolo palestinese, donne e uomini liberi amici della causa palestinese, insieme alla comunità palestinese e a quelle arabe, sabato 23 gennaio ha celebrato il 51° anniversario della nascita della Rivoluzione Palestinese presso la sede dell’Ambasciata di Palestina a Roma.

Durante la celebrazione hanno preso la parola Mai Alkaila, Ambasciatrice di Palestina in Italia, Bassam Saleh, Segretario di Al-Fatah Italia, Salameh Ashour, Presidente della comunità palestinese del Lazio, Hussain Jaber, in rappresentanza delle comunità palestinesi in Europa, e molti esponenti delle organizzazioni presenti. Tutti gli oratori hanno ricordato la nascita della Rivoluzione Palestinese e hanno ribadito il diritto del popolo palestinese alla libertà e all’indipendenza in uno Stato sovrano nei territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est capitale.

Alla chiusura dell’incontro, è stato proiettato il docufilm “Al-Fatah-Palestina”, del regista Luigi Perelli.