Newsletter No 13 – 15/2/2016

Fin da piccoli i bambini israeliani imparano che devono diventare dei buoni soldati. Sono sottoposti a questo lavaggio del cervello da quando hanno tre anni (…) Non imparano niente sul Medio Oriente, perché lo stato di Israele è loro proposto come parte dell’Europa

Nurit Peled Elhanann

Indice:

  1. Netanyahu vuole difendere Israele dalle “belve feroci”
  2. Muro e scavi nella Valle del Cremisan
  3. Il Ministro dell’Incultura
  4. L’esercito contro i calciatori
  5. La Francia rifiuta i droni israeliani
  6. L’Europa fa un passo indietro

I – Netanyahu vuole difendere Israele dalle “belve feroci”

Il Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, non poteva restare indifferente alle dichiarazione del Premier israeliano Benjamin Netanyahu per cui sarebbe necessario recintare completamente Israele per difendere questa “villa nella giungla” da quelle che non ha esitato a definire “belve feroci”.  Secondo Erekat, ciò che ha proposto Natanyahu nel corso della  visita al recinto in costruzione tra Israele e la Giordania, equivale al Bantustan sudafricano. Il dirigente palestinese lo ha spiegato a una delegazione del Parlamento Europeo: “Chi vuole costruire muri è simile a chi vive secondo la legge della giungla”. Questo atteggiamento e questa politica – secondo Erekat – portano al sabotaggio della soluzione dei due-Stati e al rafforzamento di un sistema di Apartheid peggiore di quello che vigeva in Sudafrica. In quest’ottica, gli sforzi maggiori di Israele si concentreranno come sempre sulla confisca della terra palestinese: il Premier israeliano ha infatti parlato sia di un piano generale che prevede “barriere di sicurezza” per proteggere gli israeliani, vista la zona pericolosa in cui vivono, dai “popoli predatori dei Paesi limitrofi”; sia di un piano specifico per chiudere le attuali brecce nel Muro di Apartheid che occupa la Cisgiordania. Tutto ciò, ha ammesso Netanyahu, costerà miliardi e verrà fatto gradualmente nel corso degli anni, ma alla fine il lavoro sarà completato.

Ricordiamo che Israele cominciò a costruire il Muro piantando cemento, recinzioni e filo spinato nel territorio della Cisgiordania occupata, a partire dal giugno del 2002, al culmine della Seconda Intifada palestinese. Questa costruzione, si disse a Tel Aviv, era necessaria per motivi di sicurezza. Ma già nel 2004 la Corte Penale Internazionale (ICJ) si espresse dicendo che il Muro rappresentava una “annessione de facto” della terra palestinese, in nessun modo giustificata da motivi di sicurezza.

Conseguentemente, la ICJ decretò che il Muro era illegale, chiese che fosse smantellato e intimò ad Israele di pagare ai palestinesi riparazioni adeguate, aggiungendo che tutti gli altri Stati, ed in particolare le Nazioni Unite, sarebbero dovuti intervenire contro il Muro.

Stando ai dati dell’Istituto di Ricerca Applicata di Gerusalemme (ARIJ), se sarà completato secondo i piani, l’85% del Muro si troverà all’interno della Cisgiordania.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=8tDFGpa30138210498a8tDFGphttp://english.wafa.ps/page.aspx?id=8tDFGpa30138210498a8tDFGp

http://www.huffingtonpost.it/2016/02/10/netanyahu-muro-israele-contro-belve-feroci_n_9201340.html

II – Muro e scavi nella Valle del Cremisan

Lo scorso mese di luglio, con un pronunciamento sorprendente che ne contrastava uno precedente, la Corte Suprema d’Israele ha dato il via libera alla costruzione del “Muro di Apartheid” – o di Annessione – nel tratto che attraversa la valle di Cremisan, a Nord di Betlemme.  La valle rappresenta la quintessenza della Palestina biblica, “terra di ulivi e di vigne”, nonché il principale “polmone verde” per la popolazione che vive nell’area di Betlemme. Il tracciato del Muro di separazione voluto da Israele sta devastando questa zona, conosciuta come uno degli ambienti naturali più belli di tutta la Terra Santa. Per contrastare lo scempio – condannato apertamente anche dal Vaticano – si è mobilitata una vasta campagna internazionale. Da parte sua, il sindaco di Betlemme, Vera Baboun, ha spiegato che il Muro non risponde a nessuna esigenza di sicurezza, e mira solo a separare la gente dalle proprie terre per poterle confiscare e allargare l’area delle colonie israeliane che già hanno occupato in questo quadrante la maggior parte dei territori palestinesi”.

Il Muro, infatti, separerebbe la cittadina di Beit Jala dall’insediamento coloniale di Har Gilo e dal villaggio di Al-Walaja.

La novità di questi giorni è che, il 2 febbraio, l’Autorità Israeliana per le Antichità ha intrapreso uno scavo archeologico a Khirbet en-Najjar, un antico insediamento romano di cui restano alcune rovine.

Si è trattato di un’evidente forzatura del diritto internazionale enunciato in diverse convenzioni, secondo le quali l’occupazione israeliana deve garantire la protezione del patrimonio naturale e culturale dei Territori Occupati. L’Autorità Israeliana, infatti, non ha informato di questa iniziativa i palestinesi. Il Dipartimento Palestinese per l’Archeologia e il Patrimonio Culturale ha avviato un’indagine che ha rivelato come molti manufatti rinvenuti durante gli scavi siano stati confiscati da Israele.

Sia la costruzione del Muro in questa valle che gli scavi archeologici a Khirbet en-Najjar costituiscono un’evidente violazione degli accordi internazionali. Il Ministero Palestinese per il Turismo e le Antichità condanna questi che considera come atti di distruzione del patrimonio naturale e culturale della Palestina, e si appella alla comunità internazionale affinché costringa Israele ad interrompere la costruzione del Muro e gli scavi a Beit Jala occupata, astenendosi da ulteriori gesti unilaterali che potrebbero infiammare la situazione.

Vedi:

http://www.theguardian.com/world/2015/aug/18/israel-resumes-work-controversial-separation-wall-cremisan-valley

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/israele-si-fara-il-muro-valle-cremisan.aspx

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=618

 

III – Il Ministro dell’Incultura

Il Ministro israeliano dell’Istruzione Naftali Bennett colpisce per la sua intraprendenza e per la natura discriminatoria dei suoi interventi. Dopo aver vietato gli interventi nelle scuole ai rappresentanti di “Breaking the Silence”, l’Ong dei soldati israeliani che rompono il silenzio sui crimini commessi dall’esercito israeliano nei Territori occupati, all’inizio dell’anno Bennett aveva bandito dalle scuole superiori il romanzo di Dorit Rabinyan “Borderlife”, che racconta la storia d’amore tra una ebrea e un palestinese. Non soddisfatto, la settimana scorsa ha annunciato che parte dei finanziamenti destinati alle scuole di Gerusalemme Est andrà solo alle scuole disposte a “israelizzare” – secondo il termine utilizzato dal quotidiano israeliano Haaretz – la propria offerta formativa. In sostanza, se si vogliono i soldi si dovrà sostituire il programma palestinese con quello israeliano, che tende a negare quasi del tutto la storia e la cultura palestinese. Lo spiega bene la docente israeliana Nurit Peled Elhanann nel libro “La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione” (2012, edito in Italia dal Gruppo Abele). Peled Elhanann, che in questi giorni è in Italia (dall’11 al 21 febbraio) per presentare il suo libro in diverse città, scrive ad esempio che nei libri di scuola israeliani non ci sono fotografie di esseri umani identificati come palestinesi, che vengono definiti semplicemente come “arabi” e rappresentati come profughi in strade e luoghi senza nome.

L’ultima trovata del Ministro è quella di dedicare solo ed unicamente a ragazzi ebrei ortodossi centri di eccellenza scolastica per studenti particolarmente dotati. Se messa in pratica, questa idea non comporterebbe solo una segregazione religiosa, ma anche di genere.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.700219

http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.701063

 

IV – L’esercito contro i calciatori

Diversi calciatori palestinesi della squadra di Al-Khader, una cittadina a sud di Betlemme, sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni lanciati contro di loro dall’esercito israeliano durante l’allenamento di sabato 16 gennaio. Secondo il preparatore atletico Hussein Abdullah, che ha dovuto interrompere l’allenamento, non è la prima volta che questo campo viene preso di mira.

Vedi:

http://www.imemc.org/article/74613

V – La Francia rifiuta i droni israeliani

Non sarà stato l’unico motivo, sarà stato anche per una nuova strategia industriale o per favorire l’impiego di lavoratori francesi, ma la pressione degli attivisti che hanno a cuore la causa palestinese ha sicuramente influenzato la scelta del governo francese di non acquistare più i droni “Watchkeeper”, prodotti da una joint venture che unisce la sussidiaria britannica del gruppo francese Thales a uno dei più grandi produttori di armi di Israele, la Elbit Systems.  L’offerta, che sembrava favorita e prevedeva l’acquisto di 14 droni ad un costo complessivo di 300 milioni di euro, è invece stata rifiutata dal Ministero della Difesa a vantaggio del “Patroller”, prodotto dalla ditta francese Sagem.

Gli attivisti francesi avevano raccolto 8.000 firme perché il loro governo non acquistasse i droni dalla Elbit Systems, “che usa la popolazione palestinese come cavia per testare le sue armi, produce fosforo bianco – un’arma chimica abominevole proibita dalla IV Convenzione di Ginevra ma utilizzata da Israele contro la popolazione civile di Gaza, e partecipa direttamente alla costruzione del Muro illegale in Cisgiordania e delle infrastrutture per gli insediamenti”.

Di qui la soddisfazione per quello che viene ritenuto un ottimo risultato; anche se l’arrivo dei droni, indipendentemente da dove provengano, non è mai una buona notizia.

Vedi:

http://www.daysofpalestine.com/news/france-cancels-purchase-israeli-drones/

VI – L’Europa fa un passo indietro

Il comunicato rilasciato dalla UE venerdì 12 febbraio parlava chiaro: Federica Mogherini, Alto  Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza nonché Vice-Presidente della Commissione Europea, nella conversazione con il Primo Ministro israeliano  Benjamin Netanyahu avvenuta lo stesso giorno, ha voluto chiarire che (contrariamente all’art. 3 che ne definisce il carattere obbligatorio) la responsabilità di applicare la nota della Commissione Europea sull’etichettatura dei prodotti degli insediamenti “spetta alle autorità competenti degli Stati Membri”. Stando a quest’ultima interpretazione, in nessun modo la nota di novembre intendeva influenzare le questioni relative allo status e ai confini della Palestina e di Israele, “che dovrebbero essere sistemate attraverso negoziati diretti tra le parti”. Secondo lo stesso comunicato, perfino nell’affrontare il tema delle demolizioni delle case palestinesi Mogherini e Netanyahu hanno mostrato l’intenzione di “rivitalizzare il dialogo UE-Israele”.

Non sorprende, allora, che il Ministero degli Affari Esteri israeliano abbia subito rivendicato il risultato di questa conversazione dichiarando che le relazioni con l’Unione Europea sono tornate “buone e strette”. Ricordiamo che in seguito alla nota di novembre Israele aveva sospeso qualsiasi contatto con i funzionari della UE riguardante le relazioni con la Palestina. Adesso sembra tutto superato, stando al comunicato israeliano: “La conversazione tra il Primo Ministro Israeliano e la Signora Mogherini ha permesso di risolvere le tensioni esistenti”.

Diversa, ovviamente, la reazione palestinese. Hanan Ashrawi, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha infatti commentato che così facendo “la UE non solo fa marcia indietro rispetto alla sua politica di lunga durata, ma si piega di fronte alle pressioni di Israele”.

Vedi:

http://eeas.europa.eu/statements-eeas/2016/160212_04_en.htm

http://www.israelvalley.com/news/2016/02/14/49172/winwin-etiquetage-fin-du-conflit-entre-israel-et-l-europe

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=620