Newsletter No 14 – 22/2/2016

“Sono preoccupato dal rapido deteriorarsi della salute del detenuto amministrativo palestinese Mohammed Al-Qeeq, che sta facendo lo sciopero della fame per protestare contro l’arbitrarietà della sua detenzione e del suo maltrattamento” 

Robert Piper, Coordinatore Umanitario e delle Attività di Sviluppo ONU per i Territori Palestinesi Occupati

 

Indice:

  1. Abu Mazen chiede agli Stati Uniti di intervenire
  2. Il rapporto di Peace Now svela la realtà degli insediamenti
  3. Continua la strage di ragazzi
  4. I professori italiani contro le armi israeliane
  5. La nuova posizione del governo inglese nuoce gravemente al popolo palestinese
  6. La salute di Mohammed Al-Qeeq sta seriamente peggiorando

I – Abu Mazen chiede agli Stati Uniti di intervenire

Domenica 21 febbraio il Presidente Abu Mazen ha incontrato ad Amman, in Giordania, il Segretario di Stato USA John Kerry, in visita nella regione per discutere le diverse crisi che la stanno attraversando. In questa occasione, Abu Mazen ha voluto incoraggiare l’intervento di Washington per sbloccare quella che è diventata una situazione di stallo nei rapporti tra Palestina e Israele.  Kerry, da parte sua, ha confermato l’impegno degli Stati Uniti in favore della soluzione dei due-Stati, e la contrarietà rispetto agli insediamenti, che Washington considera illegali. A questo proposito, Abu Mazen ha comunicato le sue intenzioni di chiedere un’esplicita condanna del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per fermare la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania.

Giovedì 11 febbraio il governo palestinese aveva salutato con favore l’iniziativa francese di promuovere una conferenza internazionale sul Medio Oriente, da tenere il prossimo mese di luglio con la partecipazione del Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione Europea e ONU) e di diversi Stati Arabi.  Un’iniziativa che Israele aveva invece subito scartato come “sconcertante” e destinata al fallimento. Pur non essendosi espressa direttamente su questo tipo di conferenza, l’Amministrazione Obama ha recentemente fatto sapere che ha fiducia di riuscire a trovare un accordo di pace prima del termine del suo mandato.

Durante la conversazione, Abu Mazen ha voluto aggiornare Kerry sui suoi sforzi di formare un governo di unità nazionale con Hamas.

Inoltre, il Presidente palestinese ha chiesto esplicitamente al rappresentante degli Stati Uniti di fare pressione su Israele perché liberi il detenuto Mohammed Al-Qeeq, che rischia la vita con il suo sciopero della fame, e restituisca i corpi dei cittadini palestinesi uccisi dalle forze di occupazione.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=hO2ZYGa30237192810ahO2ZYG

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=770385

II – Il rapporto di Peace Now svela la realtà degli insediamenti

Nel weekend di San Valentino, il movimento israeliano Peace Now ha pubblicato il suo Rapporto annuale – relativo al 2015 – sulla situazione degli insediamenti in Cisgiordania. Il titolo del Rapporto parla chiaro: “Il 2015 negli insediamenti: nessun congelamento”, cioè nessuno stop alla costruzione di unità abitative e infrastrutture. All’inizio dell’anno Netanyahu, parlando in inglese si era presentato come il Premier israeliano che ha costruito meno negli insediamenti, mentre parlando in ebraico si era vantato con i membri del Likud di come le costruzioni fossero aumentate durante i suoi mandati. Appare evidente che siano più veritiere le sue dichiarazioni in ebraico che quelle in inglese.

Questi i principali punti emersi dal Rapporto sul 2015:

  • Nel 2015 è cominciata la costruzione di 1.800 nuove unità abitative negli insediamenti;
  • Per più del 40% (pari a 746 abitazioni), le costruzioni sono avvenute a Est del Muro dell’Apartheid;
  • E’ stata sviluppata l’infrastruttura per la costruzione di altre 734 unità abitative;
  • Sono state costruite 63 strutture pubbliche (sinagoghe, asili nido, ecc.) e 42 strutture industriali o agricole;
  • Un nuovo avamposto illegale è stato stabilito a Sud dell’insediamento di Nofei Prat– in un area in cui il governo israeliano lavora alacremente per demolire le case dei beduini sulla strada per Gerico;
  • Nonostante il dichiarato “congelamento dei bandi di gara”, sono stati pubblicati bandi per 1,143 nuove unità abitative;
  • Nonostante il “congelamento della pianificazione”, l’Alto Comitato per la Pianificazione ha approvato la presentazione di progetti per 348 nuove unità abitative.

Vedi:

https://peacenow.org/entry.php?id=16942#.VscbWvnhCUm

https://settlementwatcheastjerusalem.files.wordpress.com/2016/02/2015-in-settlements.pdf

 

III – Continua la strage di ragazzi

Il 14 febbraio, un membro della Guardia di frontiera israeliana ha avuto il coraggio di spingere a terra un uomo palestinese in sedia a rotelle facendogli sbattere la testa. L’immagine, ripresa da un passante, ha giustamente fatto il giro del mondo suscitando l’indignazione dei più, senza lasciare indifferenti diversi organi di stampa in Israele. Questo episodio, accaduto a Hebron, ha quasi messo in ombra il fatto che qualche attimo prima, a pochi metri di distanza, un altro poliziotto aveva sparato a bruciapelo a una ragazza, che infatti compare nello stesso video, riversa al suolo.  Gli spari a sangue freddo contro giovanissimi palestinesi (poi) accusati di avere in mente o di essere in procinto di sferrare un attentato a colpi di coltello, potrebbero in effetti non fare più notizia. Sono troppi. A volte, come nel caso della ragazza di Hebron, le vittime si salvano, spesso muoiono, senza che nessuno riesca a prestar loro soccorso. E’ accaduto quella stessa domenica al posto di blocco di Mazmoria, a Est di Betlemme, dove è stato ucciso con un colpo alla nuca Naeem Safi di 17 anni, poche ore dopo che due suoi coetanei – Fo’ad Waked e Nehad Waked, entrambi di 15 anni, erano morti per mano delle truppe israeliane vicino a Jenin.

Il giorno dopo, il 15 febbraio, la polizia israeliana ha colpito a morte due giovani palestinesi all’ingresso della Porta di Damasco. Si tratta di Mansour Shawamreh e Amar Mohammad Amr, entrambi provenienti dal villaggio Al-Qibya, a Nord-Est di Ramallah. Il corrispondente dell’agenzia WAFA ha dichiarato che la polizia li ha lasciati sanguinare a terra senza prestare alcun soccorso, fino a quando non sono morti. Questo, secondo il Ministero della Salute palestinese, porta a 6 il numero di palestinesi uccisi nel giro di 24 ore, mentre sono ormai 177 i palestinesi uccisi e 15.000 quelli feriti dagli inizi di ottobre.

Vedi:

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/VIDEO-Border-Police-officer-shoves-disabled-Palestinians-off-wheelchair-444942

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=DxJp3La30173425359aDxJp3L

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=hqQGDTa30171521853ahqQGDT

IV – I professori italiani contro le armi israeliane

“Noi, docenti e ricercatori/trici delle Università italiane siamo profondamente turbati dalla collaborazione tra l’Istituto israeliano di tecnologia “Technion” e alcune università italiane”. Comincia così l’appello firmato a fine gennaio da 168 accademici italiani che sono poi aumentati di numero. È grazie anche a tali collaborazioni accademico-istituzionali — questa l’idea chiave dell’iniziativa – che il vasto complesso militare-industriale israeliano funziona, proseguendo impunito nelle violazioni del diritto internazionale. Di conseguenza, “collaborare con il Technion significa rendersi attivamente partecipi del regime di occupazione, colonialismo e apartheid d’Israele e in questo modo essere complici del sistema di oppressione che nega ai palestinesi i loro diritti umani più fondamentali”.

Il Technion ha un rapporto “attivo e durevole”, documentano i promotori, con l’esercito e l’industria militare israeliana. È lì che è stato prodotto il Caterpillar “D9”, un bulldozer controllato “in remoto” e usato per demolire le case dei palestinesi. L’istituto collabora con le maggiori aziende produttrici di armi in Israele, come Elbit Systems, la stessa che ha fabbricato i droni “utilizzati dall’esercito per colpire deliberatamente i civili in Libano nel 2006 e a Gaza nel 2008-2009 e nel 2014; quella che fornisce le apparecchiature di sorveglianza per il Muro dell’Apartheid”. L’università israeliana, inoltre, “forma i suoi studenti di ingegneria affinché lavorino con aziende che si occupano direttamente dello sviluppo di armi complesse”. Per fare un esempio, la stessa Elbit Systems ha stanziato circa mezzo milione di dollari in borse-premio per gli studenti del Technion che si specializzino in questo tipo di ricerche – senza contare gli incentivi accademici di cui hanno goduto gli studenti che hanno partecipato all’operazione Piombo Fuso, nel 2008-2009.

Gli studiosi dichiarano che “fino a che non cesseranno le sistematiche violazioni contro il popolo palestinese (…) non accetteremo inviti a visitare istituzioni accademiche israeliane; non agiremo come arbitri in nessuno dei loro processi; non parteciperemo a conferenze finanziate, organizzate o sponsorizzate da loro, o comunque non collaboreremo con loro”.

Tra i firmatari, nomi storici dell’attivismo italiano, come Angelo Stefanini, medico del Centro di salute internazionale dell’Università di Bologna, che specifica: “L’attivismo spesso evoca chi fa confusione nelle piazze, ma in realtà è da intendersi come qualcosa di intrinseco alla propria professione, l’obbligo etico-morale di denunciare apertamente le ingiustizie, trasformando la ricerca in pratica”. Non manca la firma di Giorgio Forti, dell’Università di Milano e membro di Ebrei contro l’occupazione. E poi, molti giovani. Emerge così l’esistenza di una corrente critica di studiosi di cui la Campagna Stop Technion può essere, a detta di alcuni firmatari, una sorta di “piattaforma di riferimento”.

Vedi:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/29/israele-168-accademici-italiani-boicottano-istituto-tecnologico-technion-di-haifa-contribuisce-a-colonizzare-la-palestina/2418097/

https://stoptechnionitalia.wordpress.com/

V – La nuova posizione del governo inglese nuoce gravemente al popolo palestinese

Il 16 e il 17 febbraio Hanan Ashrawi e Saeb Erekat, membro e Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP,   hanno incontrato separatamente il Ministro per il Medio Oriente del Regno Unito Tobias Ellwood e in seguito agli incontri hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si sono detti “seriamente preoccupati” per il nuovo orientamento britannico rispetto ai prodotti degli insediamenti, che comporterebbe la messa al bando di qualsiasi acquisto etico da parte di governi locali, enti pubblici e organizzazioni che ricevono finanziamenti pubblici, compreso qualche sindacato degli studenti. In termini pratici questo significherebbe proibire loro l’esercizio della propria libertà di scelta di non essere complici del progetto degli insediamenti israeliani, e di assumere invece una posizione moralmente e legalmente corretta di fronte a un tale crimine di guerra.

Ciò rappresenta, secondo l’OLP, “una seria regressione della politica inglese che rafforzerebbe l’occupazione israeliana inviando un messaggio di impunità”. Di fatto, per venire incontro all’occupazione israeliana, il governo britannico “mina la democrazia inglese e i diritti del suo stesso popolo”. In altri tempi, una legge simile avrebbe impedito al popolo britannico di portare avanti azioni pacifiche contro l’apartheid in Sudafrica. Adesso, questa legge contraddice la responsabilità internazionale del Regno Unito e le sue pratiche abituali nei confronti di chi viola i diritti umani.

Non è più accettabile che un governo sostenga la soluzione dei due-Stati e allo stesso tempo garantisca immunità ai crimini di Israele e alle continue violazioni delle risoluzioni ONU, che distruggono ogni prospettiva di pace.

Vedi:

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=623

VI – La salute di Mohammed Al-Qeeq sta seriamente peggiorando

Al-Qeeq ha 33 anni, era corrispondente dalla Palestina per la tv saudita al Majd, e adesso è poco più di uno scheletro. Ha perduto circa 30 kg ma non si arrende e non interrompe lo sciopero della fame che porta avanti dal 24 novembre. Sta protestando contro l’ordine di detenzione amministrativa spiccato nei suoi confronti, e non smetterà finché l’ordine non sia revocato. Come molti altri detenuti prima di lui, Al-Qeeq denuncia l’ingiustizia di una pratica illecita. E per portare avanti questa denuncia rischia la vita. La detenzione amministrativa è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi i prigionieri basandosi su prove presunte, senza incriminarli o processarli. Israele usa regolarmente la detenzione amministrativa in violazione del diritto internazionale. Quasi mai il detenuto e il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete” che motiverebbero la detenzione: il prigioniero può restare incarcerato per anni, in via amministrativa, senza sapere il perché. Ecco perché Mohammed Al-Qeeq ha deciso di protestare fino all’estremo, questi i motivi della sua lotta, questa la ragione per cui la sua vita è preziosa e deve essere salvata, a ogni costo.

L’Ambasciata di Palestina in Italia ha convocato per il 24 febbraio, alle ore 12:00 in Via Baccelli 10, una conferenza stampa per informare sulle condizioni di salute di Al-Qeeq e sui motivi che lo hanno spinto a una forma di protesta che potrebbe portarlo alla morte.

Vedi:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-3454264/Writhing-agony-verge-organ-failure-Palestinian-journalist-87-DAY-hunger-strike-detention-without-charge-Israel-terror-activity.html