Conferenza Stampa su Al-Qeeq – 24/2/2016

Buongiorno e grazie a tutti e a tutte per essere qui oggi. La vostra presenza è sempre di grande sostegno, se non di incoraggiamento, per il popolo palestinese, che ha bisogno come il pane – mi verrebbe da dire “come l’acqua” – di far conoscere al mondo intero le vessazioni a cui viene continuamente sottoposto per mano non di alcune persone, ma di uno Stato: lo Stato di Israele e le sue forze di occupazione. Abbiamo convocato questa conferenza stampa per informarvi sulle condizioni di salute del giornalista Al-Qeeq, in sciopero della fame da quasi 90 giorni, e sui motivi che lo hanno spinto a una forma di protesta che lo sta portando alla morte.

Al-Qeeq ha 33 anni, era corrispondente dalla Palestina per la tv saudita Al-Majd, e adesso è poco più di uno scheletro. Ha perduto circa 30 kg ma non si arrende e non interrompe lo sciopero della fame che porta avanti dal 24 novembre, cioè da 3 mesi. Sta protestando contro l’ordine di detenzione amministrativa spiccato nei suoi confronti, e non smetterà finché l’ordine non sia revocato. Su questo la famiglia è compatta al suo fianco ed esprime pubblicamente, con degli appelli accorati, la sua volontà, quella che lui non riesce più ad esprimere.

Come molti altri detenuti prima di lui, Al-Qeeq denuncia l’ingiustizia di una pratica illecita. La detenzione amministrativa – a cui in questo momento sono sottoposti altri 600 palestinesi – è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi i prigionieri basandosi su prove presunte, senza incriminarli o processarli. Israele usa regolarmente la detenzione amministrativa in violazione del diritto internazionale.

Nella Cisgiordania palestinese occupata, l’esercito israeliano è autorizzato a emanare ordini di detenzione amministrativa contro civili palestinesi sulla base dell’art. 285 del codice militare 1651. Questo articolo permette ai militari di detenere una persona fino a sei mesi, rinnovabili senza preavviso né possibilità di appello se vi sono “ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica” lo richiedano. Non vi è alcun riferimento esplicito alla durata massima possibile, legalizzando così una detenzione senza scadenza. Quasi mai il detenuto e il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete” che motiverebbero la detenzione: il prigioniero può restare incarcerato per anni, in via amministrativa, senza sapere il perché.

Su questo argomento sono stati scritti importanti rapporti di denuncia, tra gli altri da Amnesty International e, soprattutto, da Addameer, l’Associazione per i diritti umani e il sostegno dei prigionieri. Ecco perché la protesta di Mohammed Al-Qeeq è sacrosanta, ecco perché rischia di morire, questi sono i motivi della sua lotta, questa la ragione per cui la sua vita è preziosa e deve essere salvata, da tutti noi, a ogni costo.

Come potete immaginare questi lunghi mesi di sciopero sono stati un calvario: alla mortificazione del corpo si è aggiunta quella dello spirito di Al-Qeeq, perché le forze di occupazione non hanno mai smesso di infierire sulla sua persona. Prima sottoposto ad aggressioni verbali durante interrogatori durati 25 giorni per 7 ore al giorno, Al-Qeeq è stato poi legato al letto pur avendo perso la capacità di muoversi, e sottoposto dai medici israeliani,  contro la sua volontà ancora lucida, alla nutrizione forzata, ora permessa da una legge approvata dalla Knesset lo scorso luglio ma considerata dall’Associazione Mondiale dei Medici, dalla Croce Rossa, dalle Nazioni Unite e dallo stesso sindacato dei medici israeliani uno strumento di tortura crudele e degradante che oltretutto mette in pericolo la vita di chi pratica lo sciopero della fame.

Ultimamente è stato impedito ai familiari di visitarlo. Mohammed ha perso l’udito e la capacità di parlare. Commentando la decisione della Corte Suprema Israeliana del 4 febbraio scorso, di “sospendere” temporaneamente l’ordine di detenzione amministrativa costringendolo però a restare nell’ospedale israeliano HaEmek, Al-Qeeq aveva tuttavia detto, molto chiaramente: “Stanno cercando di prendere in giro il mondo intero; ma io continuerò il mio sciopero per la libertà, che terminerà solo quando sarò un uomo libero in Cisgiordania”, non un uomo esiliato a Gaza, come sembra gli sia stato proposto. Per poi aggiungere: “Ho ancora una lunga strada davanti e continuerò per questo cammino”. I media di tutto il mondo stanno seguendo questa vicenda. Abu Mazen ne ha parlato a John Kerry pochi giorni fa. In Italia è stata presentata un’interrogazione parlamentare.

A sostegno del giornalista da giorni si svolgono cortei e sit in nelle città palestinesi, la sua immagine è ovunque, i media locali e i social riferiscono aggiornamenti continui sulle sue condizioni. Tutte le forze politiche palestinesi, visto che Israele respinge i tentativi fatti per la sua liberazione, hanno deciso di boicottare i tribunali militari

israeliani per due giorni, oggi e domani. Per la stessa forma di protesta, in questo momento il detenuto non ha un avvocato. Per Al-Qeeq manifestano anche decine di attivisti israeliani e due di loro, Anat Rimon e Anat Lev, hanno cominciato nei giorni scorsi uno sciopero della fame.

Noi speriamo ancora che questo ragazzo possa proseguire per il suo cammino, ma è una speranza disperata, che senza l’aiuto della comunità internazionale, a partire dai mezzi di informazione, è destinata ad infrangersi contro il peggiore degli scenari.