L’Ambasciata di Palestina per la liberazione di Al-Qeeq – 24/2/2016

Mercoledì 24 febbraio, solo due giorni prima che fosse raggiunto l’accordo per la liberazione di Al-Qeeq e a tre mesi esatti dall’inizio del suo sciopero della fame, l’Ambasciata di Palestina in Italia aveva convocato una conferenza stampa per informare sulle condizioni di salute del giornalista palestinese e sui motivi che lo hanno spinto a una forma di protesta estrema per cui rischia seriamente la vita.

 “La vostra presenza è sempre di grande sostegno, se non di incoraggiamento, per il popolo palestinese, che ha bisogno come il pane – mi verrebbe da dire ‘come l’acqua’, aveva esordito l’Ambasciatrice Mai Alkaila – di far conoscere al mondo intero le vessazioni a cui viene continuamente sottoposto per mano non di alcune persone, ma di uno Stato: lo Stato di Israele e le sue forze di occupazione”.

A questa premessa era seguita una spiegazione delle ragioni di questo sciopero della fame: “Al-Qeeq sta protestando contro l’ordine di detenzione amministrativa spiccato nei suoi confronti, e non smetterà finché l’ordine non sia revocato. Su questo la famiglia è compatta al suo fianco ed esprime pubblicamente, con degli appelli accorati, la sua volontà, quella che lui non riesce più ad esprimere. Come molti altri detenuti prima di lui, Al-Qeeq denuncia l’ingiustizia di una pratica illecita. La detenzione amministrativa – a cui in questo momento sono sottoposti altri 600 palestinesi – è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi i prigionieri basandosi su prove presunte, senza incriminarli o processarli. Israele usa regolarmente la detenzione amministrativa in violazione del diritto internazionale”.

Poi una descrizione del calvario del detenuto: “Alla mortificazione del corpo si è aggiunta quella dello spirito di Al-Qeeq, perché le forze di occupazione non hanno mai smesso di infierire sulla sua persona. Prima sottoposto ad aggressioni verbali durante interrogatori durati 25 giorni per 7 ore al giorno, Al-Qeeq è rimasto legato al letto pur avendo perso la capacità di muoversi, e sottoposto dai medici israeliani,  contro la sua volontà ancora lucida, alla nutrizione forzata, ora permessa da una legge approvata dalla Knesset lo scorso luglio ma considerata dall’Associazione Mondiale dei Medici, dalla Croce Rossa, dalle Nazioni Unite e dallo stesso sindacato dei medici israeliani uno strumento di tortura crudele e degradante”.

Ultimamente, ha raccontato l’Ambasciatrice, mentre è stato impedito ai familiari di visitarlo, si sono moltiplicate le forme di appoggio ad Al-Qeeq: “Abu Mazen ne ha parlato a John Kerry pochi giorni fa. In Italia è stata presentata un’interrogazione parlamentare. A sostegno del giornalista da giorni si svolgono cortei e sit in nelle città palestinesi, la sua immagine è ovunque, i media locali e i social riferiscono aggiornamenti continui sulle sue condizioni. Tutte le forze politiche palestinesi, visto che Israele respinge i tentativi fatti per la sua liberazione, hanno deciso di boicottare i tribunali militari israeliani per due giorni, oggi e domani. Per la stessa forma di protesta, in questo momento il detenuto non ha un avvocato. Per Al-Qeeq manifestano anche decine di attivisti israeliani e due di loro, Anat Rimon e Anat Lev, hanno cominciato nei giorni scorsi uno sciopero della fame”.

“Noi speriamo ancora – ha concluso l’Ambasciatrice rivolgendosi ai giornalisti presenti come a dei colleghi di Al-Qeeq – che questo ragazzo possa proseguire per il suo cammino, ma è una speranza disperata, che senza l’aiuto della comunità internazionale, a partire dai mezzi di informazione, è destinata ad infrangersi contro il peggiore degli scenari”.