Newsletter No 15 – 29/2/2016

“Continueremo la nostra lotta per la sopravvivenza contro il tentativo di Israele di terrorizzarci” 

Da’oor Ibsisat, rappresentante della comunità beduina di Abu Al-Nuwaar

Indice:

  1. Al-Qeeq ha interrotto lo sciopero della fame
  2. L’Ambasciata di Palestina per la liberazione di Al-Qeeq
  3. Dove arriva la ferocia
  4. I beduini, tra i bersagli preferiti

I –  Al-Qeeq ha interrotto lo sciopero della fame

Mohammed Al-Qeeq si salverà. Quando finalmente anche l’Europa si stava decidendo a muovere qualche passo per sostenere la sua battaglia, ecco che è arrivato un accordo: il giornalista sarà liberato il 21 maggio, allo scadere dei sei mesi di detenzione amministrativa e, per questo, ha deciso di interrompere lo sciopero della fame che rischiava di ucciderlo a breve. Si tratta di un “compromesso” rispetto alla sua iniziale richiesta di liberazione immediata, ma rappresenta sicuramente una vittoria di Al-Qeeq, della sua famiglia e di tutti coloro che in questi lunghissimi 3 tre mesi hanno manifestato contro l’illegalità di una forma di detenzione completamente ingiustificata e fuori controllo.

Vedi:

http://www.imemc.org/article/75079

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=qprUpja30260986635aqprUpj

http://www.eccpalestine.org/60-meps-urge-federica-mogherini-to-take-immediate-action-on-mohammed-al-qeeq/

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=770449

II – L’Ambasciata di Palestina per la liberazione di Al-Qeeq    

Mercoledì 24 febbraio, solo due giorni prima che fosse raggiunto l’accordo per la liberazione di Al-Qeeq e a tre mesi esatti dall’inizio del suo sciopero della fame, l’Ambasciata di Palestina in Italia aveva convocato una conferenza stampa per informare sulle condizioni di salute del giornalista palestinese e sui motivi che lo hanno spinto a una forma di protesta estrema per cui rischia seriamente la vita.

 “La vostra presenza è sempre di grande sostegno, se non di incoraggiamento, per il popolo palestinese, che ha bisogno come il pane – mi verrebbe da dire ‘come l’acqua’, aveva esordito l’Ambasciatrice Mai Alkaila – di far conoscere al mondo intero le vessazioni a cui viene continuamente sottoposto per mano non di alcune persone, ma di uno Stato: lo Stato di Israele e le sue forze di occupazione”.

A questa premessa era seguita una spiegazione delle ragioni di questo sciopero della fame: “Al-Qeeq sta protestando contro l’ordine di detenzione amministrativa spiccato nei suoi confronti, e non smetterà finché l’ordine non sia revocato. Su questo la famiglia è compatta al suo fianco ed esprime pubblicamente, con degli appelli accorati, la sua volontà, quella che lui non riesce più ad esprimere. Come molti altri detenuti prima di lui, Al-Qeeq denuncia l’ingiustizia di una pratica illecita. La detenzione amministrativa – a cui in questo momento sono sottoposti altri 600 palestinesi – è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi i prigionieri basandosi su prove presunte, senza incriminarli o processarli. Israele usa regolarmente la detenzione amministrativa in violazione del diritto internazionale”.

Poi una descrizione del calvario del detenuto: “Alla mortificazione del corpo si è aggiunta quella dello spirito di Al-Qeeq, perché le forze di occupazione non hanno mai smesso di infierire sulla sua persona. Prima sottoposto ad aggressioni verbali durante interrogatori durati 25 giorni per 7 ore al giorno, Al-Qeeq è rimasto legato al letto pur avendo perso la capacità di muoversi, e sottoposto dai medici israeliani,  contro la sua volontà ancora lucida, alla nutrizione forzata, ora permessa da una legge approvata dalla Knesset lo scorso luglio ma considerata dall’Associazione Mondiale dei Medici, dalla Croce Rossa, dalle Nazioni Unite e dallo stesso sindacato dei medici israeliani uno strumento di tortura crudele e degradante”.

Ultimamente, ha raccontato l’Ambasciatrice, mentre è stato impedito ai familiari di visitarlo, si sono moltiplicate le forme di appoggio ad Al-Qeeq: “Abu Mazen ne ha parlato a John Kerry pochi giorni fa. In Italia è stata presentata un’interrogazione parlamentare. A sostegno del giornalista da giorni si svolgono cortei e sit in nelle città palestinesi, la sua immagine è ovunque, i media locali e i social riferiscono aggiornamenti continui sulle sue condizioni. Tutte le forze politiche palestinesi, visto che Israele respinge i tentativi fatti per la sua liberazione, hanno deciso di boicottare i tribunali militari israeliani per due giorni, oggi e domani. Per la stessa forma di protesta, in questo momento il detenuto non ha un avvocato. Per Al-Qeeq manifestano anche decine di attivisti israeliani e due di loro, Anat Rimon e Anat Lev, hanno cominciato nei giorni scorsi uno sciopero della fame”.

“Noi speriamo ancora – ha concluso l’Ambasciatrice rivolgendosi ai giornalisti presenti come a dei colleghi di Al-Qeeq – che questo ragazzo possa proseguire per il suo cammino, ma è una speranza disperata, che senza l’aiuto della comunità internazionale, a partire dai mezzi di informazione, è destinata ad infrangersi contro il peggiore degli scenari”.

 

Vedi:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/israele/2016/02/24/mo-amb.palestina-liberare-giornalista-al-qiq-o-morira_8abc8d49-3bf0-436f-af9e-09673427cb67.html

http://www.pressenza.com/it/2016/02/palestina-salviamo-la-vita-del-giornalista-al-qeed/

http://sinistraunita.org/2016/02/25/liberta-per-mohamed-al-qeeq-detenuto-palestinese-in-sciopero-della-fame-da-3-mesi/

http://www.agenziastampaitalia.it/politica/politica-estera/28756-ambasciata-palestina-in-italia-la-salute-di-mohammed-al-qeeq-sta-seriamente-peggiorando

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=21596

III – Dove arriva la ferocia

Il Rapporto pubblicato all’inizio dell’anno dal Comitato dei detenuti ed ex detenuti palestinesi parlava chiaro, mettendo in guardia su un fatto che ha dato da pensare a molte associazioni e a molti politici, anche in Europa: la stragrande maggioranza delle uccisioni di cittadini palestinesi consiste in vere e proprie esecuzioni a sangue freddo. Purtroppo, a nulla sono valsi gli interventi di personaggi di spicco come la ministra svedese Wallstrom, e alcuni politici israeliani hanno continuato ad incoraggiare l’esercito ad uccidere anziché arrestare, insistendo che anche i civili israeliani portino un’arma sempre con sé, per ogni evenienza. Il risultato è davanti agli occhi di noi tutti, con l’escalation di morti degli ultimi mesi, uccisi a bruciapelo benché non costituissero nessuna minaccia.  E’ questo il caso, agghiacciante, del ragazzo di 20 anni, Abu Khalaf, a cui sono stati scaricati addosso almeno 50 proiettili quando giaceva ormai esangue a terra.

Il testimone di un’emittente televisiva che ha ripreso la scena racconta che chiunque si trovasse nelle vicinanze di questa mattanza rischiava seriamente la vita. Come è poi successo, mercoledì 24 febbraio, al soldato israeliano di 30 anni ucciso dal “fuoco amico” di un collega che, oltre al suo vero obiettivo, un ragazzo palestinese di 26 anni, ha ucciso anche lui.

Vedi:

http://www.middleeastrising.com/85-percent-of-palestinians-killed-by-israel-were-extra-judicially-executed/

http://mondoweiss.net/2016/01/palestinian-arrested-jerusalem/

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=Vo0u4ba30263841894aVo0u4b

http://www.addictinginfo.org/2016/02/20/watch-the-harrowing-video-of-the-israeli-military-executing-a-palestinian/

IV – I beduini, tra i bersagli preferiti                       

Israele porta avanti attacchi sistematici contro le comunità di beduini palestinesi. Al momento ve ne  sono 46 nel centro della Cisgiordania, per lo più espulse dai propri villaggi in occasione della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Il tentativo di Israele è di espellerle una seconda volta, prendendo di mira, in particolar modo, i beduini che vivono nella zona di Gerusalemme, per cacciarli e far posto agli insediamenti dei coloni. Stando così le cose, con Israele che non riconosce a queste comunità la titolarità su nessuna terra, solo la metà ha accesso a fonti d’acqua e nessuna di loro è collegata alla rete di distribuzione di energia elettrica. A ciò si aggiungano il divieto di costruzione e le conseguenti demolizioni, accanto all’impossibile accesso ai terreni da pascolo dovuto alla costruzione del Muro dell’Apartheid e alla presenza degli insediamenti.

Tristemente, le demolizioni colpiscono spesso anche le scuole, in linea con una politica discriminatoria che pesa gravemente sugli allievi palestinesi di tutti i territori occupati, spesso costretti a lunghi percorsi per raggiungere l’edificio scolastico di riferimento e non di rado sottoposti ad attacchi violenti dell’esercito o dei coloni israeliani.

Ecco quindi che domenica 21 febbraio i bulldozer dell’esercito israeliano hanno demolito l’istituto scolastico della comunità di Abu Al-Nuwaar, vicino alla città di El-Ezzariya. Secondo quanto raccontato da Atallah Al-Jahalin, portavoce della comunità, 30 veicoli militari hanno accompagnato sul posto i funzionari dell’Amministrazione Civile israeliana (l’ente che gestisce i Territori Occupati) e hanno distrutto la scuola, l’unica presente a Abu Al-Nuwaar. La giustificazione data dalle autorità israeliane è quella di sempre: l’edificio era stato costruito con strutture permanenti e quindi in violazione con la normativa che impedisce di costruire in Area C senza permesso israeliano.

Fortunatamente, anche l’ostinazione degli insegnanti e il sorriso dei loro alunni sono rimasti invariati, come si è potuto vedere nel corso delle lezioni tenute comunque, anche se all’aperto.

Vedi:

http://english.palinfo.com/site/pages/details.aspx?itemid=76973#.Vswov1BRpbQ.facebook

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=770387

http://nad-plo.org/userfiles/file/media%20brief/E1_Bedouin_communities.pdf