Newsletter No 16 – 7/3/2016

“I rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero essere autorizzati a farlo il prima possibile” 

Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (11 dicembre 1948)

Indice:

  1. I candidati USA divisi sulla Palestina
  2. Una bimba, a 12 anni in prigione
  3. I rifugiati palestinesi, una questione irrisolta
  4. La Palestina al cinema
  5. L’Ambasciatrice della Palestina alla LUISS

I – I candidati USA divisi sulla Palestina

Due dei principali candidati repubblicani alle primarie in corso negli Stati Uniti favoriscono apertamente il riconoscimento degli insediamenti illegali in Cisgiordania come parte integrante di Israele. Si tratta di un evidente cambio di passo rispetto alla politica statunitense degli ultimi tempi; uno spostamento che potrebbe da un lato ravvivare, dall’altro seppellire per sempre il processo di Oslo già moribondo. Anche se una cosa è la propaganda elettorale, altra l’effettiva politica del presidente eletto.

Fatto sta che i senatori Ted Cruz e Marco Rubio, lo scorso mese di febbraio, sono stati i primi a promuovere una legge che permetterebbe ai prodotti della Cisgiordania e di Gaza di essere etichettati come “Made in Israel”. Questa legge, scritta dal senatore Tom Cotton, è ad oggi il tentativo più trasparente di fondere gli insediamenti con Israele; un’idea, questa, che circola già da tempo all’interno del Congresso.

La consigliera per la sicurezza nazionale di Cruz, Victoria Coates, ha spiegato al giornale online Al-Monitor che il senatore “considera Israele una nazione sovrana”, argomentando che “sebbene ci siano territori contestati in Israele – così come ve ne sono in Morocco, in India, in Cina e in molti altri posti – questo non significa che qualche parte del Paese non sia più Israele”.

Cruz, come anche Rubio, si riferisce ai Territori Occupati della Cisgiordania chiamandoli con I nomi biblici di Giudea e Samaria, insistendo sul fatto che gli Stati Uniti non dovrebbero trattare israeliani e palestinese come se si equivalessero da un punto di vista morale. Piuttosto, ha detto Coates, gli stati Uniti dovrebbero conferire maggior potere a Israele, permettendo che tratti con i palestinesi ponendo le proprie condizioni, qualora si decidessero a fare la pace. In sostanza, “Cruz crede che questa questione vada risolta da Israele internamente, non attraverso un arbitrato internazionale. Per questo il senatore è stato così aggressivo a proposito delle etichette”.

Immediata la reazione dell’OLP: “Questa legge – si legge in una dichiarazione ufficiale dell’Organizzazione – mostra un totale disprezzo per decenni di politica democratica e repubblicana volta a separare Israele dai suoi insediamenti illegali”. E poi: “La legittimazione degli insediamenti israeliani rafforza ulteriormente i coloni radicali, li incita a commettere altre violenze contro i palestinesi e prolunga la brutale occupazione militare che dura già da mezzo secolo”. Secondo l’OLP, il tentativo di fondere Israele e insediamenti ha il solo scopo di impedire la soluzione dei due-Stati.

I candidati democratici, da parte loro, mostrano su questo tema posizioni molto diverse da quelle dei loro antagonisti repubblicani. Bernie Sanders, l’unico candidato ebreo di spicco di tutte le primarie, è stato il primo senatore degli Stati Uniti ad annunciare che avrebbe saltato il discorso di Netanyahu al Congresso in cui il Premier israeliano si proponeva di strigliare gli Stati Uniti per le trattative con l’Iran sul nucleare; e si è sempre dichiarato in favore dei due-Stati.  Hillary Clinton sostiene da molto tempo che la costruzione degli insediamenti – che nel 2014 ha definito il suo “più grande rammarico” rispetto all’amministrazione Netanyahu – danneggia il processo di pace. D’altra parte, è noto come Clinton sia vicina all’inviato di pace ex ambasciatore USA in Israele Martin Indyk, il quale attribuisce a Netanyahu la responsabilità del fallimento della missione di John Kerry per riallacciare un dialogo tra le due parti.

In mezzo, ambiguo, il candidato favorito dai repubblicani, Donald Trump, che se a dicembre ha definito la questione degli insediamenti “un intoppo enorme” per i negoziati di pace, a febbraio sembra si sia fatto convincere dalla Coalizione degli ebrei repubblicani a dare il suo consenso affinché l’ambasciata degli Stati Uniti sia trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme, secondo una legge approvata dal Congresso già nel 1995 ma sin qui disattesa dai successivi Presidenti USA. Fatto sta che nella sua ultima dichiarazione a questo proposito, il 17 febbraio scorso, il candidato Trump ha praticamente supplicato l’organizzatore dell’evento nella Carolina del Sud: “Fammi essere un tipo neutrale, in molti si sono bruciati nel tentativo di raggiungere un accordo, quindi non voglio dire di chi sia la colpa; non credo che aiuti”.

Vedi:

http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/02/presidential-elections-candidates-bush-trump-rubio-clash.html?utm_source=Al-Monitor+Newsletter+%5BEnglish%5D&utm_campaign=6ab0b62e13-Feb_19_2016&utm_medium=email&utm_term=0_28264b27a0-6ab0b62e13-102542057

http://europe.newsweek.com/donald-trump-says-will-remain-neutral-israeli-palestinian-conflict-if-428000?rm=eu

II – Una bimba, a 12 anni in prigione

Il 18 febbraio scorso, il tribunale militare israeliano di Ofer ha condannato a 4 mesi e mezzo di prigione la piccola Dima Al-Wawi, che ha solo 12 anni. In questo modo Dima è divenuta la più giovane detenuta di sesso femminile al mondo.  La sua famiglia sarà anche costretta a pagare una multa di quasi 2.000 Euro. Abitante di Halhul, una cittadina a Nord di Hebron, Dima è stata arrestata nei pressi dell’insediamento di Karam Tzur con l’accusa di aver condotto un assalto contro i coloni armata di coltello. Tuttavia, la sua giovane età e una corporatura davvero esile suggeriscono che non sarebbe mai stata in grado di commettere nulla del genere.

Ayed Abu Qutaish, della sezione palestinese di Defense for Children International (DCI), ha detto che Israele è l’unico Paese al mondo a sottoporre i minorenni a un processo davanti alla Corte marziale che, per definizione, non prevede le stesse procedure dei tribunali ordinari e ignora sia i diritti sia gli interessi specifici dei fanciulli.

Vedi:

http://english.palinfo.com/site/pages/details.aspx?itemid=77022

http://english.palinfo.com/site/pages/details.aspx?itemid=76897

 

III – I rifugiati palestinesi, una questione irrisolta

A volte non ci si pensa, ma la questione dei rifugiati palestinesi ha dell’incredibile e andrebbe affrontata, una volta per tutte. A maggior ragione se, come accade, l’Europa e il mondo intero stanno cercando una soluzione ragionevole per rispondere a chi fugge dalle guerre e persecuzioni di oggi.

Come sappiamo, una buona parte del popolo palestinese è stata costretta ad abbandonare la propria terra prima, durante e dopo la costruzione della Stato di Israele nel 1948, in seguito alle successive guerre che hanno man mano ridotto il territorio della Palestina storica, portando, di fatto, ad uno stato di occupazione permanente.

A nulla sono valse, sin qui, le risoluzioni ONU che, a partire dalla 194 (11 dicembre 1948) sanciscono il Diritto al Ritorno: “I rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero essere autorizzati a farlo il prima possibile, e un risarcimento dovrebbe essere pagato per le proprietà di coloro che scelgono di non ritornare, così come per la perdita o i danni alle loro proprietà”.

Sono passati quasi 70 anni, la perdita di terre e proprietà è cresciuta a misura dell’espansione territoriale di Israele, e non solo il principio del Diritto al Ritorno è rimasto disatteso, ma le condizioni in cui vivono molti rifugiati sono andate peggiorando.

Ad oggi, i rifugiati palestinesi sono 7 milioni, la maggior parte dei quali vive a non più di 100 Km dal confine con Israele. Per lo più assistiti dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), questi rifugiati si sono visti ridurre di anno in anno i servizi prestati

dall’agenzia ONU. Si spiega così la protesta organizzata giovedì 3 marzo da decine di loro davanti al Quartier Generale dell’UNRWA a Beirut, in Libano. La manifestazione ha denunciato in particolare la diminuzione dei servizi sanitari forniti dall’UNRWA ai rifugiati, richiamando l’attenzione della comunità internazionale sulla diaspora palestinese e sulle responsabilità politiche che stanno dietro questo tipo di trattamento.

Vedi:

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=12&more=1#2

http://english.palinfo.com/site/pages/details.aspx?itemid=77190

IV – La Palestina al cinema

L’Ambasciatrice dello Stato di Palestina, Dra. Mai Alkaila, ha avuto il piacere di partecipare all’apertura della rassegna sul cinema palestinese che ha preso il via il 2 marzo al Centro Culturale Candiani di Mestre, assistendo alla proiezione di “Women in Struggle”, un film sulla lotta delle donne palestinesi della regista Buthina Canaan Khoury.

La rassegna propone nove pellicole palestinesi, di cui tre al femminile. Si tratta in alcuni casi di classici della cultura palestinese, in altri di film recenti e in anteprima italiana, pensati per raccontare la brutalità dell’occupazione israeliana e narrare storie di diritti negati, violenza quotidiana e oppressione, ma piene di umanità e di dignità, attraverso la voce di un popolo senza terra e senza Stato, che da 67 anni viene quotidianamente privato dei propri diritti. Un popolo che ha trovato nel cinema uno strumento per ribadire il proprio diritto all’esistenza e alla resistenza e per sperimentare ed inventare nuove forme di lotta.

A proporre l’iniziativa sono state le associazioni “Oltre il Mare” e “Cultura è libertà, una campagna per la Palestina”, in collaborazione con il Circuito Cinema della città di Venezia e del Centro Culturale Candiani. “Cinema senza diritti ovvero una rassegna di quel cinema che, come la Palestina, soffre il silenzio della stampa, l’esclusione dai circuiti ufficiali, la privazione dei diritti anche commerciali” spiegano le organizzatrici dell’evento Maria Grazia Gagliardi e Giuseppina Fioretti.

Oltre al documentario “Women in Struggle” che dà spazio alla narrazione dell’esperienza delle carceri israeliane da parte di quattro ex-detenute palestinesi, la rassegna propone altri due film di registe palestinesi: “Melograni e mirra” di Najwa Najjar, una storia d’amore difficile e contrastata tra due palestinesi cristiani e “When I saw you” di Anne Marie Jasir, sulla storia di una famiglia di profughi palestinesi negli anni ’60, che verranno proiettati rispettivamente il 10 e il 17 marzo.

Farà seguito, il 24 marzo, “La memoria fertile” di Michel Khleifi, pietra miliare della cinematografia palestinese che, attraverso la storia di due donne, dipinge un quadro della condizione femminile palestinese e della vita sotto occupazione. Il 31 marzo verrà invece proiettato “Infiltrators” di Khaled Jarrar, un film sulle restrizioni israeliane della libertà di movimento del popolo palestinese. Il mese di aprile si aprirà con la proiezione, il 7, di “Ritorno ad Haifa” dell’iracheno Kassem Hawal (unico regista non palestinese della rassegna), tratto dal romanzo dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani che racconta la tragedia degli abitanti di Haifa costretti a lasciare la propria città durante la Nakba. Nelle settimane successive verranno proposti “Il tempo che ci rimane” di Elia Suleiman (14 aprile) e “Palestine Stereo” di Rashid Masharawi (21 aprile). La rassegna si chiuderà giovedì 28 aprile con “A world not ours” del regista Mehdi Fleifel, pluripremiato documentario, vincitore del premio Cinema for Peace al festival di Berlino, sulla vita nei campi profughi palestinesi e sulla migrazione verso l’Europa, temi che rendono il film quanto mai attuale.

Vedi:

Nena News

https://www.facebook.com/events/1721833351364174/

V – L’Ambasciatrice della Palestina alla LUISS

L’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia, Dra. Mai Alkaila, sabato 5 marzo è intervenuta al convegno d’apertura della settima edizione del “Rome Model United Nations 2016” – una simulazione del lavoro delle Nazioni Unite – presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma.

In particolare, l’Ambasciatrice ha partecipato al gruppo di lavoro sulla promozione dei principi dello Stato di diritto a livello nazionale e internazionale, e sulla garanzia di pari accesso alla giustizia per tutti.

In questo contesto, rivolgendosi a un foltissimo pubblico di studenti di diritto internazionale e scienze politiche venuti da 80 diversi Paesi del mondo con l’obiettivo di produrre “risoluzioni” come se fossero “delegati” dell’ONU, l’Ambasciatrice ha parlato della situazione in Palestina, ricordando che nonostante le diverse risoluzioni ONU riguardanti i diritti dell’uomo, in questa parte del mondo questi stessi diritti vengono calpestati ogni giorno. Questi argomenti sono stati poi ripresi durante la conferenza stampa che è seguita al suo intervento.