Festa della donna – 10/3/2016

Care Signore,

E’ un grande piacere per me celebrare la Festa della Donna con voi quest’anno. Siamo in ritardo di due giorni ma siamo qui, insieme, e questo è molto importante, per me e per tutto il popolo palestinese. E’ importante essere nell’ambasciata dello Stato di Palestina, così come è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, da 138 Stati, dal parlamento italiano, e, recentemente, dal Vaticano. E’ importante che voi siate con noi, i palestinesi, perché abbiamo un grande bisogno della comunità internazionale che rappresentate e c’è specialmente bisogno del contributo delle donne. Tutte noi sappiamo quanto siano importanti le donne in ogni processo di pace. Le donne si sono sempre espresse contro la guerra. Ma, come ha detto Käthe Kollwitz, una grande donna e una grande artista tedesca, morta solo pochi giorni prima della fine della Seconda Guerra Mondiale: “Il pacifismo non è stare a guardare con calma; è lavoro, duro lavoro”.

Ed è proprio sul duro lavoro delle donne palestinesi che vorrei condividere qualche pensiero con voi. Dall’inizio della Rivoluzione Palestinese, nel 1965, le donne hanno svolto un ruolo cruciale nella vita sociale, politica e militare della Palestina, condividendo con i loro uomini, come compagne, le più importanti decisioni sulla vita quotidiana del nostro popolo, dall’educazione alla salute, dalla politica alla diplomazia. Insieme a molte altre donne coraggiose in un mondo di conflitti, le donne palestinesi sono state capaci di prendere in mano la situazione quando si è trattato di difendere i propri diritti e quelli del loro popolo. Oggi, le donne sono il pilastro dei Comitati Popolari di Resistenza, che combattono giorno dopo giorno una lotta nonviolenta per la liberazione della Palestina. Non è esagerato dire che questi Comitati raccolgono in sé alcuni aspetti tipici del pensiero delle donne, come l’idea che per essere radicali non c’è bisogno di essere violenti, c’è bisogno di andare alla radice delle cose e di usare la forza delle nostre idee. Così, per porre termine all’occupazione, la conoscenza, l’informazione e il sostegno internazionale sono più utili delle armi.

L’8 marzo, mentre noi stavamo forse ricordando la nostra giornata, Manal Al-Tamimi, del Comitato Popolare di Nabi Saleh, in Cisgiordania, è stata di nuovo arrestata, come al solito senza che fosse formulata un’accusa contro di lei; poco dopo, lo stesso giorno, una donna di 50 anni madre di 3 figli, Fadwa Ahmad Abu Teir, è stata uccisa nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata. Questi sono stati i regali israeliani alle donne palestinesi. Donne che sono vittime dell’occupazione in diversi modi e sostengono la causa palestinese assolvendo a molteplici compiti. La loro vita è condizionata  dall’occupazione come lo è la vita dei loro amici e parenti maschi. Ma sono loro che si prendono cura di tutti. E, dopo aver partecipato alla manifestazione del venerdì contro il Muro dell’Apartheid, devono correre a casa per badare ai propri figli, genitori e mariti. Se vengono arrestate, l’armonia domestica crolla. Se vengono uccise, le loro

case restano vuote.

Se i loro cari vengono arrestati o uccisi, sono loro, le donne, a soffrire più di ogni altro.

Sicuramente c’è ancora molto da fare, in Palestina e nel resto del mondo, per essere sullo stesso piano degli uomini. Tuttavia, le donne palestinesi sono state capaci tenere insieme i loro due obiettivi principali – la libertà dall’occupazione e la propria emancipazione – senza sacrificare l’uno all’altro. Così facendo, non solo hanno saputo dare una lezione ai loro uomini; sono state anche in grado di lanciare un importante messaggio da una terra devastata ai Paesi più avanzati del mondo: chi lotta per i propri diritti lotta per i diritti di tutti, e chi lotta per i diritti di tutti lotta anche per i propri.

A nome di noi tutte, vorrei mandare il nostro saluto a tutte le donne del mondo, ma specialmente a quelle che si trovano in Paesi in conflitto e in situazioni di sofferenza; alle donne che lavorano per la pace; alle donne di Gaza e della Cisgiordania; a quelle nei campi profughi e nella diaspora; alle donne prigioniere; a quelle di noi che sono in Siria, in Libano, in Iraq, in Libia, in Yemen, in Tunisia e in tutti i Paesi arabi.

Buona serata a voi e benvenute in Palestina.