Newsletter No 17 – 14/3/2016

“Canta, uccello, per noi, dalla prigione,

oltre l’umiliazione e oltre il buio,

 un orizzonte ancor ricco di sogni,

un sole ancora pronto all’agguato” 

Fadwa Tuqan, Al cantore prigioniero

Indice:

  1. L’8 marzo per la Palestina
  2. Le vite “occupate” delle donne palestinesi
  3. L’esempio del sindaco di Betlemme, una donna palestinese
  4. La migliore maestra del mondo è una donna palestinese

I – L’8 marzo per la Palestina

Anche l’Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia ha voluto celebrare le Festa delle Donne. Accogliendo le sue ospiti – più di cento rappresentanti del mondo della diplomazia e dell’associazionismo provenienti da decine di diversi Paesi – l’Ambasciatrice Dra. Mai Alkaila ha sottolineato: “E’ importante che voi siate con noi, i palestinesi, perché abbiamo un grande bisogno della comunità internazionale che rappresentate e c’è specialmente bisogno del contributo delle donne. Tutte noi sappiamo quanto siano importanti le donne in ogni processo di pace. Le donne si sono sempre espresse contro la guerra. Ma, come ha detto Käthe Kollwitz, una grande donna e una grande artista tedesca, morta solo pochi giorni prima della fine della Seconda Guerra Mondiale: ‘Il pacifismo non è stare a guardare con calma; è lavoro, duro lavoro’ “.

Oggi, in Palestina, le donne sono il pilastro dei Comitati Popolari di Resistenza, che combattono giorno dopo giorno una lotta nonviolenta per la liberazione della Palestina. Non è esagerato dire che questi Comitati raccolgono in sé alcuni aspetti tipici del pensiero delle donne – ha spiegato l’Ambasciatrice – come l’idea che per ottenere cambiamenti radicali non c’è bisogno di essere violenti, c’è bisogno di andare alla radice delle cose e di usare la forza delle nostre idee. Così, per porre termine all’occupazione, la conoscenza, l’informazione e il sostegno internazionale sono più utili delle armi.

Purtroppo, proprio l’8 marzo, Manal Al-Tamimi, del Comitato Popolare di Nabi Saleh, in Cisgiordania, è stata di nuovo arrestata, come al solito senza che fosse formulata un’accusa contro di lei; e poco dopo, lo stesso giorno, una donna di 50 anni madre di 3 figli, Fadwa Ahmad Abu Teir, è stata uccisa nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata. “Questi – ha detto Mai Alkaila –  sono stati i regali israeliani alle donne palestinesi. Donne che sono vittime dell’occupazione in diversi modi e sostengono la causa palestinese assolvendo a molteplici compiti. Se vengono arrestate, l’armonia domestica crolla. Se vengono uccise, le loro case restano vuote. Se i loro cari vengono arrestati o uccisi, sono loro, le donne, a soffrire più di ogni altro”.

“Sicuramente – ha ammesso l’Ambasciatrice – c’è ancora molto da fare, in Palestina e nel resto del mondo, per essere sullo stesso piano degli uomini. Tuttavia, le donne palestinesi sono state capaci tenere insieme i loro due obiettivi principali – la libertà dall’occupazione e la propria emancipazione – senza sacrificare l’uno all’altro. Così facendo, non solo hanno saputo dare una lezione ai loro uomini; sono state anche in grado di lanciare un importante messaggio da una terra devastata ai Paesi più avanzati del mondo: chi lotta per i propri diritti lotta per i diritti di tutti, e chi lotta per i diritti di tutti lotta anche per i propri”.

Un pensiero finale è andato “a tutte le donne del mondo, ma specialmente a quelle che si trovano in Paesi in conflitto e in situazioni di sofferenza; alle donne che lavorano per la pace; alle donne di Gaza e della Cisgiordania; a quelle nei campi profughi e nella diaspora; alle donne prigioniere; a quelle di noi che sono in Siria, in Libano, in Iraq, in Libia, in Yemen, in Tunisia e in tutti i Paesi arabi”.

Vedi:

https://www.youtube.com/watch?v=1wYfED0Pbtk&feature=em-share_video_user

II – Le vite “occupate” delle donne palestinesi

Addameer, l’Associazione per i diritti umani e il sostegno ai prigionieri, ha scelto la vigilia della Giornata internazionale della Donna per pubblicare il suo rapporto sulla carcerazione delle donne e delle ragazze palestinesi. Questo rapporto è una chiara denuncia degli abusi commessi dalle forze di occupazione israeliane. Dall’ inizio dell’occupazione nel 1967 – ci spiega – più di 10.000 donne palestinesi sono state arrestate e detenute dalle forze di occupazione israeliane. Arrestate per strada o nel corso di violente incursioni notturne nelle loro case, le donne imprigionate sono tenute in condizioni malsane e sottoposte a diverse forme di tortura, maltrattamenti e molestie sessuali, che causano loro gravi danni fisici e mentali, spesso acuiti dall’isolamento. Nel 2015 le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 106 tra donne e ragazze palestinesi, con un aumento del 60% rispetto alle donne e ragazze arrestate nel 2014. In particolare, nell’ ottobre 2015 esercito e polizia hanno intensificato le violazioni dei diritti umani contro i palestinesi, con arresti di massa e un significativo aumento del numero di donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane. Al momento, ci sono circa 60 donne palestinesi nelle carceri israeliane, comprese 10 bambine e 3 recluse in detenzione amministrativa. Tutte le donne palestinesi prigioniere sono state illegalmente trasferite dai Territori Occupati alle carceri HaSharon e Damon, contravvenendo alla Quarta Convenzione di Ginevra.

Constatata questa situazione, Addameer chiede alle Nazioni Unite e a tutti gli Stati di appellarsi a Israele affinché rispetti la Convenzione dell’ONU contro la Tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti; la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne; e la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza, per regolamentare il trattamento delle donne e delle ragazze durante l’arresto, gli interrogatori e la detenzione, nel rispetto delle loro vite di donne e ragazze.

Gli Stati aderenti alla Quarta Convenzione di Ginevra dovrebbero chiedere l’interruzione degli abusi fisici e psicologici a cui vengono sottoposte queste donne e queste ragazze, e la cessazione della loro detenzione illegale in territorio della forza occupante.

Le organizzazioni delle donne e per i diritti umani dovrebbero unirsi ai propri governi per chiedere la liberazione immediata delle prigioniere e la fine dei loro maltrattamenti.

Vedi:

http://www.addameer.org/publications/occupied-lives-imprisonment-palestinian-women-and-girls

 

III – L’esempio del sindaco di Betlemme, una donna palestinese

Vera Baboun, la prima donna sindaco di Betlemme, è tornata in Italia per una serie di incontri istituzionali e non. Vedova con cinque figli, è stata docente di letteratura americana all’Università di Betlemme e dal 2012 è prima cittadina eletta da cristiani e musulmani. Tra i suoi primi appuntamenti a Roma, quelli con il neoeletto Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, On. Enzo Amendola; con il Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, On. Fabrizio Cicchitto; e con il

Presidente della Commissione Affari Esteri ed Emigrazione del Senato, Sen. Pier Ferdinando Casini.

Incontrando poi l’Associazione delle Città per la fraternità, di cui fanno parte 130 comuni italiani uniti dalla volontà di avvicinare le amministrazioni ai bisogni e alle aspirazioni cittadini, il sindaco di Betlemme ha sostenuto l’importanza dei governi locali come portatori delle istanze che vengono dal basso e devono essere comprese dalle alte sfere della politica. E quando le è stato chiesto cosa potessero fare i comuni italiani per aiutare una città come Betlemme, “da dove è partito un

importante messaggio per l’umanità ma dove sembra che l’umanità abbia fallito”, Vera Baboun non ha esitato a richiedere un’azione molto specifica: che i comuni italiani facciano pressione sul loro governo nazionale affinché richieda a Israele di interrompere la costruzione del Muro dell’Apartheid nella Valle del Cremisan, già funestata da enormi insediamenti che impediscono l’accesso ai luoghi  sacri del cristianesimo. A Betlemme, poi, esiste un Centro per la Pace che potrebbe accogliere diversi progetti su cui lavorare insieme, con scambi culturali mirati soprattutto al benessere dei più piccoli.

Di questi scambi si nutre la Fondazione Romualdo Del Bianco di Firenze, che al termine della settimana ha ospitato, tra gli esperti della XVIII Assemblea Internazionale, un altro sindaco palestinese: Othman Dawoud, di Qalqilya, vicino Nablus. Il quale, come buona pratica da condividere, ha voluto parlare dello zoo di Qalqilya, l’unico di tutta la Palestina, pensato per la conservazione della fauna selvatica e per la formazione delle nuove generazioni in questo campo.

Vedi:

http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/sindaco-di-betlemme-visita-papa.aspx

IV – La migliore maestra del mondo è una donna palestinese

Il nome della a vincitrice del Global Teacher Prize 2016 è stato annunciato domenica 13 marzo  da Papa Francesco in un video messaggio in cui diceva: “Faccio i miei complimenti alla maestra Hanan Al-Hroub, che ha vinto questo premio prestigioso per l’importanza che ha saputo dare al ‘gioco’ come parte fondamentale dell’educazione dei bambini”.

Hanan Al-Hroub, insegnante delle elementari, nell’accettare il premio ha detto: “Sono fiera di essere qui come insegnante, donna e palestinese. Prendo questo premio come una vittoria di tutti gli insegnanti e di quelli palestinesi in particolare”. Ogni giorno, ha argomentato, “il ruolo e l’importanza dei maestri sono confermati dalle domande che il mondo ci pone sul futuro dei nostri figli”.

Uno dei finalisti, il britannico Colin Hegarty, che ha creato più di mille video matematici per spiegare questa materia ai ragazzi, dopo la cerimonia ha commentato: “Non sono affatto deluso. Ho trascorso un’ora con Hanan ed è una donna eccezionale, capace di ispirare. Ha vinto la persona giusta, non ci sono dubbi”.

Cresciuta nel campo profughi di Dheishe a Betlemme, Al-Hroub ha descritto “un contesto in cui la violenza era ed è all’ordine del giorno”, e dove è dovuta crescere in fretta. E’ diventata insegnante quando ha capito che doveva fare qualcosa per far superare ai suoi figli il trauma per essersi trovati in mezzo ad una sparatoria mentre tornavano da scuola insieme al padre. “Lo shock subito – ha detto – condizionò pesantemente il comportamento, la personalità e i voti dei miei figli”. Fu allora che decise di inventare nuovi metodi di apprendimento attraverso il gioco, coinvolgendo anche i figli dei vicini. “Poco dopo aver iniziato queste attività – ha spiegato – ho riscontrato netti miglioramenti nei miei figli: cresceva la sicurezza in loro stessi e miglioravano anche i voti a scuola. Per questo decisi di cambiare il mio indirizzo di laurea e diventare un’insegnante”.

Il motto della maestra Hanan è “No alla violenza”, il libro in cui descrive il suo metodo di insegnamento si intitola “Giochiamo e impariamo”.  Incoraggia lo sviluppo di relazioni basate sulla fiducia e il rispetto reciproco.

Come vincitrice, Al-Hroub ha ricevuto in premio un milione di dollari, che vuole spendere per migliorare le condizioni di studio e di lavoro di alunni e insegnanti in diversi Paesi del mondo.

Vedi:

http://www.theguardian.com/world/2016/mar/13/palestinian-teacher-wins-global-prize-worth-1m

https://www.lastampa.it/2016/03/13/esteri/papa-francesco-premia-hanan-alhroub-la-maestra-che-insegna-la-non-violenza-N6P6IpDzwcy4s1dN3X7LbM/pagina.html