Newsletter No 21 – 18/4/2016

“Solo gli uomini liberi possono negoziare”

Nelson Mandela

Indice:

  1. La giornata dei prigionieri palestinesi
  2. La complicità dei medici israeliani
  3. La maratona palestinese
  4. L’ONU in dissenso sulla mostra israeliana
  5. Le donne palestinesi a Roma

I – La giornata dei prigionieri palestinesi

Ricorreva ieri, domenica 17 aprile, la Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi. Di loro si è tornato a parlare, recentemente, seguendo la battaglia del giornalista Al-Qeeq, che ha scelto, insieme a tanti altri prigionieri politici palestinesi, lo sciopero della fame come forma di protesta pacifica contro forme di detenzione ingiustificate da un punto di vista del diritto internazionale e lesive della dignità umana. Detenzioni che si accompagnano, infatti, ad interrogatori violenti a cui vengono sottoposti perfino i bambini, e a torture intollerabili che hanno lo scopo di spegnere qualsiasi tipo di resistenza, anche solo psicologica, al regime di occupazione.

Dopo l’occupazione israeliana della Cisgiordania nel 1967, i palestinesi accusati di reati in base alla legge militare israeliana e giudicati nei tribunali militari sono stati più di 800.000: tale cifra costituisce circa il 20 per cento del numero totale di palestinesi che abitano nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), ovvero il 40% della popolazione maschile totale.

A seguito delle rivolte iniziate negli ultimi mesi del 2015 e che proseguono nel 2016, i prigionieri palestinesi sono in continuo aumento. Al primo marzo 2016 i prigionieri nelle carceri israeliane erano 7000, tra i quali: 700 prigionieri in detenzione amministrativa, 440 bambini (di cui 98 sotto i 16 anni), 68 donne, 6 membri del Consiglio Nazionale Palestinese (CNP), 343 prigionieri dalla Striscia di Gaza –  spesso arrestati al valico di Erez, malati, quando rientravano dopo avuto il permesso di cura in Israele, 70 prigionieri dei territori occupati nel ’48, cioè Israele, 450 cittadini di Gerusalemme Est, e 458 condannati a vita. I prigionieri sono distribuiti in circa 17 prigioni, tutte, tranne una – il carcere di Ofer – all’interno di Israele, in violazione dell’Art. 76 della quarta Convenzione di Ginevra, per cui le forze di occupazione non possono trasferire i detenuti nel proprio territorio. La conseguenza pratica di questo sistema è che molti detenuti hanno difficoltà ad incontrarsi con i loro difensori palestinesi e a ricevere visite dai familiari perché ai loro parenti vengono spesso negati, per “motivi di sicurezza”, i permessi per entrare in Israele.

Israele è l’unico Paese al mondo dove i bambini palestinesi – e solo quelli palestinesi – vengono sistematicamente giudicati da tribunali militari, passando per trattamenti disumani.  Ogni anno vengono arrestati e processati in questi tribunali tra i 500 e i 700 minorenni. Ad oggi, sono più di 400 i ragazzi detenuti in condizioni disastrose nelle prigioni israeliane di Ofer e Mejido.

Nel corso degli ultimi 5 anni, Israele ha nettamente intensificato le detenzioni arbitrarie dei bambini palestinesi e il 2015, in particolare, ha visto il più alto trend di arresti, ben 2.179, specialmente durante gli ultimi tre mesi dell’anno, quando ne sono stati detenuti 1.500. Lo scorso mese di marzo, invece, dei 647 palestinesi arrestati in Cisgiordania e a Gaza, i ragazzi erano 126.

Di solito, questi giovani vengono catturati ai posti di blocco o nel cuore della notte, ammanettati e bendati, per essere poi condotti, in un uno dei centri per gli interrogatori presenti in Israele.

Per protestare contro tutto questo, il 27 ottobre del 2013, dalla cella di Mandela a Robben Island, fu lanciata la campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti, eminente leader di Fatah, e di tutti i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane.

E mentre questa campagna prosegue, i gruppi per i diritti dei palestinesi, i parlamentari e le forze politiche della Palestina hanno appena lanciato una campagna parallela, per nominare Marwan Barghouti, condannato da Israele a cinque ergastoli di prigionia pur essendosi sempre dichiarato innocente, al Nobel per la Pace. “Questa candidatura è importante perché afferma che il popolo palestinese ha il diritto di liberarsi dall’ occupazione israeliana” ha detto Fadwa Barghouti, avvocato e moglie di Marwan, di ritorno dal viaggio a Tunisi dove il parlamento locale ha annunciato il supporto alla candidatura per il premio. “Israele definisce Barghouti e gli altri prigionieri come terroristi; questa candidatura dice tutt’altro” ha aggiunto. “Non importa se Marwan vincerà o meno il premio, il fattore cruciale di questa vicenda è l’alto valore legale e simbolico di questa candidatura” ha detto Issa Qaraqe, capo della Commissione dell’OLP per i Prigionieri.  “Tra pochi giorni, Marwan avrà passato quindici anni nelle prigioni israeliane” ha detto Azzam Al-Ahmad, a capo del blocco parlamentare di Fatah. “Israele cercherà di contrastare questa candidatura. Se le autorità sono in grado di imprigionare una ragazzina di dodici anni, allora di sicuro sono contro questa candidatura, perché hanno paura della pace” ha detto Al-Ahmad, in riferimento alla situazione attuale dei bambini prigionieri nelle prigioni israeliane.

In occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi, l ’Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia ha partecipato alla commemorazione organizzata il 15 aprile dall’Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese Onlus, dalla Comunità palestinese di Roma e del Lazio e dall’Associazione Amici dei Prigionieri Palestinesi, dove si sono voluti ricordare anche il giornalista e amico del popolo palestinese Vittorio Arrigoni, a 5 anni dalla sua uccisione a Gaza; e il leader palestinese Abu Jihad, assassinato dagli israeliani 28 anni fa a Tunisi, durante la prima Intifada.

Vedi:

http://nad-plo.org/userfiles/file/media%20brief/NAD_MB_PCIMD_APRIL16.pdf

 

II – La complicità dei medici israeliani

Il Rapporto pubblicato a marzo dai Medici per i Diritti Umani – Israele (PHRI) ci informa che nel corso degli ultimi due anni il numero di prigionieri tenuti in regime di isolamento nelle carceri israeliane è raddoppiato. Già nel 2009 il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura aveva denunciato che Israele usa l’isolamento per forzare le confessioni dei minori. Mentre nel 2011 l’Inviato Speciale dell’ONU sulla Tortura, Juan Méndez, ha stabilito che un regime di isolamento prolungato per più di 15 giorni rappresenta una vera e propria tortura e può causare danni psicologici permanenti. Quel che emerge con sempre maggiore chiarezza dall’ultimo Rapporto PHRI è “il timbro di approvazione” che i medici israeliani danno regolarmente a questo trattamento, nonostante la Dichiarazione di Tokio, adottata nel 1975 dall’Associazione Mondiale dei Medici (e dall’Associazione dei Medici Israeliani), proibisca esplicitamente a qualsiasi medico di prendere parte a torture o trattamenti crudeli.

Vedi:

https://drive.google.com/file/d/0BxHLCgnNX2QxX3NHT2xRLUxqVXc/view?pref=2&pli=1

 

III – La maratona palestinese

Il 1 aprile migliaia di palestinesi e stranieri di 64 nazionalità  diverse  hanno  partecipato  alla quarta edizione

della Maratona di Betlemme, manifestazione sportiva che, secondo le intenzioni degli organizzatori, cerca di evidenziare le gravi restrizioni di movimento dei palestinesi, imposte dall’occupazione militare israeliana.

L’evento, concepito nel 2012 con il nome “Right To Movement” (Diritto di Movimento), ha visto la partecipazione di quasi 4.400 atleti – superando le 3.100 presenze dello scorso anno – con un record del 46% di donne partecipanti.

Partendo dalla Chiesa della Natività, il luogo di nascita, secondo i cristiani, di Gesù, i corridori hanno costeggiato il Muro dell’Apartheid costruito da Israele, che taglia gran parte della città, presso il campo profughi di Deheishe e la città di Al-Khader, vicino al checkpoint militare di Gilo. “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento, ma non tutti hanno questa possibilità e la limitazione al movimento è una delle principali sfide per il popolo palestinese che vive sotto occupazione”, hanno scritto gli organizzatori sulla pagina web della Bethlehem Marathon. “I palestinesi – si legge ancora – “non possono muoversi liberamente sulle strade o da una città all’altra”.

Anche quest’anno, dato che l’Autorità Palestinese (ANP) non controlla, nel distretto di Betlemme, un territorio contiguo di 42 chilometri – cioè la distanza della maratona olimpica, il tracciato si è sviluppato ad anello intorno ad un tratto di 11 chilometri.

All’evento sportivo non hanno partecipato 102 atleti di Gaza a cui Israele – all’ultimo momento e dopo essersi allenati per un anno – non ha concesso il permesso per recarsi a Betlemme.

“Anche se noi abbiamo avuto la possibilità di partecipare a questo evento celebrativo, siamo profondamente consapevoli dei molti ostacoli alla libertà di movimento che i palestinesi affrontano ogni giorno”, ha detto a margine della manifestazione Robert Piper, il coordinatore delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari e il processo di pace.

Ad aggiudicarsi la competizione è stato il sudafricano Mervin Steenkamp con un tempo di 2 ore 35 minuti e 26 secondi. Dopo la premiazione, i partecipanti sono stati tutti inviatati al primo Festival Internazionale del Cibo nella Valle del Cremisan.

Vedi:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2016/04/01/mo-migliaia-tra-palestinesi-e-stranieri-a-maratona-betlemme_c680414a-ed9b-4c25-9165-6b66ed69baf8.html?idPhoto=7

http://palestinemarathon.com/about/whoweare/

https://www.facebook.com/palestinemarathon

http://itheko.club/2016/04/magic-mervin-wins-bethlehem-marathon/

https://www.facebook.com/events/2000329576859841/

http://www.ochaopt.org/documents/press%20release-freedom%20of%20movement_english.pdf

https://www.washingtonpost.com/sports/palestine-marathon-sparks-a-growing-push-for-movement-over-politics/2016/04/02/616c7f0a-f832-11e5-9804-537defcc3cf6_story.html

IV – L’ONU in dissenso sulla mostra israeliana

Le Nazioni Unite hanno deciso di non esibire alcuni pannelli di una mostra su Israele programmata nella sede di New York a partire dal 4 aprile. 3 dei 13 pannelli della mostra, intitolata “Israele conta” e proposta dalla Missione permanente di Israele presso l’ONU insieme all’organizzazione statunitense StandWithUs, sono stati infatti ritenuti “inopportuni”. Si tratta di quelli sul Sionismo, su Gerusalemme e sugli Arabi-Israeliani.

L’Ambasciatore di Israele presso la Nazioni Unite, Danny Danon, ha chiamato il Segretario Generale Ban Ki-moon perché permettesse l’esposizione di questi pannelli, ritirando una decisione a suo dire “scandalosa”.

Danon si è spinto fino a dire che “Squalificando una mostra sul Sionismo, le Nazioni Unite minano l’esistenza stessa dello Stato di Israele come patria del popolo ebraico”; ed ha aggiunto: “Non permetteremo che le Nazioni Unite censurino il fatto che Gerusalemme è la capitale eterna di Israele”. Di più: “Le Nazioni Unite devono scusarsi con il popolo ebraico. Il Sionismo e Gerusalemme sono le pietre fondanti e le basi morali su cui è stato creato lo Stato di Israele”.

In realtà, la decisione di ritirare questi pannelli era doverosa, visti i contenuti. Quello su Gerusalemme descriveva il popolo ebraico come “indigeno di Israele” e affermava

che “Gerusalemme è stata il centro e il fulcro della vita e della religione ebraica per più di 3mila anni, essendo sacra anche ai cristiani e ai musulmani”.

Il pannello sugli Arabi-Israeliani li descriveva invece come “la più grande minoranza in Israele, che rappresenta il 20% della sua popolazione e gode degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini che vivono sotto la legge di Israele”.

Infine, il pannello sul Sionismo definiva quest’ultimo come “il movimento di liberazione del popolo ebraico, che ha cercato di superare 1.900 anni di oppressione riguadagnando la propria autodeterminazione nella sua terra d’origine”.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/1.712529

 

V – Le donne palestinesi a Roma

Una delegazione di 12 donne, direttrici dei Dipartimenti di Genere dei Governatorati palestinesi, è appena stata in Italia nell’ambito del programma Welod, un’iniziativa dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo in Palestina, che ha lo scopo di promuove la partecipazione politica e l’integrazione sociale femminile. La loro prima visita è stata all’Ambasciata dello Stato di Palestina. Venerdì 15 aprile si è invece tenuto, nella bellissima sala dell’UDI (Unione Donne in Italia) presso la Casa Internazionale delle donne, un incontro pensato come momento di confronto aperto su tematiche comuni a tutte le donne, durante il quale vi è stato un effettivo scambio di buone pratiche tra le donne palestinesi e le donne, non solo italiane, che hanno partecipato.  Toccante la domanda di una direttrice palestinese che chiedeva come si fa, in Italia, a contrastare la violenza di genere. Emozionante vedere anche le altre prendere appunti sulla Convenzione di Istanbul. Particolarmente interessante il fatto che, considerando i diversi punti di partenza e nonostante il retaggio di una società patriarcale che ancora caratterizza la dimensione della donna in Palestina, le donne palestinesi si siano dimostrate, in generale, più ottimiste di quelle italiane. Queste ultime, come ha spiegato la consigliera nazionale di parità Franca Cipriani, hanno già avuto molto tempo e troppe occasioni per constatare quanto sia difficile trasferire nella realtà quotidiana i diritti garantiti sul terreno normativo.