Newsletter No 27 – 30/5/2016

“Un popolo non educato, a causa della guerra o per tutti i motivi che ci sono per non poter ricevere un’educazione, è un popolo che decade, decade, decade, e può addirittura cadere fino al livello degli istinti “

Papa Francesco

Indice:

  1. La maestra più brava del mondo in visita a Roma
  2. Il Premio Nobel Coetzee al Festival della Letteratura Palestinese
  3. Guerra all’acqua palestinese
  4. B’Tselem getta la spugna

I – La maestra più brava del mondo in visita a Roma

Di Hanan Al-Hroub e di come abbia vinto il Global Teacher Prize 2016, meglio conosciuto come il Nobel dei docenti, abbiamo già scritto. Era il 13 marzo di quest’anno quando Papa Francesco annunciò il suo nome spiegando che la maestra palestinese aveva meritato il premio “per l’importanza che ha saputo dare al ‘gioco’ come parte fondamentale dell’educazione dei bambini”.  Bambini costretti a subire i traumi e le violenze che porta con sé l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi. Quegli stessi bambini per cui la maestra più brava del mondo ha detto: “Non posso controllare l’ambiente in cui vivono o proteggerli fuori da scuola. Quindi cerco almeno di garantire loro un ambiente felice e sicuro dentro la scuola”.

In questi giorni Hanan Al-Hroub è a Roma, dove è stata accolta sabato 28 maggio con un ricevimento presso l’Ambasciata di Palestina in Italia. In questa occasione, l’Ambasciatrice Mai Alkaila ha voluto ricordare il libro della maestra palestinese “Giochiamo e impariamo”, che ha visto la pubblicazione nonostante mille ostacoli, insistendo sull’importanza dell’educazione per costruire un mondo migliore; ha presentato il marito di Hanan, Omar, ringraziandolo per la sua attività di combattente per i diritti umani, non solo in Palestina; e ha rivolto un omaggio speciale alla “migliore insegnante d’Italia”, Barbara Riccardi, ospite molto gradita. L’On. Marietta Tidei, che ha avuto modo di visitare più volte la Palestina in qualità di membro dell’intergruppo dei parlamentari per la pace, è intervenuta subito per confermare come l’educazione ricopra un ruolo cruciale in una terra come la Palestina, martoriata da guerre e dall’occupazione militare, dove la popolazione locale è costretta a vivere in condizioni precarie, a volte al limite della dignità umana. Il Presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio Salam Ashour, da parte sua, ha ricordato la censura che viene imposta da Israele sui programmi scolastici palestinesi, rivendicando il diritto dei piccoli a conoscere la propria storia. Luisa Morgantini, Presidente di Assopace Palestina, ha condiviso con tutti l’emozione che ancora rievocano le parole pronunciate da Hanan Al-Hroub al momento della premiazione, quando ha urlato a tutto il mondo che aveva vinto per il popolo palestinese.

Gli interventi si sono conclusi con il saluto della vincitrice che, dopo aver ringraziato i presenti sostenendo che quello italiano e quello palestinese siano “i due popoli più belli del mondo”, è tornata con il pensiero alla sua infanzia difficile dicendo, però, di non aver mai perso la speranza, nemmeno da adulta, anche grazie ai bambini con cui lavora: “Perché i bambini sono la speranza”.

Nella mattinata di domenica 29, durante un incontro con Scholas Occurrentes, l’Organizzazione Internazionale di Diritto Pontificio creata da Papa Francesco nella Città del Vaticano nel 2013, che è presente in 190 Paesi attraverso una rete che comprende più di 430.000 scuole in 5 continenti, Hanan ha incontrato il pontefice.

Nel pomeriggio, la maestra palestinese è stata invece invitata dalla Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, insieme all’ideatore del Global Teacher Prize, Sunny Varkey, al direttore della Varkey Foundation Vikas Pota, e alle finaliste italiane delle Edizioni 2015 e 2016  del Global Teacher Prize, Daniela Boscolo e Barbara Riccardi, ad un evento organizzato presso

il Liceo Visconti da cui è stata lanciata l’iniziativa di un Premio Nazionale Insegnanti, gemellato con il Global Teacher Prize.

“È per noi un onore”, ha detto la Ministra Giannini, “lanciare la prima Edizione italiana del Premio alla presenza di Hanan Al-Hroub che, nel difficile contesto di un campo profughi, educa i suoi alunni, attraverso il gioco, al rispetto degli altri, alla capacità di ascolto. Anche nel nostro Paese possiamo contare su molte ‘Hanan’ “. “Quando abbiamo lanciato il Global Teacher Prize non avevamo come obiettivo quello di trovare il miglior insegnante al mondo, ma volevamo creare un movimento che portasse alla luce le migliaia di storie di eroi che hanno trasformato le vite di tanti giovani. Volevamo mettere sotto i riflettori il lavoro incredibile che gli insegnanti fanno in tutto il mondo ogni giorno”, ha sottolineato Sunny Varkey. “Gli insegnanti italiani incidono positivamente sulla vita di tanti giovani – ha dichiarato Hanan Al-Hroub -. Sono loro, i docenti, a indicare la strada ai propri studenti, a fare da guida”.

Vedi:

http://www.dire.it/lettere/un-giorno-hanan-al-hroub-nobel-linsegnamento-perche-leducazione-cruciale-nella-palestina-martoriata/

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs290516

http://ischool.startupitalia.eu/education/54851-20160529-premio-nazionale-insegnanti

http://video.repubblica.it/scuola/hanan-la-migliore-docente-del-mondo-il-sapere-e-l-unica-arma-per-la-pace/241531/241506?ref=HRBV-1

II – Il Premio Nobel Coetzee al Festival della Letteratura Palestinese

Il PalFest si è svolto dal 21 al 26 maggio nei Territori Occupati, coinvolgendo le città palestinesi di

Ramallah, Gerusalemme, Betlemme, Haifa e Nablus. Tra gli altri giganti della letteratura presenti quest’anno, il sudafricano JM Coetzee, Premio Nobel per il 2003.

Nell’ottica del contrappasso, e per mostrare al mondo intero quanto la libertà di circolazione sia limitata dalla presenza delle forze occupanti e dagli insediamenti dei coloni, il Festival della Letteratura Palestinese è un festival itinerante: di giorno gli ospiti internazionali prendono parte a tour storico-politici durante i quali conoscono artisti, autori e attivisti palestinesi; di sera si esibiscono in reading pubblici insieme ai loro colleghi palestinesi. Il tutto passando attraverso checkpoint, posti di blocco stradali e quanti altri ostacoli le forze di occupazione abbiano predisposto. Non a caso questo festival è stato ribattezzato “L’Iron Man dei festival letterari”, perché rappresenta uno dei festival più impegnativi sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Il Produttore Omar Robert Hamilton si rammarica del fatto che ci sia un luogo dove non si riesce proprio ad arrivare e questo posto è Gaza, isolata da un assedio che non permette nemmeno ai suoi abitanti di muoversi.

Giunto alla sua nona edizione e dopo aver ospitato più di 180 autori, il PalFest anche questa volta ha tenuto fede al suo proposito di promuovere i talenti palestinesi nel resto del mondo.

Vedi:

http://palfest.org/post/144243171744/palfest-2016-may-21-26

III – Guerra all’acqua palestinese

Il Primo Ministro Palestinese Rami Hamdallah giovedì 26 maggio ha condannato l’illegale pratica israeliana di distruggere le infrastrutture dell’acqua palestinese. Nel corso di una conferenza stampa, il Premier ha spiegato che “Israele usa ogni mezzo possibile per cacciare via i palestinesi dalla loro terra storica”. Particolarmente gravi gli attacchi delle forze d’occupazione contro l’acqua: “L’acqua è vita – ha detto Hamdallah – e se non hai acqua non puoi esistere”.

Nelle ultime settimane si sono intensificati gli avvisi di demolizione, colpendo cisterne d’acqua per l’irrigazione nel distretto di Hebron finanziate dalle Nazioni Unite, e pozzi d’acqua a Sud di Nablus finanziati dai danesi.

Ciò fa parte della politica delle demolizioni con cui dall’inizio dell’anno Israele ha già distrutto più di 600 strutture, comprese molte abitazioni.

Jamal Dajani, Consigliere del Primo Ministro per la Comunicazione Stategica e i Media, ha commentato che “mentre i palestinesi combattono con l’assenza d’acqua, i coloni usano le scarse risorse d’acqua per riempire le proprie piscine”.  Per questo, secondo Dajani sarebbe importante un intervento dei Paesi donatori.

In Cisgiordania, i coloni israeliani consumano sei volte l’acqua che consumano i palestinesi; disparità ancor più grave se se ne considerano gli effetti sull’agricoltura. Secondo l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), Israele usa l’86% dell’acqua estratta dal bacino acquifero montano, una risorsa che attraversa i confini e che dovrebbe essere condivisa dalle parti in modo equo e ragionevole.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=W6D8hLa36595854603aW6D8hL

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=771627

IV – B’Tselem getta la spugna

Si deve essere trovata di fronte a un dilemma, B’Tselem, una delle più note organizzazioni per i diritti umani israeliane, da anni punto di riferimento sia per i palestinesi vittime delle violenze israeliane che per gli attivisti internazionali: continuare a rivolgersi alle corti israeliane per difendere le vittime palestinesi o tirarsi completamente fuori da un sistema “moralmente inaccettabile”? La prima strada, perseguita per molto tempo, non solo si è rivelata inefficace, ma ha prodotto il senso di frustrazione che prova chi teme, rivolgendosi a un carnefice, di legittimarlo rendendosene addirittura complice.

La seconda è quella che B’Tselem si è decisa a intraprendere in questi giorni, come si legge dal comunicato stampa di mercoledì 25 maggio: “L’organizzazione non intende assistere le autorità nel loro tentativo di creare un’immagine falsa di giustizia. B’Tselem ha deciso di non fare più riferimento al sistema giudiziario militare. Questa decisione si applica anche nei casi di soldati sospettati di aver violato la legge, anche se non ci sarà più nessuno a difendere di fronte ai tribunali le vittime palestinesi”.

Dopo 25 anni di lavoro di denuncia durante i quali B’Tselem si è presentata – dati alla mano – di fronte alle corti israeliane con casi singoli o collettivi, l’associazione ha deciso di smetterla, sostenendo che la giustizia israeliana sia una “macchina che lava” e ripulisce i 50 anni di occupazione israeliana della Cisgiordania: “B’Tselem è gradualmente arrivata a capire che il modo in cui il sistema militare giudiziario funziona impedisce di ottenere giustizia per le vittime. Il fatto stesso che il sistema esista serve a dare una copertura di legge e giustizia”. L’esistenza di un sistema giudiziario e di legge, dice B’Tselem, sostiene la narrativa israeliana secondo la quale non si può negare la natura democratica dello Stato se un meccanismo simile opera e giudica.

A monte della decisione stanno i numeri. Dall’inizio della Seconda Intifada, nel 2000, B’Tselem ha presentato 739 denunce per uccisioni, ferimenti e danneggiamento di proprietà palestinesi: in 182 casi – quasi il 25% – i militari non hanno proprio aperto un’inchiesta, nemmeno di fronte a uccisioni giustificate, secondo loro, da “situazioni di combattimento”; in quasi la metà dei casi (343), l’inchiesta è stata aperta ma anche chiusa senza nessuna conseguenza. Solo in 25 casi (pari al 3%), i soldati sono stati effettivamente accusati di un reato.

Per questo il sistema giudiziario israeliano può permettersi ogni tanto di prendersela con i gradi più bassi dell’esercito e di parlare, eventualmente, di “aberrazioni”. Per lo stesso motivo, B’Tselem è convinta di dover interrompere le proprie attività: il tentativo di convincere i palestinesi a fidarsi della legge, di creare nella comunità la fiducia nel sistema giudiziario quando si è di fronte ad una violazione palese dei diritti umani, è fallito.

Al contrario, la stessa associazione si sente colpevole di aver sostenuto questo sistema, come spiega Karim Jubran, Direttore delle ricerche sul campo di B’Tselem: “Mi vergogno”, ha detto; come si vergogna il suo collega Yael Stein, che ha aggiunto: “Siamo diventati appaltatori dell’occupazione – – legittimando l’occupante”.

L’organizzazione continuerà comunque a documentare gli effetti devastanti dell’occupazione producendo i suoi Rapporti sui diritti umani.

Vedi:

https://www.youtube.com/watch?v=j7Ljala5nPo

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=CNqiURa36589192332aCNqiUR

http://nena-news.it/israele-btselem-basta-essere-complici-delloccupazione/