Newsletter No 30 – 20/6/2016

“Sia chiaro: la mancanza di alimenti non è qualcosa di naturale, non è un dato né ovvio né evidente. Che oggi, in pieno secolo ventunesimo, molte persone patiscano questo flagello, è dovuto ad una egoista e cattiva distribuzione delle risorse, a una mercantilizzazione degli alimenti”

Papa Francesco

Indice:

  1. Il sindaco di Tel Aviv incolpa Israele per gli attentati
  2. Israele è la prima causa di sofferenza per i palestinesi
  3. Le provocazioni durante il Ramadan
  4. Il paradosso della presidenza israeliana all’ONU
  5. La Palestina fuori da Interpol

I – Il sindaco di Tel Aviv incolpa l’occupazione per gli attentati

Ron Huldai, sindaco laburista di Tel Aviv, ha reagito all’attentato mortale che mercoledì 8 giugno ha colpito gli avventori del mercato di Sarona, nel cuore della città che amministra, accusando il proprio governo per quello che era appena successo: “Noi, come Stato, siamo gli unici al mondo ad avere un altro popolo a cui neghiamo qualsiasi diritto civile, che vive tra di noi, sotto la nostra occupazione”. Il problema, ha aggiunto, è che “quando non ci sono episodi di terrorismo nessuno parla dell’occupazione”. Secondo Huldai, “nessuno ha il coraggio di fare un passo avanti verso la sistemazione dello status finale (…) Dobbiamo invece dimostrare ai nostri vicini che intendiamo veramente tornare alla realtà, non puoi continuare a tenere le persone sotto la tua occupazione ed aspettarti che raggiungano la conclusione che per loro va bene così. La realtà deve cambiare in peggio affinché la nostra consapevolezza cambi al punto di capire che dobbiamo evacuare (i Territori Occupati)”.

Vedi:

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=771809

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Tel-Aviv-Mayor-Ron-Huldai-blames-occupation-for-attack-456351

http://972mag.com/tel-aviv-mayor-says-the-occupation-is-a-cause-of-palestinian-terror/119936/

II – Israele è la prima causa di sofferenza per i palestinesi

Il Quinto Rapporto Annuale sulla situazione nei “Territori Occupati” reso noto il 13 giugno dall’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), individua nel conflitto con Israele – e in particolar modo nell’occupazione della Cisgiordania e nel blocco di Gaza – la causa principale della “vulnerabilità umanitaria” del popolo palestinese.

Pubblicato in inglese, arabo ed ebraico, il Rapporto s’intitola “Vite frammentate” e mostra chiaramente “l’effetto devastante” di un’occupazione che dura da quasi 50 anni. Per quanto riguarda Gaza, “le sofferenze causate dalle ostilità del 2014 – con circa 90.000 palestinesi ancora sfollati nella seconda metà del 2015 – si sommano agli 8 anni di blocco imposto da Israele e alla quasi continua chiusura del valico di Rafah”. In Cisgiordania, il numero di palestinesi morti o feriti per mano delle forze di occupazione israeliane nello stesso periodo è il più alto mai registrato dall’OCHA. A questo, si aggiunge la violenza dei coloni, aggravata da un’applicazione della legge del tutto insufficiente da parte delle autorità israeliane. Una violenza che secondo il rapporto “è spesso messa in pratica come parte del tentativo calcolato dei coloni di spingere i contadini palestinesi fuori da quelle che in questo modo divengono, de facto, aree controllate da Israele”.

Dure critiche vanno anche al giro di vite sul “terrorismo” per cui “alla fine del 2015 nelle carceri israeliane c’era il numero di palestinesi più alto dal 2010 (oltre 6.000) e in particolare di bambini palestinesi più alto dal 2008 (422)”.

Per tutti questi motivi, il Rapporto dell’OCHA chiede che Israele ponga termine alla controversa pratica della detenzione amministrativa che non prevede processi per chi è sospetto di terrorismo; non tolleri più la violenza contro i palestinesi; e stabilisca la fine del blocco di Gaza, una forma di “punizione collettiva”.

Vedi:

https://www.ochaopt.org/humanitarian-overview-2015

                                                                                                            

III – Ostacoli e provocazioni durante il Ramadan

Oltre 100 mila fedeli musulmani hanno eseguito la preghiera comunitaria ad Al-Aqsa, nel primo venerdì di Ramadan, nonostante le restrizioni imposte da Israele.

Mentre i fedeli si affollavano verso Gerusalemme di primo mattino per pregare nella moschea di Al-Aqsa, la polizia israeliana piazzava barricate sulle strade di accesso alla Città Vecchia e alla Moschea, controllando le identità di ogni persona. A questi ostacoli si sono aggiunte le provocazioni dei coloni, non nuove nella moschea, ma particolarmente sgradite in questo mese sacro. Il Presidente Abu Mazen ha infatti immediatamente condannato l’assalto alla moschea avvenuto domenica 12 giugno, durante il quale circa 130 coloni hanno tentato di entrare nel luogo di culto, definendolo come una “linea rossa”.

La Commissione islamo-cristiana a sostegno di Gerusalemme e dei Luoghi Santi ha affermato che si è trattato di una grave violazione della sacralità del luogo e del Ramadan, invitando a porre fine a tali aggressioni.

In un comunicato la Commissione ha sottolineato che le autorità israeliane permettono ai coloni di violare Al-Aqsa e di eseguire spesso rituali nei cortili durante il Ramadan, il mese sacro dei musulmani. “Israele sfrutta il silenzio internazionale per intensificare le violazioni”, ha sottolineato.

La stessa Commissione ha rilevato che la visita del Segretario generale della Lega Araba, Nabil Al-Arabi, in Palestina, prevista per il 20 giugno, sarà un’occasione per denunciare le politiche di ebraicizzazione di Gerusalemme Occupata ed invitare la Lega Araba a fare pressione sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per interrompere le brutali violazioni israeliane contro Al-Aqsa.

 

Vedi:

http://www.infopal.it/84695-2/

https://www.almasdarnews.com/article/israeli-settlers-storm-al-aqsa-mosque-ramadan/

 

IV – Il paradosso della presidenza israeliana all’ONU

Commentando la decisione del Gruppo dei Paesi dell’Europa Occidentale e Altri (WEOG) di nominare Israele per la presidenza della Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Hanan Ashrawi, Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha detto che “Nominare Israele alla presidenza di una commissione UNGA è come chiedere a un lupo di proteggere le pecore”. Spiegando: “E’ davvero ironico che Israele, uno Stato che continua a violare il diritto e le convenzioni internazionali, il diritto umanitario e un infinito numero di risoluzioni dell’ONU, sia nominato a capo di una commissione per gli affari legali che ha lo scopo di promuovere il diritto internazionale e di proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali”.

Con questa decisione, ha aggiunto Ashrawi, il Gruppo prende in giro il sistema legale internazionale, premiando invece Israele per le sue flagranti violazioni del diritto internazionale così come per i suoi atti di violenza e punizione collettiva, compreso il furto continuo di terra e di risorse palestinesi, l’espansione degli insediamenti illegali, la demolizione e pulizia etnica di intere comunità e villaggi palestinesi, l’uso di  armi letali e la pratica di uccisioni extragiudiziali di palestinesi innocenti, la revoca delle carte di identità ai cittadini di Gerusalemme, e l’aumento delle detenzioni amministrative per uomini, donne e bambini palestinesi.

Per questo la dirigente dell’OLP non si è limitata a chiedere che il Gruppo ritirasse la nomina (cosa che il Gruppo non ha fatto), ma ha insistito perché Israele sia ritenuto responsabile per le sue violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani: “Come popolo sotto occupazione, resteremo saldi e imperterriti nel nostro intento di perseguire ogni canale diplomatico e legale per contrastare le violazioni di Israele e salvaguardare il diritto del nostro popolo all’auto-determinazione, alla giustizia e alla libertà”.

Vedi:

http://imemc.org/article/dr-ashrawi-nominating-israel-to-chair-unga-committee-like-asking-the-wolf-to-guard-sheep/

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=Uvxg0da36713871975aUvxg0d

V – Israele vuole la Palestina fuori da Interpol

La Palestina cerca da tempo di entrare a far parte dell’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol). L’iniziativa di questi ultimi mesi segue anni di preparativi e un sensibile aumento dei Paesi che riconoscono la Palestina come Stato, cosa che rende l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale di Interpol più verosimile. Le regole richiedono infatti il consenso di due terzi più uno dei 190 membri, e considerando che più di 130 Paesi hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina, questa maggioranza sembra a portata di mano. I motivi che spingono la Palestina ad entrare a far parte di questa organizzazione sono molteplici. Da un lato la membership servirebbe, insieme a quella già acquisita nella Corte Penale Internazionale, a mettere Israele di fronte alle proprie responsabilità per i crimini di guerra commessi e le ingiustizie fatte subire ai palestinesi. Interpol sarebbe infatti obbligata a prestare il suo aiuto in caso di rimostranze. Dall’altro, come ha spiegato il Gen. Adnan Al-Damiri, portavoce della polizia palestinese, l’ingresso in Interpol, oltre a migliorare la sicurezza in Palestina, “rafforzerebbe gli sforzi palestinesi per la costruzione di uno Stato (…) Siamo sotto occupazione, ma ci consideriamo come uno Stato in costruzione, e riteniamo utile a questo scopo il nostro ingresso in un’organizzazione internazionale così importante”.

L’importanza è simbolica e pratica, quindi. Interpol è un’organizzazione di Stati sovrani e l’ingresso della Palestina equivarrebbe al riconoscimento della sua sovranità.

Non a caso i media israeliani hanno reso pubblici gli sforzi del loro governo per impedire che ciò avvenga.

Vedi:

http://english.pnn.ps/2016/05/26/israel-making-efforts-to-prevent-palestine-from-joining-interpol/

http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/06/palestine-join-interpol-extradition.html