Newsletter No 34 – 25/7/2016

“Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri, coloro che mungono le nuvole”

Mahmoud Darwish

Indice:

  1. Villaggio beduino distrutto per la centesima volta
  2. Contro Gaza attacchi da terra e da mare
  3. La trappola di Netanyahu
  4. Attualità della Conferenza Internazionale
  5. La Palestina a Napoli

I – Villaggio beduino distrutto per la centesima volta

Non è un modo di dire, è veramente la centesima volta che le autorità israeliane distruggono il villaggio beduino di Al-Araqib. La prima demolizione era avvenuta esattamente 6 anni fa, il 27 giugno 2010; la centesima il 29 giugno, per la seconda volta nel corso dello stesso Ramadan. Aziz Sayyah Al-Tuhri, un attivista del luogo, ce la spiega così: “Immagina che stai mangiando il tuo sahour alle 4 del mattino e poco dopo la tua casa viene distrutta”. Ciò può succedere se contro di te c’è chi comprende solo “la lingua dello strapotere e della criminalità”. Gli stessi, dice, “che vogliono farci raggiungere una disperazione tale da andare via di qui spontaneamente”.

Questo però non accadrà, secondo un altro attivista, anzi: “La politica israeliana ci renderà ancora più tenaci e determinati a restare nella terra dei nostri padri e dei nostri nonni”.

Al-Araqib è uno dei 35 villaggi del Negev che Israele ha dichiarato “non riconosciuti”.  Secondo l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI), più della metà dei circa 160.000 beduini del Negev vive in villaggi “non riconosciuti”. Questo termine, che si applica a molti villaggi beduini in Israele, significa che Israele può rifiutare ai residenti l’accesso all’acqua pubblica, alla rete elettrica, ai servizi sanitari e scolastici, e alle più elementari infrastrutture.

Anche se i beduini vengono considerati cittadini di Israele, il governo non ha mai fatto nulla per garantire loro gli stessi diritti degli altri cittadini, mentre fa di tutto per espellerli e lasciare spazio alle case di ebrei israeliani. Per questo molti dei residenti di Al-Araqib si sono già trasferiti nel corso degli anni in altre città.

La tattica usata dal governo israeliano è identica a quella dispiegata nell’Area C della Cisgiordania, sotto il totale controllo delle forze occupanti, dove ai palestinesi mancano i servizi fondamentali e dove le loro case vengono demolite in continuazione con la scusa che mancano i permessi che proprio Israele evita di concedere. Nel 2015, le demolizioni hanno colpito per lo più le comunità beduine dell’Area C.

Secondo il Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case, dall’occupazione del 1967 sono state demolite circa 48.500 case e strutture palestinesi.

Vedi:

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=772046

II – Contro Gaza attacchi da terra e da mare

Il 19 luglio la marina militare israeliana ha aperto il fuoco contro i pescatori palestinesi ferendone almeno uno, mentre l’esercito penetrava i confini della Striscia. I pescatori navigavano all’altezza di Al-Sudaniya entro le sei miglia nautiche attualmente concesse loro, quando sono stati attaccati. Oltre alle ferite riportate da uno di loro, si contano gravi danni a una delle imbarcazioni. E se il ferito è stato portato rapidamente in ospedale, anche gli altri si sono visti costretti a tornare a riva per paura di essere arrestati o addirittura uccisi.

Negli stessi attimi, quattro carri armati israeliani, accompagnati da ruspe, si insinuavano nella linea di confine di Gaza ed entravano 150 metri dentro i terreni agricoli ad Est di Al-Qarara, nel Sud della Striscia, radendoli al suolo e sparando in tutte le direzioni.

Due giorni dopo, 4 ruspe provenienti dalla postazione di Al-Matbaq sono entrati di 50 metri nella parte Est della città di Rafah, scortate da jeep e droni militari.

Queste aggressioni non sono una novità ma una routine che viola la tregua fissata nell’agosto del 2014.

Le 6 miglia di cui almeno teoricamente i pescatori dispongono per procurarsi da vivere sono ben al di sotto delle 20 concesse dagli Accordi di Oslo.  Eppure, secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR), tutti gli attacchi rivolti ai pescatori palestinesi si sono verificati all’interno di questi limiti imposti, ciò che dimostra come la politica israeliana miri ad aumentare le restrizioni per i pescatori di Gaza e i loro mezzi di sostentamento.

Lo stesso vale per i contadini, ai quali è impossibile coltivare i terreni limitrofi senza correre il rischio di essere bersagliati dall’esercito israeliano.

In generale, il blocco illegale che si è andato irrigidendo sempre più a partire dal giugno 2007 ha avuto un impatto disastroso sulla situazione umanitaria ed economica della Striscia di Gaza. Per nove anni consecutivi Gaza si è vista costretta ad una situazione di progressivo isolamento sia dalla Cisgiordania sia dal resto del mondo.

Ciò ha significato la sistematica violazione dei diritti economici, sociali e culturali della popolazione, cioè il deterioramento delle condizioni di vita di 1,8 milioni di persone.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=8KpfeKa37828374738a8KpfeKhttp://english.wafa.ps/page.aspx?id=8KpfeKa37828374738a8KpfeK

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=772324

III – La trappola di Netanyahu

L’ultimo Rapporto settimanale del governo palestinese, pubblicato il 20 luglio, si concentra sul fatto che il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, continua a disinformare e ad ingannare la comunità internazionale. Nessun ministro israeliano, infatti, ammette di essere di fatto protagonista di una campagna di istigazione alla violenza contro i cittadini palestinesi, portata avanti per mano dei coloni e dell’esercito in quella che è divenuta una punizione collettiva permanente di un intero popolo.

Non a caso Netanyahu fa di tutto per sventare i tentativi internazionali di riavviare il processo di pace, rifiutando categoricamente l’iniziativa di pace francese. Ciò è in linea con il proposito di impedire la costruzione di uno Stato palestinese indipendente, sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est capitale.

In particolare, il Rapporto del governo palestinese si sofferma sulla continua espansione degli insediamenti e la recente approvazione di 90 nuove unità abitative nell’insediamento di Gilo, a Sud-Ovest di Gerusalemme, senza trascurare la recente legge della Knesset che consentirebbe l’annessione a Israele dell’insediamento di Ma’aleh Adumim. Si tratta, quest’ultima, di un’iniziativa della lobby Terra d’Israele, capeggiata dai parlamentari Yoav Kish (Likud) e Betzalel Smotrich (Casa Ebraica), per cui “le leggi e i principi amministrativi dello Stato d’Israele saranno applicati al territorio di Ma’aleh Adumim”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=Ed6wbma37838844021aEd6wbm

IV – Attualità della Conferenza Internazionale

Il 18 luglio, il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, si è incontrato in Palestina con una delegazione di 14 senatori degli Stati Uniti, democratici e repubblicani, alla presenza del Console Generale di Gerusalemme Donald Blome. In questa occasione, Erekat ha ribadito la necessità della soluzione dei “Due Stati”: uno Stato palestinese sui Territori Occupati del 1967 con capitale Gerusalemme Est, che possa vivere in pace e sicurezza accanto allo Stato d’Israele. A questo scopo, secondo Erekat occorre affrontare una volta per tutte il tema dei rifugiati e quello dei prigionieri, attenendosi ai principi del diritto internazionale. Questi rappresentano la migliore garanzia per la pace e la stabilità nella regione, nonché un solido punto di partenza per la sconfitta dell’estremismo e del terrorismo. Perciò è importante collaborare con la Francia e riportare la questione palestinese nella sua dimensione internazionale, sostenendo la convocazione di una Conferenza Internazionale per la pace capace di applicare le Risoluzioni dell’ONU e di fissare scadenze ben precise per i negoziati. In quest’ottica, qualsiasi processo di pace dovrà garantire la cessazione di tutte le attività coloniali di Israele, comprese quelle presenti nella città di Gerusalemme.

A dimostrazione che l’attenzione palestinese per la Conferenza Internazionale non è affatto scemata, anche il Presidente Abu Mazen aveva voluto rilanciarla, intervenendo al 27° Summit dell’Unione Africana domenica 17 luglio a Kigali, in Rwanda, dove ha chiesto apertamente il sostegno alla Conferenza da parte degli Stati Membri dell’Unione.

Proprio dall’Africa, d’altro canto, pochi giorni prima era partita un’importante risoluzione della Chiesa Congregazionalista Unita dell’Africa del Sud (UCCSA), che raccoglie oltre 1000 chiese locali tra Sudafrica, Namibia, Zimbabwe, Mozambico e Botswana, secondo la quale “la lotta palestinese non è semplicemente un conflitto, ma una guerra asimmetrica tra un oppressore e un popolo oppresso.

Un’oppressione che si esercita attraverso una lunga discriminazione istituzionale contro i palestinesi dei Territori Occupati, nonché contro coloro che risiedono in Israele o che fanno parte della diaspora a cui non è consentito il ritorno”.

Vedi:

http://www.mofa.pna.ps/en/2016/07/18/president-mahomud-abbas-urges-african-union-to-support-the-french-initiative/

http://www.bdssouthafrica.com/post/press-statement-south-african-church-backs-palestinian-struggle-and-adopts-bds-boycott-of-israel-2/

 

V – La Palestina a Napoli

Sabato 23 luglio, presso l’Aula Magna dell’Università degli studi di Napoli Federico II, si è tenuta la celebrazione dei dieci anni di gemellaggio e cooperazione tra l’Università di Nablus An-Najah e quella di Napoli Federico II, che ha visto anche il rinnovo degli accordi.

Ha aperto l’evento il Prof. Raffaele Porta, responsabile dell’accordo tra le due Università, che ha dichiarato: “I palestinesi sono la popolazione più istruita e secolare del mondo arabo, danno valore all’istruzione e alla cultura e definirli estremisti o fanatici è completamente contro quelli che sono i loro valori”.

 Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, cittadino onorario palestinese, ribadendo il valore della cooperazione e del senso di fratellanza tra il popolo palestinese e quello napoletano, ha sottolineato l’importanza, per il raggiungimento della pace, di un riconoscimento da parte dell’Italia e di tutta la comunità internazionale dello Stato palestinese.

L’ambasciatrice dello Stato di Palestina, Dra. Mai Alkaila, ha parlato del ruolo fondamentale della cultura e della scienza: “La Palestina – ha spiegato – conta ora diverse Università, tutte riconosciute a livello internazionale. Il gemellaggio tra istituzioni universitarie rafforza il legame culturale e scientifico tra i popoli. Forgiando questi legami e preparando le giovani generazioni in un’ottica di pace, questa avrà radici più solide”.

Sono poi intervenuti il Presidente della Comunità Palestinese in Campania, Shafik Kurtam, e l’ex Magnifico Rettore dell’Università Federico II, Massimo Marelli.

Sulla cooperazione sanitaria tra le due città hanno invece preso la parola il Prof. Carlo Vosa, Direttore dell’Unità di Cardiochirurgia dell’Università Federico II, e Souzan Fatayer, membro della Comunità Palestinese in Campania. Entrambi hanno sottolineato l’importanza di questa intesa mostrando – attraverso le storie di bambini e adulti palestinesi operati a Napoli – come quest’opera abbia salvato o cambiato in meglio la vita di decine di pazienti e delle loro famiglie.

Infine, a proposito del Master su Alimentazione e Tecnologia Alimentare sono intervenuti il Direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie Matteo Lorito e, per l’Università di Nablus, il Prof. Jihad Abdallah.

Hanno concluso la serie di interventi, con un discorso sulle prospettive future, il Presidente ad interim dell’Università di Nablus, Maher Natsheh, e il Magnifico Rettore dell’Università di Napoli, Gaetano Manfredi.

Vedi:

https://www.facebook.com/Palestina-pace-e-libert%C3%A0-Palestine-peace-and-freedom-1550306975269448/photos/?tab=album&album_id=1590449911255154

https://www.youtube.com/watch?v=q8LGhB76FCQ&feature=youtu.be