Newsletter No 38 – 19/9/2016

“La Palestina è un Paese sul mappamondo. Né grande né piccolo. Se ci date una mano a vivere in pace avremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno”

Zahi, 12 anni, da Gaza “In Altro Mare”

Indice:

  1. Solo bastoni, niente carote
  2. Il Pil palestinese senza occupazione
  3. Israele distrugge ciò che l’Europa costruisce
  4. Attivista palestinese eletto Presidente della Federazione Internazionale per i Diritti Umani
  5. I ragazzi palestinesi tornano a vela e scalano montagne
  6. Per non dimenticare Sabra e Shatila

I – Solo bastoni, niente carote

Seguendo il copione delle punizioni collettive già denunciate dalle Nazioni Unite, domenica 4 settembre le truppe israeliane hanno preso d’assalto la città di Sair, nel distretto di Hebron, hanno fatto irruzione nella casa della famiglia di Fadi Faroukh, un giovane palestinese ucciso nel novembre 2015, e hanno distrutto tutto ciò che potevano distruggere. Secondo la testimonianza del fratello di Fadi, Saed, i soldati hanno addirittura minacciato d’arrestare la figlia del defunto, di soli 10 mesi. Andandosene, avrebbero poi affisso alla porta della casa saccheggiata un avvertimento per tutti gli abitanti della città, che prometteva “un aumento degli sforzi contro i terroristi e chiunque sia coinvolto nelle loro attività”.

Non si tratta di un episodio ma di una politica, recentemente presentata dal nuovo Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman utilizzando la metafora “del bastone e della carota” per giustificare la mano dura contro i presunti terroristi e promettere “ricompense economiche alle zone che non hanno prodotto terroristi”, ma che di fatto va avanti da anni con il solo uso del bastone.

Vedi:

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=772975

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Liberman-unveils-new-carrot-and-stick-policy-for-West-Bank-Palestinians-464360

 

II – Il Pil palestinese senza occupazione

“L’economia dei Territori Palestinesi Occupati raddoppierebbe facilmente il suo Pil attuale e la disoccupazione sarebbe tenuta entro certi limiti” se non ci fosse l’occupazione israeliana. Lo sostiene un rapporto della Conferenza dell’Onu sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), che ha provato a calcolare quello che chiama “lo sconcertante costo economico dell’occupazione”.

Il rapporto cita i limiti al movimento, la distruzione delle risorse, l’espansione degli insediamenti israeliani e la confisca di terra, acqua e risorse naturali come “canali attraverso i quali l’occupazione sottrae al popolo palestinese i suoi diritti umani allo sviluppo”. La stessa fonte informa sulla situazione a Gaza, caratterizzata da un tasso di mortalità infantile non solo elevatissimo, ma in aumento per la prima volta in 50 anni.

 

Vedi:

http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=54857#.V9FI1PmLSUk

https://unispal.un.org/DPA/DPR/unispal.nsf/47d4e277b48d9d3685256ddc00612265/4a6dc73a1b615fe485258022004dd0e3?OpenDocument

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/israele/2016/09/07/mo-onu-senza-occupazione-pil-palestinese-sarebbe-doppio_35cc9f52-1fa8-4102-a62f-04a477e2f9ac.html

http://www.haaretz.com/israel-news/1.740695

 

III – Israele distrugge ciò che l’Europa costruisce

Tra il 2001 e il maggio 2016 Israele ha distrutto circa 150 progetti di sviluppo in Palestina, per un valore di 85 milioni di euro, ciascuno finanziato, totalmente o parzialmente, dall’Unione Europea e dai Paesi Membri, che in questo modo hanno subito una perdita pari ad almeno 58 milioni di euro. Se a ciò si aggiunge lo spreco di aiuti umanitari, la cifra sale a 65 milioni, di cui 23 andati in fumo durante l’attacco di Israele a Gaza nell’agosto del 2014.

Si tratta soprattutto di progetti su vasta scala, ma le demolizioni delle abitazioni palestinesi formano parte integrante della strategia israeliana. Un esempio recente è quello dello scorso 8 agosto, quando alle 6:30 del mattino le forze di occupazione sono entrate ad Umm Al-Kheir, sulle colline a Sud di Hebron, demolendo 5 case di cui 3 costruite con donazioni della UE e lasciando in questo modo senza tetto 27 palestinesi tra cui 16 bambini.

Come conseguenza della politica restrittiva rispetto ai permessi di costruzione rilasciati da Israele, sia i palestinesi che le autorità europee hanno dovuto agire senza “permesso” per fare fronte alle esigenze più elementari, come quella di fornire un riparo o dell’acqua alla popolazione. Di qui la scusa che Israele presenta al momento di demolire.

La decisione dell’Unione Europea di etichettare i prodotti degli insediamenti potrebbe aver incoraggiato il fenomeno delle demolizioni di edifici targati UE. Fatto sta che l’Unione Europea si trova in una posizione di evidente imbarazzo, se, contrariamente a quanto avveniva fino al 2012, tende a non fornire nessuna informazione in merito ai progetti distrutti da Israele.

Vedi:

http://www.euromedmonitor.org/en/article/1255/Squandered-Aid:-Israel%E2%80%99s-repetitive-destruction-of-EU-funded-projects-in-Palestine

http://euromedmonitor.org/uploads/reports/SquanderedAid_En.pdf

https://www.youtube.com/watch?v=GtbpZtSDkCk

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=kPNxTVa38911469652akPNxTV

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/08/israele-mai-cosi-tante-demolizioni-di-abitazioni-palestinesi/2961139/

IV – Attivista palestinese eletto Presidente della Federazione Internazionale per i Diritti Umani

La 39esima Conferenza della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), riunita a Johannesburg dal 22 al 27 agosto, ha eletto Presidente Shawan Jabarin, noto attivista palestinese. Lo ha annunciato Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, dichiarando che “Il popolo palestinese e lo Stato di Palestina sono fieri di questa vittoria storica. I palestinesi hanno sempre giocato un ruolo importante nella difesa dei diritti umani, a cominciare dai propri diritti, calpestati da Israele”.

Jabarin, attivista della Cisgiordania Occupata e Presidente dell’Associazione per i diritti umani Al-Haq (Il Diritto), era già Vice-Presidente della FIDH dal 2013. Secondo Erekat, la sua elezione alla carica di Presidente rappresenta “una risposta pratica, da parte di tutte le organizzazioni per i diritti umani riunite nella Federazione, alla campagna di Israele contro Al-Haq”.

Nelle settimane che hanno preceduto l’elezione di Jabarin, Israele si è infatti ripetutamente scagliata contro di lui e la sua associazione, che ha avuto il merito di documentare meticolosamente le violazioni dei diritti umani avvenute a Gaza nell’estate del 2014 durante i 50 giorni dell’operazione “Margine protettivo”. Una documentazione che ha l’obiettivo di portare Israele e i suoi criminali di guerra davanti a un tribunale, e che i 400 attivisti presenti a Johannesburg, provenienti da 122 Paesi diversi in rappresentanza di 193 organizzazioni per i diritti umani, hanno senza dubbio ritenuto interessante.

Vedi:

http://news.xinhuanet.com/english/2016-08/30/c_135643289.htm

http://www.alhaq.org/advocacy/topics/human-rights-defenders/1067-shawan-jabarin-elected-secretary-general-of-fidh

http://www.alhaq.org/advocacy/topics/human-rights-defenders/707-al-haq-director-shawan-jabarin-elected-vice-president-of-the-international-federation-for-human-rights-fidh

 

V – I ragazzi palestinesi tornano a vela e scalano montagne

Non era la prima volta che vedevamo arrivare dei ragazzini palestinesi alla Scuola di Vela “Mal di Mare”, presso la base velica di Pescia Romana (Montalto di Castro). Di fronte ai sorrisi e all’entusiasmo di 7 bambini e 3 bambine tra i 10 e i 12 anni provenienti dalla prigione a cielo aperto di Gaza, l’emozione è stata la stessa di quella provata esattamente tre anni fa, nel settembre del 2013, quando dalla Cisgiordania Occupata giunsero con AssopacePalestina Sami, Osamah, Nour, Maram e Ahmad, che non avevano mai visto il mare perché l’accesso alle coste della Palestina è loro vietato dai decreti militari israeliani.

A rendere quest’ultima esperienza particolarmente significativa, il fatto che si sia riusciti a dare continuità al rapporto con la Palestina nell’ambito del progetto “In Altro Mare”: un progetto nato cinque anni fa dalla collaborazione tra “Mal di Mare” e un’orchestra che, insieme, hanno individuato nella linea tra mare e terra, dove l’incontro non è mai certo e per questo occorre cercarsi, uno spazio “altro”, dove è possibile includere chi è solitamente escluso.

In questo spazio può succedere che si ripetano nel tempo momenti di scambio e di pace tra ragazzi che provengono da diversi Paesi. “In Altro Mare” questi ragazzi sperimentano la vela, la prima forma di trasporto – e dunque di comunicazione – tra le genti del Mediterraneo. “In Altro Mare” suonano, cantano, ballano e piangono dall’emozione, con altri ragazzi che hanno storie e capacità le più diverse. In questo luogo, la presenza, o meglio la partecipazione, di giovani con disabilità, contribuisce a indebolire una struttura identitaria che spesso imprigiona, rimettendo in discussione ruoli stereotipati ed aprendo la strada a rapporti inesplorati.

E’ qui che sono arrivati, il 2 settembre, Zahi, Husam, Amjad, Issa, Lama, Julia, Ola, Eyad, Khader e Ghattas – insieme a George, il loro accompagnatore – grazie alla collaborazione della Scuola di Vela con AssopacePalestina, Gazzella Onlus e l’YMCA di Gaza. Ed è qui che sono stati accolti dai maestri di vela Mauro Pandimiglio, Giulia Attiani, Fulvia Conte, Stefano Verzilli e Veli Palushi, insieme agli altri allievi della scuola. In questo spazio hanno conosciuto Mai Alkaila, Ambasciatrice in Italia del loro Stato, la Palestina; il prestigiatore Andrea Sestieri e i musicoterapeuti Max Ventricini e Chiara Frontini; la Musica del Mediterraneo di Isabella Mangani e Stefano Donegà. Qui, soprattutto, hanno fatto amicizie, profonde da subito, che hanno rivelato un po’ di preoccupazione per il futuro ma anche la promessa di non perdersi. E da qui sono ripartiti il 10 settembre, per passare dal mare di Pescia Romana ai Monti Lepini di Supino e trascorrere 4 giorni ospiti di Luisa Morgantini e AssopacePalestina nel Centro “Bab Al Shams”, “La Porta del Sole” che prende il nome dal villaggio costruito eroicamente dai Comitati Popolari per la resistenza nonviolenta nella zona E1 di Gerusalemme Est, sfidando l’occupazione israeliana. I volontari di Sistema Natura li hanno accompagnati ad esplorare la montagna; i bambini di Supino hanno giocato con loro; il sindaco Gianfranco Barletta li ha accolti calorosamente in municipio.

Non finisce qui. Il prossimo passo del Progetto “In Altro Mare”, delle associazioni che hanno collaborato, e di tutti coloro che vorranno continuare a dare una mano, potrebbe essere l’apertura di una Scuola di Vela a Gaza City, vicino al porto. Le Nazioni Unite, il consolato italiano, l’Ambasciata Palestinese, e tutti gli organismi di cooperazione italo-palestinese hanno già dato riscontri positivi. Le porte della Scuola “Mal di Mare” e del Centro “Bab Al Shams” saranno sempre aperte.

Vedi:

http://www.lastampa.it/2016/09/02/italia/cronache/da-gaza-a-roma-vela-e-speranza-per-ragazzi-U2ybaunSJZhF1dQSgxrFSM/pagina.html

https://www.facebook.com/InAltroMare

https://www.facebook.com/luisa.morgantini

VI – Per non dimenticare Sabra e Shatila

Maurizio Musolino se ne è andato pochi giorni prima dell’anniversario della strage dei campi profughi di Sabra e Shatila, in Libano. Il massacro della popolazione palestinese avvenne infatti tra il 16 e il 18 settembre 1982. A giugno di quell’anno Israele aveva lanciato la sua operazione “Pace in Galilea” per distruggere l’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina guidata da Yasser Arafat allora di base in Libano.  Invadendo per la seconda volta il Libano, Israele intraprendeva una guerra che avrebbe fatto 20.000 vittime e distrutto un intero Paese. Bombardamenti, bombe a grappolo e al fosforo, ridussero infatti il Libano e la sua capitale ad un cumulo di macerie fumanti.  Il 16 settembre, uomini delle milizie libanesi entrarono nei campi profughi palestinesi. Iniziò così una carneficina che durò due giorni, con gli israeliani installati a 200 metri da Shatila per creare una cinta intorno ai campi e fornire i mezzi necessari all’operazione. Il bilancio fu di più di 3.000 vittime, per la maggioranza vecchi, donne e bambini.  Il 16 dicembre 1982 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite condannò il massacro, definendolo “un atto di genocidio”; una commissione d’inchiesta ne attribuì la responsabilità ad Ariel Sharon, costringendolo a dimettersi da Ministro della Difesa di Israele. Ciò non impedì che egli divenisse successivamente Primo Ministro, come ha ricordato in questi giorni il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, sottolineando che “Sabra e Shatila ci ricordano l’importanza di far prevalere la giustizia sull’impunità”.

Per non dimenticare i morti, per non dimenticare Sabra e Shatila, Maurizio Musolino fondò il comitato che porta questo nome. Un comitato che rivendica i diritti dei rifugiati di oggi e di sempre; di tutti quei palestinesi cacciati dalla propria terra e a cui non è consentito fare ritorno in patria, nonostante ne abbiano pieno diritto. Lo stesso comitato, subito dopo aver salutato Maurizio è partito per il Libano con una delegazione che, come ogni anno, ha voluto rendere omaggio alle vittime di Sabra e Shatila, ma anche conoscere e solidarizzare con i tanti palestinesi, profughi fra i profughi, costretti a uscire oggi dalla Siria. Al centro delle iniziative con cui gli oltre 400 mila palestinesi che vivono nei campi profughi del Libano hanno ricordato le vittime della strage e le cause della loro lunga diaspora, il tema del diritto al ritorno secondo la Risoluzione ONU 194, e la richiesta di non essere dimenticati.

L’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia, Mai Alkaila, era con loro, per non dimenticare Sabra e Shatila, per non dimenticare Maurizio Musolino. In particolare, l’Ambasciatrice ha visitato il campo profughi di Burj Al Barjni, la Fondazione Ragazzi della Resistenza nel campo di Mar Elias, il cimitero dei martiri della resistenza nel campo di Shatila e le famiglie delle vittime del massacro.

Vedi:

http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-massacro-di-sabra-e-chatila/10852/default.aspx

https://www.nad.ps/en/media-room/press-releases/dr-saeb-erekat-sabra-and-shatila-massacre-beirut-september-16-17-18-1982