Newsletter No 39 – 26/9/2016

“Dal 1948, Israele persiste nel suo disprezzo della legalità internazionale, violando la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che chiedeva di stabilire due Stati sulla terra storica della Palestina, secondo uno specifico piano di partizione”

Il Presidente Abu Mazen all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 22 settembre 2016

Indice:

  1. Il Presidente Abu Mazen alle Nazioni Unite
  2. Gli aiuti dell’Europa
  3. A Gaza oltre alle barche vengono sequestrati i pescatori
  4. Una campagna per la giustizia economica
  5. Separati alla nascita

I – Il Presidente Abu Mazen alle Nazioni Unite

Giovedì 22 settembre il Presidente dello Stato di Palestina, Abu Mazen, si è rivolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) con un discorso che, a sua detta, avrebbe sperato di non dover pronunciare. Invece, così come continua l’oppressione del popolo palestinese, devono continuare gli appelli alla comunità internazionale perché se ne faccia carico. Per questo, Abu Mazen ha posto alle Nazioni Unite una domanda molto semplice: “Noi (palestinesi) abbiamo accettato il primato e il giudizio del diritto internazionale (…), e abbiamo fatto un immenso sacrificio storico quando l’OLP (…) ha accettato di stabilire lo Stato di Palestina sui confini del 4 giugno 1967 con capitale Gerusalemme Est. Cos’altro ci si può chiedere?”.

A questo punto, ha ricordato il Presidente Abu Mazen, è Israele a dover contraccambiare l’impegno, risolvendo tutte le questioni relative allo status finale: “(Israele) deve cessare le attività di insediamento coloniale e le aggressioni alle nostre città, villaggi e campi profughi. Deve interrompere la sua politica di punizioni collettive e la demolizione delle case palestinesi. Deve porre termine alle esecuzioni sommarie e all’arresto della nostra gente, liberando le migliaia di nostri prigionieri detenuti. Deve anche smetterla con le aggressioni e le provocazioni alla Sacra Moschea di Al-Aqsa.  Perché tutte queste politiche e tutte queste pratiche impediscono un clima in cui si possa realizzare la pace nella nostra regione. Chi cerca la pace come potrebbe fare tutto questo?”.

D’altra parte, ha dichiarato il Presidente, “noi non accetteremo mai la situazione attuale, non accetteremo mai l’umiliazione della dignità del nostro popolo, e non accetteremo mai soluzioni transitorie”.

In particolare, il Presidente ha dovuto ribadire che i piani espansionistici che Israele persegue attraverso gli insediamenti distruggeranno qualsiasi speranza ancora rimasta in merito alla soluzione dei due Stati sui confini del 1967: “Gli insediamenti sono illegali sotto ogni punto di vista e in qualsiasi loro manifestazione”.  Ecco perché la Palestina continuerà a fare pressione e a consultarsi con i Paesi arabi e con tutti gli altri Paesi per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sugli insediamenti e il terrorismo dei coloni: “Speriamo che nessuno ponga il veto”.

Il Presidente è anche tornato sul tema della Conferenza internazionale: “Resta la nostra speranza che tale Conferenza porti a stabilire un meccanismo e una cornice temporale definita per la fine dell’occupazione”.

Questo invece il messaggio per il Premier Netanyahu: “Il riconoscimento da parte nostra dello Stato di Israele, avvenuto nel 1993, resta ancora valido ma non è gratuito. Israele deve contraccambiare con il riconoscimento dello Stato di Palestina e la fine dell’occupazione, così che lo Stato di Palestina possa coesistere accanto allo Stato di Israele, in pace e in sicurezza da buoni vicini ciascuno con i propri confini sicuri e riconosciuti”. Infatti, ha aggiunto Abu Mazen, “Non c’è nessun conflitto tra noi e la religione ebraica o i suoi fedeli. Il nostro conflitto è con l’occupazione della nostra terra da parte di Israele. Rispettiamo la religione ebraica e condanniamo la catastrofe che si è abbattuta sugli ebrei in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, considerandola uno dei crimini più odiosi che siano mai stati perpetrati contro l’umanità”.

In conclusione, ha detto il Presidente Abu Mazen, “Adesso, in questa sessione dell’UNGA, vi chiedo di proclamare il 2017 anno internazionale per la fine dell’occupazione della nostra terra e del nostro popolo, mentre si avvicina, a giugno del 2017, il 50esimo anniversario di questa orribile occupazione israeliana”. Da parte sua, per realizzare questa storica riconciliazione, Israele dovrebbe riconoscere le proprie responsabilità in merito alla Nakba (Catastrofe del 1948) inflitta al nostro popolo fino ad oggi: “Questo aprirà una nuova era di coesistenza e servirà a costruire ponti anziché muri”.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/full-transcript-of-abbas-speech-at-un-general-assembly-1.386385

II – Gli aiuti dell’Europa

Il 19 settembre l’Unione Europea ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti per il popolo palestinese, pari a 38,6 milioni di euro. Si tratta della seconda tranche di un sostegno annuale che raggiunge così i 291 milioni di euro. L’obiettivo sarebbe quello di rilanciare lo sviluppo socio-economico di Gerusalemme Est e dell’Area C della Cisgiordania (sottoposta al controllo Israeliano), cercando di risolvere anche il problema della scarsa acqua potabile a Gaza.

Più di 8 milioni sono destinati a rafforzare l’amministrazione dell’Autorità Palestinese per un censimento e, soprattutto, in vista della soluzione dei due Stati.

Altri 20 milioni sono invece pensati per migliorare l’accesso della popolazione palestinese alle risorse naturali, all’acqua e alla terra, aumentando altresì la competitività del settore agroalimentare.

Infine, 10,5 milioni serviranno a sostenere “la presenza palestinese a Gerusalemme Est in linea con la posizione della UE”, che considera Gerusalemme Est come la futura capitale della Palestina. Questo attraverso il finanziamento di progetti della società civile, la pianificazione urbanistica, la protezione dei diritti socio-economici e dell’identità culturale palestinese.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=usjNh6a42958323408ausjNh6

III – A Gaza oltre alle barche vengono sequestrati i pescatori

Una delle tecniche adottate dagli Israeliani per impedire ai pescatori di Gaza di lavorare è quella di girare intorno alla barca con una grossa motovedetta, alzando onde che impediscano le attività di pesca.

Più drastica la tecnica dell’affondamento o del sequestro. A Gaza con una barca da pesca di medie dimensioni ci vivono almeno 20 persone, mentre con un peschereccio più grande ci vivono in 100. Ciò significa che solo nei tre mesi tra lo scorso aprile e lo scorso giugno, con il sequestro di 21 barche e l’affondamento di due, circa 550 persone hanno perduto le proprie fonti di reddito, ritrovandosi in condizioni di grave insicurezza alimentare.

Tutti questi attacchi sono avvenuti entro i limiti imposti dagli occupanti. Lo ha sottolineato uno dei pescatori intervistati dall’International Solidarity Movement (ISM), facendo luce su un altro fenomeno inquietante: “Loro sanno sempre chi e perché stanno sequestrando, non è perché oltrepassiamo i limiti che ci impongono. Vengono per noi. Hanno sequestrato me e mio cugino mentre eravamo a meno di un miglio dalla costa, eppure quel giorno il limite che ci avevano assegnato era di 6 miglia”.

Emerge da queste testimonianze che una delle ragioni prevalenti del sequestro di pescatori è il tentativo di comprarli o di ricattarli per farli diventare dei collaborazionisti.

Vedi:

http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=5457:a-gaza-negli-ultimi-3-mesi-le-forze-israeliane-hanno-sequestrato-21-barche-e-affondate-due&catid=25&Itemid=75

 

IV – Una campagna per la giustizia economica

Ai primi d’agosto, il Centro Mossawa, che sostiene i cittadini arabi in Israele, ha lanciato una campagna per promuovere i loro diritti economici soffermandosi in particolare sulle possibilità di impiego delle donne arabe e sull’apertura di zone industriali in località arabe. L’idea era di superare in questo modo alcuni degli ostacoli che impoveriscono la comunità araba, formata per il 50% da una  popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. A monte, due discussioni tenute alla Knesset (il parlamento israeliano) ai primi d’agosto, con la Commissione sulla Condizione delle Donne e l’Uguaglianza di Genere; e con la Commissione Finanza.

Grazie all’aiuto di parlamentari, consiglieri locali, attivisti ed esperti, la campagna è andata avanti per il resto del mese di agosto con l’obiettivo di richiamare alle proprie responsabilità il governo israeliano, ed in particolare il Primo Ministro, il Ministro dell’Economia, quello della Finanza e quello dell’Istruzione, facilitando la creazione di posti di lavoro per la comunità araba. Obiettivo immediato, quello di influenzare il dibattito in corso sul budget dello Stato per il 2017-2019.

In Israele, solo il 22% delle donne arabe in età lavorativa ha un lavoro, mentre è impiegato il 58% delle donne ebree. A rendere complicata la ricerca di un lavoro, la mancanza di trasporto pubblico e di asili nido nelle loro località arabe di origine; mentre le poche fortunate che hanno trovato un impiego si vedono retribuire il 40% in meno delle donne ebree che ricoprono la stessa posizione. Ma se solo il 3,5% delle zone industriali si trova in località arabe, ciò significa che qualunque cittadino arabo viene fortemente discriminato quando si tratta di conseguire o di raggiungere, attraverso lunghi viaggi, un posto di lavoro.

Nel budget da rivedere, la campagna prevede il rafforzamento dell’educazione nella comunità araba, con l’aggiunta di migliaia di insegnanti arabi nell’attuale sistema educativo.

Vedi:

http://www.mossawa.org/en/article/view/585

 

V – Separati alla nascita

Lo scorso mese di aprile, in Israele si è scatenato il dibattito intorno a una proposta di legge che separerebbe le donne arabe dalle donne ebree nei reparti maternità degli ospedali israeliani. Nonostante il Ministero della Salute israeliano proibisca, in teoria, “qualsiasi separazione sulla base di discriminazioni”, è risaputo che molti ospedali israeliani praticano questa discriminazione, separando i neonati ebrei da quelli arabi. In seguito alla denuncia fatta in proposito da un programma radiofonico, il deputato della Knesset Bezalel Smotrich, rappresentante di un partito che fa parte della coalizione di governo, non si è tirato indietro ed ha così twittato: “Mia moglie non è per niente razzista, ma dopo avere partorito vuole riposare e non vuole quelle feste di massa che rappresentano la norma tra le famiglie delle donne arabe subito dopo una nascita”. Se ciò non fosse bastato, l’onorevole ha poi aggiunto: “E’ normale che mia moglie non voglia sdraiarsi accanto a qualcuno che ha appena partorito un bimbo che tra una ventina d’anni potrebbe voler uccidere il suo di bimbo”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=3esUF4a34421098998a3esUF4

http://mondoweiss.net/2016/04/segregation-of-palestinians-and-jews-in-maternity-wards-becomes-an-issue-in-israel/

http://www.breakingisraelnews.com/65390/controversial-mk-segregate-jews-arabs-maternity-wards-jerusalem/#GU3Dp7Rbk1VToe8X.97