Newsletter No 51 – 2/1/2017

“Tendiamo le nostre mani in segno di pace e speriamo che la prossima Conferenza Internazionale di Pace a Parigi segni un nuovo cammino che faccia del 2017 un anno di libertà, giustizia e pace”

Il Presidente Abu Mazen

Indice:

  1. Buon Anno dall’Ambasciatrice dello Stato di Palestina
  2. Addio a Monsignor Capucci
  3. L’ultima mossa di Obama
  4. Lega Araba e Unione Europea per i due Stati

I – Buon Anno dall’Ambasciatrice dello Stato di Palestina

L’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia, Dra Mai Alkaila, augura al governo e al popolo italiano un anno di pace, giustizia e libertà.

Per il popolo palestinese, il 2017 segna alcuni importanti anniversari: il 100esimo anniversario della Dichiarazione di Balfour del 1917 e il 50esimo anniversario dell’occupazione israeliana, avvenuta nel 1967, della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza.

Con il 2017 si avvicina anche il 70esimo anniversario della Nakba, la catastrofe che si è abbattuta sul popolo palestinese nel 1948.

Facciamo sì che sia un anno internazionale per porre termine all’occupazione israeliana, un anno per intensificare i nostri sforzi coordinati e collettivi affinché il popolo palestinese veda riconosciuto il proprio diritto all’autodeterminazione e in Medio Oriente prevalga la soluzione dei due Stati, quello di Palestina e quello Israele, che si riconoscono reciprocamente e vivono serenamente uno affianco all’altro.

 

II – Addio a Monsignor Capucci

E’ morto a Roma, il primo giorno dell’anno nuovo, l’Arcivescovo di Gerusalemme in esilio Hilarion Capucci. E’ venuto a mancare un amico, un simbolo e un pezzo di storia del popolo palestinese. Si è spenta una luce per tutti noi. Era un costruttore di ponti, ponti di dialogo, ponti con i fratelli di fede islamica, contro il terrorismo.

Nato nella martoriata Aleppo, in Siria, nel 1922, è stato Arcivescovo della Chiesa Cattolica Greco-Melchita a Gerusalemme dal 1965 fino al suo arresto da parte delle forze d’occupazione israeliana nel 1974, quando fu accusato di sostenere la resistenza palestinese di Al Fatah. Detenuto, torturato, processato e condannato a 12 anni di carcere, il suo divenne un caso internazionale: il popolo palestinese si rivoltò ovunque, vi furono manifestazioni di piazza in tutte le capitali del mondo, diversi governi si mossero e Israele fu costretta a rilasciarlo dopo meno di 4 anni di carcere, consegnandolo allo Stato del Vaticano, che aveva perorato la sua causa attraverso l’intervento personale di Papa Paolo VI. Fu così che si trasferì a Roma nel 1977, a condizione di non fare più ritorno nella sua amata Gerusalemme e nella sua amata Palestina.

In quei giorni Monsignor Capucci diceva: io non sono la straordinaria leggenda che descrivono, sono un semplice uomo che appartiene a un grande popolo combattente; un uomo che ha visto violare il bene, la ragione, il diritto e la giustizia, e che ha gridato per rifiutare questo male e questa ingiustizia. Non smetterò mai di santificare la terra di Palestina e la sua Gerusalemme”.

La Palestina perde con lui uno dei primi sostenitori della resistenza del suo popolo, una guida spirituale ostinata e tenace, amante di tutta l’umanità.

III – L’ultima mossa di Obama

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme Est, e insiste sul fatto che la soluzione del conflitto in Medio Oriente passi per la creazione di uno Stato palestinese che conviva insieme a Israele. La risoluzione è passata con 14 voti a favore perché a sorpresa gli Usa si sono astenuti e non hanno fatto ricorso al loro diritto di veto per bloccare un provvedimento che condanna le azioni di Israele. Di fatto, l’Ambasciatrice statunitense presso l’ONU, Samantha Power, ha rivendicato questa scelta spiegando che “Gli Stati Uniti non possono sostenere allo stesso tempo gli insediamenti israeliani e la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese”.

Il voto era stato rimandato per via delle pressioni sull’Egitto, che aveva inizialmente promosso questa risoluzione, da parte del governo israeliano e del Presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump. Non a caso quest’ultimo, all’indomani del voto, si è affrettato ad annunciare che “Le cose cambieranno quando sarò in carica”. Intanto, però, grazie all’iniziativa ripresa da Malesia, Senegal, Nuova Zelanda e Venezuela, il Consiglio ha emanato una risoluzione storica e “a lungo attesa”, come ha immediatamente sottolineato Riyad Mansour, Osservatore Permanente dello Stato di Palestina presso le Nazioni Unite, definendola “tempestiva, necessaria e importante”. La sua importanza, ha spiegato Mansour, deriva dal fatto che ribadisce una posizione sugli insediamenti israeliani – quella per cui gli insediamenti sono illegali, costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale e rappresentano un enorme ostacolo alla pace – maturata da tempo all’interno del Consiglio e che “riflette un consenso globale di lunga data sull’argomento”. Tuttavia, la Risoluzione 2334 “dovrà avere un seguito adeguato per essere realmente significativa”.

Dello stesso avviso Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP nonché responsabile per la Palestina dei negoziati con Israele: “Questo è un giorno di speranza, un giorno di pace”, ha subito dichiarato. “Questa è una vittoria per coloro che credono nella pace e nella soluzione dei due Stati. E questa è una totale sconfitta per quelle forze estremiste in Israele che vogliono distruggere la soluzione dei due Stati e sostenere il regime di Apartheid che stanno costruendo”.

Non a caso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito il voto “vergognoso”, annunciando che Israele rivedrà i propri legami con le Nazioni Unite. In particolare, la minaccia di Netanyahu si è concentrata sui finanziamenti a cinque agenzie dell’ONU “particolarmente ostili” che Israele a questo punto avrebbe già prontamente riconsiderato. Ma è soprattutto “sul terreno” che Tel Aviv intende sfidare le Nazioni Unite e mostrare i muscoli: di qui la decisione di approvare, a stretto giro di boa, la costruzione di 618 nuove case in diversi insediamenti di Gerusalemme Est.

Gli Stati Uniti, in ogni caso, non hanno nessuna intenzione di recedere. Lo ha chiarito mercoledì 28 dicembre il Segretario di Stato John Kerry con una dichiarazione che, motivata dall’esigenza di giustificare la scelta dell’astensione rispetto alla Risoluzione 2334, si presenta come il testamento politico dell’attuale amministrazione sul conflitto israelo-palestinese. A proposito dell’accusa rivolta da Benjamin Netanyahu a quelli che Israele considerava suoi amici, Kerry ha voluto replicare che “Gli amici devono dirsi la dura verità e rispettarsi reciprocamente”.

Il Segretario di Stato ha anche sottolineato che il rappresentante di Israele presso le Nazioni Unite “non sostiene la soluzione dei due Stati”, per questo non condivide una decisione che va proprio in quella direzione, coerentemente con i valori democratici degli Stati Uniti che Israele “sostiene” di condividere. In realtà, se Israele punta ad un solo Stato, allora deve scegliere “se essere uno Stato ebraico o uno Stato democratico, non potrà essere entrambe le cose”. Il guaio è che la decisione di fatto sembra già presa sul terreno senza tener conto delle conseguenze, perché “lo status quo sta portando ad un solo Stato e ad una occupazione perpetua”, con Israele che consolida il proprio controllo sulla Cisgiordania “invertendo il processo di transizione verso un maggiore ruolo dell’autorità palestinese richiesto dagli Accordi di Oslo”.

In particolare, Kerry ha affrontato la questione degli insediamenti, al centro della risoluzione contestata da Israele, per sottolinearne la crescita esponenziale nel corso degli ultimi anni e chiarire che “l’espansione degli insediamenti non ha nulla a che fare con la sicurezza di Israele”. In realtà, ha detto, “i leader del movimento dei coloni sono motivati da imperativi ideologici che ignorano completamente le legittime aspirazioni dei palestinesi”. Ma ha anche aggiunto che “il problema, ovviamente, va ben oltre la questione degli insediamenti. La tendenza attuale indica un tentativo più complesso di attribuire la Cisgiordania a Israele impedendo qualsiasi sviluppo della Palestina in questa zona”.

Il Presidente Abu Mazen, secondo quanto riferito in una dichiarazione rilasciata da Saeb Erekat, ha seguito con grande interesse il discorso di Kerry, affermando che “Nel momento stesso in cui il governo israeliano si dica d’accordo a cessare tutte le attività di insediamento, compresa la zona dentro e intorno Gerusalemme Est Occupata, e a mettere in pratica tutti gli accordi sottoscritti sulla base della reciprocità, la leadership palestinese sarà pronta a riprendere i negoziati sullo status permanente, sulla base del diritto internazionale e delle risoluzioni internazionali pertinenti, compresa la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite,  all’interno di uno specifico quadro temporale”.

Vedi:

https://www.un.org/webcast/pdfs/SRES2334-2016.pdf

http://palestineun.org/statement-by-h-e-ambassador-dr-riyad-mansour-permanent-observer-of-the-state-of-palestine-to-the-united-nations-before-the-united-nations-security-council-situation-in-the-middle-east-including/

http://www.reuters.com/video/2016/12/24/top-palestinian-official-hails-un-vote-a?videoId=370796981&mod=related&channelName=worldNews

http://www.reuters.com/article/us-israel-palestinians-un-idUSKBN14C1IV

http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/israel-settlements-east-jerusalem-west-bank-illegal-un-netanyahu-obama-trump-a7495891.html

http://www.timesofisrael.com/full-text-of-john-kerrys-speech-on-middle-east-peace-december-28-2016/

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=iWorOEa51965713800aiWorOE

IV – Lega Araba e Unione Europea per i due Stati

Il 20 dicembre, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Sicurezza, Federica Mogherini, aprendo i lavori del quarto incontro tra i ministri degli esteri della UE e quelli della Lega Araba che si è svolto quel giorno al Cairo, ha affermato che la soluzione del conflitto israelo-palestinese è ancora in cima all’agenda europea: “Dobbiamo unire i nostri sforzi per facilitare una soluzione a questo conflitto antico, rilevante e non impossibile da risolvere”.

Per fare questo, ha detto Mogherini, sarà utile tener presenti gli indirizzi suggeriti dall’Iniziativa di Pace Araba per una risoluzione omnicomprensiva del conflitto, mantenendo viva la prospettiva dei due Stati: “Non possiamo sottovalutare i rischi di una nuova escalation di violenze”, ha detto, sottolineando che “Noi possiamo davvero fare la differenza lì”. In particolare, l’Alto Rappresentante UE ha insisto sul fatto che gli europei non sono tra coloro che pensano che sia perduta ogni speranza.

Nella dichiarazione conclusiva rilasciata dai ministri al termine dell’incontro, Unione Europea e Lega Araba hanno ribadito che “la soluzione dei due Stati è l’unica in grado di assicurare una pace duratura in Medio Oriente” e che “con questo obiettivo, la comunità internazionale dovrebbe lavorare con tutti gli attori più importanti per porre termine all’occupazione israeliana cominciata nel 1967 e risolvere tutte le questioni relative allo status permanente”.

Nell’immediato, nel confermare la linea condivisa che vede nella politica di colonizzazione un ostacolo alla pace e alla soluzione dei due Stati, i ministri si sono detti assolutamente contrari sia ai piani israeliani di espansione e costruzione di nuovi insediamenti sia ai tentativi di legalizzare quelli già esistenti.

In questa stessa occasione, i diplomatici hanno chiesto il rilascio dei prigionieri palestinesi sulla base di accordi precedenti, esprimendosi contro l’uso eccessivo, da parte di Israele, della “detenzione amministrativa”, che contravviene ai principi del diritto internazionale.

Da parte sua, il capo delegazione e Ministro degli Esteri palestinese, Riad Malki, ha insistito affinché i Paesi europei che non hanno ancora riconosciuto lo Stato di Palestina lo facessero il prima possibile, suggerendo allo stesso tempo un accordo di partenariato tra l’Unione Europea e la Palestina, in grado di rafforzare lo status giuridico di quest’ultima.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=WL1CZja51893380572aWL1CZj

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=utCy2Ja51895284078autCy2J