Newsletter No 56 – 6/2/2017

“Solo una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese in favore di due Stati e la cessazione di nuovi insediamenti senza espandere i vecchi possono creare la cornice necessaria alla normalizzazione della situazione umanitaria a Gaza e alla costruzione di uno Stato palestinese”

L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, 24 gennaio 2017

Indice:

  1. Il Rapporto del Consiglio d’Europa su Gaza non lascia spazio a dubbi
  2. I giornalisti bersaglio di Israele
  3. Aumentano le violazioni dei luoghi di culto
  4. Record di detenzioni per donne e bambini

I – Il Rapporto del Consiglio d’Europa su Gaza non lascia spazio a dubbi

Il 24 gennaio, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa – la principale organizzazione in difesa dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto del continente, composta da 47 Stati membri, 28 dei quali sono anche membri dell’Unione Europea – ha adottato un Rapporto in cui descrive la disastrosa situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e lancia un appello per sollevare un assedio che dura da più di dieci anni, definendolo come una “punizione collettiva” imposta ai palestinesi in violazione del diritto internazionale.

Il Rapporto ricorda che il 71% della popolazione di Gaza è costituito da cittadini palestinesi rifugiati in seguito alla creazione dello Stato di Israele nel 1948, e sottolinea che per il 43% questa popolazione è disoccupata. Vengono anche evidenziate le enormi difficoltà derivanti dallo scarso accesso all’acqua potabile e gli effetti della distruzione causata dall’aggressione israeliana dell’estate del 2014, quando l’uccisione di migliaia di palestinesi fu accompagnata dalla demolizione di più di 12.000 case e dal trasferimento di almeno 100.000 sfollati.

L’Assemblea del Consiglio d’Europa ha voluto includere in questo resoconto diversi aspetti del blocco: dall’assenza di libertà di movimento al venir meno dell’energia elettrica necessaria; dall’ingiustificata persecuzione dei pescatori all’ “uso eccessivo e intenzionale della forza, senza motivo, contro i civili palestinesi della zona di confine, compresi contadini, giornalisti, medici e manifestanti pacifici”, contravvenendo sfacciatamente “ai principi del diritto umanitario e  internazionale”, fino  a disegnare “uno spaventoso modello di uccisioni illegali evidentemente sistematiche” .

Per questo, il Rapporto afferma che “Il sollevamento del blocco è una precondizione vitale per la risoluzione della crisi umanitaria e dovrebbe essere sostenuto dalla comunità internazionale attraverso la garanzia di condizioni di sicurezza necessarie per il libero movimento delle persone e dei beni”; specificando che “una nuova Conferenza Internazionale” dovrebbe occuparsi della ricostruzione dell’enclave.

Più in generale, la “posizione consolidata” dell’Assemblea per la soluzione dei due Stati e contro l’espansione degli insediamenti viene presentata come l’unica opzione possibile “per creare la cornice necessaria alla normalizzazione della situazione umanitaria a Gaza e alla costruzione di uno Stato palestinese”.

Infine, il rapporto insiste affinché Israele e la Palestina cooperino con l’indagine preliminare della Corte Penale Internazionale (ICC) sui possibili crimini di guerra commessi a Gaza, lanciata nel gennaio del 2015; e affinché i Paesi europei diano il proprio sostegno all’esame che l’ICC dovesse condurre in futuro.

Ricordiamo che la distruzione causata da tre diverse offensive israeliane negli ultimi otto anni, compresi i danni alle risorse idriche, alla sanità, all’energia e alle infrastrutture ospedaliere, insieme alle lentezze nella ricostruzione causate dal blocco, hanno portato le Nazioni Unite ad ammonire sul fatto che nel 2020 Gaza potrebbe essere “inabitabile”.

Per tutta risposta, il 2 febbraio le forze israeliane hanno creduto bene di aprire le dighe vicino al sobborgo di Al-Shuja’iya, nella città di Gaza, allagando i campi coltivati. Testimoni locali affermano che i soldati israeliani hanno volutamente allagato e distrutto le coltivazioni. Non sarebbe la prima volta che violazioni del genere penalizzano ulteriormente un settore agricolo già compromesso dall’assedio e dalle periodiche guerre israeliane.

Vedi:

http://semantic-pace.net/tools/pdf.aspx?doc=aHR0cDovL2Fzc2VtYmx5LmNvZS5pbnQvbncveG1sL1hSZWYvWDJILURXLWV4dHIuYXNwP2ZpbGVpZD0yMzIzOCZsYW5nPUVO&xsl=aHR0cDovL3NlbWFudGljcGFjZS5uZXQvWHNsdC9QZGYvWFJlZi1XRC1BVC1YTUwyUERGLnhzbA==&xsltparams=ZmlsZWlkPTIzMjM4

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=775101

http://www.infopal.it/90579-2/

II – I giornalisti bersaglio di Israele

Il Comitato Palestinese per il Sostegno ai Giornalisti ha riferito che a partire dall’ottobre 2015 le violazioni israeliane contro giornalisti e cameraman palestinesi e non, operanti sui Territori Occupati, sono aumentate drammaticamente: nel solo mese di gennaio del 2017 se ne sono verificate 41, segnando un’impennata.

Un Rapporto appena pubblicato sostiene che ciò richieda un’azione da parte delle organizzazioni per i diritti umani, sia arabe che internazionali, ma anche una forte iniziativa dei sindacati per porre un freno alle violazioni israeliane.

Il Comitato sottolinea la necessità di agire in modo tale da far ritenere Israele il solo responsabile, per mano delle sue forze di sicurezza, di ciò che sta accadendo ai giornalisti.

Tra le violazioni compiute contro i giornalisti, vi sono aggressioni fisiche, arresti e atti intimidatori, nonché la rimozione di siti web, secondo quanto indicato nel Rapporto.

Le condizioni dei giornalisti che lavorano nei Territori Occupati destano da tempo preoccupazione. Ricordiamo qui il caso del giovane giornalista palestinese Al-Qeeq, corrispondente dalla Palestina per la TV saudita Al-Majd, che nel novembre del 2015 è stato sottoposto a detenzione amministrativa senza sapere le ragioni del proprio arresto. Per protestare contro questa ingiustizia Al-Qeeq ha intrapreso uno sciopero della fame durato più di tre mesi e ha perso circa 30 kg, fino a quando le forze di occupazione non sono venute incontro alle sue richieste, garantendone la liberazione allo scadere dei sei mesi. Ma il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi (Pjs) denuncia continuamente la detenzione indiscriminata di giornalisti che, in alcuni casi come quello di Omar Nazzal, ha colpito appositamente membri della Segreteria Generale dello stesso sindacato.

Per tutti questi motivi, si è deciso di dedicare una Giornata Internazionale di Solidarietà con i Giornalisti Palestinesi, che si celebra il 26 settembre di ogni anno.

Vedi:

http://www.infopal.it/41-violazioni-israeliane-giornalisti-nel-mese-gennaio/

III – Aumentano le violazioni dei luoghi di culto

Se il 2016 ha segnato il più alto numero di incursioni israeliane nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, con 14.806 provocazioni di questo tipo, domenica 5 febbraio il Ministero per la Waqf e gli Affari Religiosi ha denunciato che nel solo mese di gennaio del 2017 vi sono state almeno 80 violazioni, da parte degli israeliani, di luoghi di culto a Gerusalemme e in Cisgiordania. Si tratta soprattutto di incursioni provocatorie effettuate da fanatici dell’estrema destra israeliana nel complesso della Moschea di Al-Aqsa. Il fatto che le forze di occupazione sostengano queste azioni indica l’intento di “imporre una divisione spazio-temporale” in questo luogo di culto islamico, infierendo sulla popolazione palestinese di Gerusalemme, costretta al pagamento di “tasse irragionevoli, censura, perquisizioni e confisca di proprietà nei dintorni della Moschea”.

Non è un caso che le incursioni dei coloni siano aumentate in seguito all’approvazione di piani per l’espansione degli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est e in tutta la Cisgiordania. E non sorprende che queste azioni siano portate a termine in perfetta noncuranza delle Decisioni prese dall’Unesco riguardo la sacralità della Moschea di Al-Aqsa.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=mCkdffa52282647549amCkdff

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=WyNMBqa52280744043aWyNMBq

http://mondoweiss.net/2017/01/israeli-incursions-compound/

IV – Record di detenzioni per donne e bambini

Secondo un Rapporto preparato congiuntamente dalla Commissione per gli Affari dei Detenuti ed Ex-Detenuti, dalla Società per il Prigioniero Palestinese (PPS), dal Centro Al-Mezan per i Diritti Umani, e dall’Associazione a Sostegno dei Prigionieri e dei Diritti Umani, nel mese di gennaio del 2017 le forze israeliane hanno arrestato ben 590 palestinesi, tra cui 128 minorenni e 14 donne, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Gli ordini di detenzione amministrativa sono stati 91. Sommati ai precedenti, portano a 600 detenuti amministrativi attualmente nelle carceri israeliane, dove si trovano in tutto 7000 prigionieri palestinesi, di cui 52 donne, 300 minorenni e 21 giornalisti, sempre più a rischio.

Il 5 febbraio un tribunale israeliano ha condannato una ragazza di Silwan – nella zona di Gerusalemme Est Occupata – a 6 anni di reclusione, con l’accusa di essere stata in possesso di un coltello e di averne pianificato l’uso. Manar Majdi Shweiki è stata arrestata per questo motivo il 6 dicembre del 2015. La sentenza di condanna conferma il giro di vite di Israele contro i più giovani cittadini palestinesi di Gerusalemme e in particolare contro le ragazze. Molti di questi ragazzi prima di essere arrestati vengono feriti con armi da fuoco, in quello che è stato definito, dall’Ong palestinese Badil, “un chiaro intento di renderli zoppi a vita”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=m6RwSDa52290261573am6RwSDhttp://english.wafa.ps/page.aspx?id=m6RwSDa52290261573am6RwSD

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=775304

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=775324