La Giornata della Terra – 30/3/2017

Si celebra oggi il 41esimo anniversario della Giornata della Terra, una giornata che ricorda come, il 30 marzo del 1976, i cittadini palestinesi si ribellarono all’espropriazione delle loro terre in Galilea.

L’eroismo della gente di Sakhnin, Deir Hanna, Arrabeh, Nur Shams, Kufr Qanna e di altri villaggi limitrofi, che portò al sacrificio di 6 vite umane, si ricorda da allora ogni anno ed è divenuto un esempio per l’intero popolo palestinese. Un popolo derubato della propria terra ma più che mai legato ad essa, come ha ricordato il Ministero degli Esteri della Palestina sottolineando che la commemorazione di questa giornata dimostra “una coerenza storica e culturale duratura”. Per questo, in questa occasione, il Ministero ha rilanciato il principio “della terra per la pace”, ribadendo che “non c’è spazio per nessun compromesso che alteri i Territori Palestinesi Occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est”.

Di fatto, la Palestina non ha mai smesso di “restringersi” a partire dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948. Nel 1967, Israele ha incominciato a colonizzare ciò che aveva occupato militarmente, ma il furto della nostra terra è stato e continua ad essere portato avanti dalle forze di occupazione, dagli insediamenti dei coloni e dal Muro dell’Apartheid.

Oggi, 620.000 coloni israeliani, di cui 260.000 dentro e nei dintorni di Gerusalemme Est, vivono in insediamenti costruiti su terra espropriata illegalmente in Cisgiordania. Questi insediamenti variano da “avamposti” di poche case a intere città abitate da decine di migliaia di coloni. Obiettivo ed effetto dell’impresa degli insediamenti israeliani, che includono infrastrutture gigantesche, è stato quello di alterare lo status dei Territori Palestinesi, da un punto di vista sia fisico che demografico, affinché non tornino a noi.

Limitando la nostra porzione di terra, la continuità territoriale e l’agibilità delle attività economiche nei Territori Palestinesi, gli insediamenti rappresentano la minaccia più grave alla costruzione di uno Stato palestinese indipendente e, quindi, al raggiungimento di una pace giusta e duratura tra noi e i nostri vicini israeliani.

Se agli insediamenti aggiungiamo la terra sottratta dal Muro e quella confiscata direttamente dallo Stato israeliano per cosiddetti “motivi di sicurezza”, il risultato è che i palestinesi vivono in poco più della metà dei Territori Occupati nel 1967, sui quali nel 1988 avevamo accettato di costruire il nostro Stato, benché rappresentassero solo il 22% della Palestina storica. Ciò riduce il nostro attuale territorio a non più del 12% della nostra terra storica.

Se questo non bastasse, alla terra confiscata si somma quella distrutta, specialmente a Gaza, dove non si è ancora potuto ricostruire ciò che è andato perduto a causa delle devastanti aggressioni compiute negli ultimi anni da Israele, per via del blocco che isola questa enclave dal resto del mondo.

Tutto ciò equivale, in pratica e in termini di vita quotidiana, all’impossibilità per i palestinesi di vivere sulla propria terra e di vivere della propria terra. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. Così come non dobbiamo dimenticare i nostri concittadini del 1948, da cui è partita la ribellione che oggi ricordiamo e che ancora oggi subiscono le vessazioni di uno Stato discriminatorio come quello israeliano, che, dentro i propri confini, li considera dei cittadini di serie B.