Newsletter No 65 – 17/4/2017

“Ero di nuovo in una prigione israeliana, conducendo uno sciopero della fame, quando nacque il mio primo figlio. Invece dei dolci che di solito distribuiamo per celebrare simili eventi, ho distribuito agli altri prigionieri del sale”

Marwan Barghouthi

Indice:

  1. Lo sciopero dei prigionieri spiegato

I – Lo sciopero dei prigionieri spiegato

Dedichiamo l’intero numero della nostra Newsletter allo sciopero indetto dai prigionieri palestinesi, per ricordare il contesto in cui si colloca questa azione collettiva, spiegarne le ragioni e sottolinearne il significato politico.

Il contesto e i precedenti

Dal 1967, data dell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, oltre 800.000 palestinesi sono stati imprigionati e il 40% degli abitanti di genere maschile ha trascorso almeno un periodo in prigione. Oggi sono circa 6.500 i prigionieri politici in Israele. Di questi, 530 sono detenuti amministrativi senza capo d’accusa, 478 scontano l’ergastolo, 300 sono minorenni, e 58 donne di cui 14 ragazzine. Come ha spiegato il Consiglio delle Organizzazioni Palestinesi per i Diritti Umani (PHROC), con tutti i partiti politici considerati illegali per ordine militare, ai cittadini palestinesi non è permessa alcuna forma di partecipazione e vengono di fatto criminalizzati per qualsiasi tipo di resistenza, anche pacifica, all’occupazione illegale israeliana. Per questo, ha sottolineato il PHROC, “La questione dei prigionieri trascende quella dei diritti umani individuali, investendo i diritti collettivi di un intero popolo, che continua ad essere privato del proprio diritto all’autodeterminazione e alla sovranità, su cui si fonda il diritto internazionale”.

Sempre più frequentemente vengono arrestati leader politici, difensori dei diritti umani e giornalisti, che al momento sono in 22 dietro alle sbarre. Se questi numeri non bastassero, anche le famiglie dei prigionieri – come quelle dei palestinesi uccisi – sono bersaglio di punizioni collettive, compresa la demolizione delle loro case.

I detenuti, compresi i minori, vengono sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, veri e propri atti di tortura: bendati, legati e ammanettati fino a sanguinare, sono preda di umiliazioni, minacce, pestaggi, incursioni notturne, privazione del sonno, esposizione a temperature estreme e a suoni assordanti, isolamento totale, assistenza medica pressoché nulla. Secondo gli ultimi dati, circa 200 prigionieri palestinesi sono morti dal 1967 a causa di questi maltrattamenti.

Per queste vittime di una grande ingiustizia, il 17 aprile di ogni anno si commemora la Giornata Internazionale dei Prigionieri Politici Palestinesi, che quest’anno cade a 100 anni dalla Dichiarazione Balfour, a 70 dalla catastrofe palestinese (Nakba) e a 50 dalla brutale occupazione militare.

Anche questa volta, come sempre, il popolo palestinese ha chiamato gli uomini e le donne di tutto il mondo che desiderano una pace giusta a sostenere attivamente la lotta dei prigionieri per la libertà, contro le pessime condizioni in cui sono detenuti, illegalmente, nelle carceri israeliane.

La novità consiste nel fatto che la mobilitazione si è aperta, proprio il 17 aprile, con un grande sciopero della fame a tempo indeterminato indetto dai prigionieri aderenti ad Al-Fatah sotto la guida del loro leader, Marwan Barghouthi, in carcere dal 2004. Allo sciopero, per cui si è subito mobilitato il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) intensificando le visite alle prigioni, hanno subito aderito più di 1.500 detenuti delle prigioni di Ashkelon, Nafha, Ramon, Hadarim, Gilboa e Beersheba, compresi molti appartenenti ad altre forze politiche, raggiungendo un numero di partecipanti vicino a quello dei maggiori scioperi messi in atto dal 1967, tra cui ricordiamo quello del settembre-ottobre 1992, che vide la partecipazione di ben 7.000 detenuti ed ottenne un concreto miglioramento delle loro condizioni di detenzione.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=prkPFda75436894533aprkPFd

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=GPmJdga75422618238aGPmJdg

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=GPmJdga75426425250aGPmJdg

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=vehe22a75444508557avehe22

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=NNeysfa75430232262aNNeysf

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=prkPFda75434039274aprkPFd

La motivazione

Marwan Barghouthi, dalla prigione di Hadarim, in Israele, ha raccontato il perché della protesta e la sua spiegazione è stata pubblicata sul New York Times il 16 aprile: “Dopo aver trascorso gli ultimi 15 anni in una prigione israeliana”, ha scritto Barghouthi, “sono stato sia testimone sia vittima del sistema illegale con cui Israele mette in atto arresti arbitrari di massa e maltrattamenti di prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, ho deciso che non c’era altra scelta che resistere a questi abusi cominciando uno sciopero della fame”. “Lo sciopero della fame”, ha sottolineato, “è la forma più pacifica di resistenza a disposizione. Esso infligge dolore esclusivamente a coloro che vi partecipano e ai loro cari, nella speranza che gli stomaci vuoti e il sacrificio aiutino il messaggio a risuonare al di là dei confini delle buie celle”.

Il leader di Al-Fatah ha poi spiegato come il sistema di occupazione punti “a sfibrare lo spirito dei prigionieri e della nazione a cui appartengono, infliggendo sofferenze ai loro corpi, separandoli dalle loro famiglie e comunità, utilizzando misure umilianti per costringerli alla sottomissione”, ma, ha concluso, “A dispetto di tale trattamento, non ci arrenderemo ad esso. (…) L’arroganza dell‘occupante oppressore e dei suoi sostenitori li rende sordi a questa semplice verità: prima che riescano a spezzare noi, saranno le nostre catene ad essere spezzate, perché è nella natura umana rispondere al richiamo della libertà a qualsiasi costo”.

Così, le prigioni di Israele, dove sarebbe proibito detenere i cittadini palestinesi, “sono diventate la culla di un duraturo movimento per l’autodeterminazione palestinese”. E “Questo nuovo sciopero della fame”, ha annunciato Barghouthi, “dimostrerà ancora una volta che il movimento dei prigionieri è la bussola che guida la nostra lotta, la lotta per la Libertà e la Dignità, il nome che abbiamo scelto per questo nuovo passo nel nostro lungo cammino verso la libertà”.

Infine, il detenuto Barghouthi ha voluto ricordare come un tribunale israeliano lo abbia “condannato a cinque ergastoli e 40 anni di carcere in un processo farsa che è stato denunciato dagli osservatori internazionali”. E come Israele non sia “la prima potenza occupante o coloniale a ricorrere a tali espedienti. Ogni movimento di liberazione nazionale nella storia ricorda pratiche simili. Questo è il motivo per cui così tante persone che hanno lottato contro l’oppressione, il colonialismo e l’Apartheid sono dalla nostra parte”. E qui ha citato la “Campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouthi e di tutti i prigionieri palestinesi”, che sua moglie Fadwa, insieme all’icona anti-Apartheid Ahmed Kathrada e ad altri personaggi illustri, ha lanciato nel 2013 dalla cella di Nelson Mandela a Robben Island, ricevendo il sostegno di otto Premi Nobel per la Pace, 120 governi e centinaia di dirigenti, parlamentari, artisti e accademici di tutto il mondo: “La loro solidarietà smaschera il fallimento morale e politico di Israele”, ha concluso Barghouthi.

Vedi:

https://www.nytimes.com/2017/04/16/opinion/palestinian-hunger-strike-prisoners-call-for-justice.html

Le richieste

Oltre a denunciare l’illegalità della detenzione amministrativa senza accuse e senza processo, le richieste dei prigionieri fotografano condizioni di detenzione inaccettabili ed esigono il rispetto di standard di reclusione minimi, concentrandosi soprattutto sul bisogno di sentire vicine le proprie famiglie ed esigendo per questo la possibilità di comunicare al telefono con i parenti e ricevere loro visite almeno due volte al mese per una durata di un’ora e mezza. Per quanto riguarda l’assistenza e le cure mediche, i prigionieri invocano controlli regolari della loro salute ed interventi operatori ogni qual volta siano necessari, oltre al rilascio di chi non ha speranze di guarigione. Una richiesta specifica riguarda le esigenze speciali delle donne detenute, mentre diversi punti si soffermano sul problema del trasposto disumano dei detenuti ed altri toccano il diritto a non morire di freddo o di caldo, a nutrirsi di cibo sano, a leggere e studiare ottenendo titoli di studio, e ad uscire dalle celle d’isolamento.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=prkPFda75437846286aprkPFd

Risonanza mediatica e partecipazione popolare

Ancor prima che cominciasse, lo sciopero ha ricevuto grande copertura mediatica internazionale ed è stato accompagnato da manifestazioni di protesta in varie città della Cisgiordania, in particolare a Ramallah e a Betlemme. Da parte loro, i soldati israeliani hanno colto l’occasione per compiere ulteriori arresti, detenendo cinque dimostranti palestinesi, ferendone almeno altri 15, e intossicandoli tutti con i gas lacrimogeni. Le dimostrazioni di solidarietà da parte della società civile palestinese si sono spinte fino a veri e propri scioperi della fame, come quello di 4 giorni indetto da 30 studenti dell’Università Arabo-Americana di Jenin, e quello di un giorno a cui hanno aderito i cittadini di Umm Al-Fahm. Anche nel resto del mondo, e in particolare in Italia, si sono svolte e si stanno ancora svolgendo manifestazioni a sostegno dei prigionieri palestinesi organizzate dalle comunità palestinesi e da diverse associazioni della società civile, con la partecipazione di importanti forze politiche e di numerosi cittadini.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=sres65a75440701545asres65

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2017/04/16/israele-sciopero-fame-detenuti-al-fatah_a94b9d91-4615-43b1-a42e-b91f5b086888.html

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2017/04/16/palestinesi-chiedono-liberazione-parenti_aab7b0d9-3f2d-4413-b551-fd7ca688d937.html

 

Il sostegno della leadership palestinese

Il Presidente Abu Mazen si è subito appellato alla comunità internazionale affinché salvi la vita dei prigionieri in sciopero della fame, assicurando che da parte sua sta facendo di tutto per garantire la loro liberazione e la fine delle loro sofferenze. La questione dei prigionieri, ha detto, “resta centrale per la sua amministrazione e per tutto il popolo palestinese”.

Il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, citando la Quarta Convenzione di Ginevra e rivolgendosi alla Corte Penale Internazionale, ha detto che è divenuto più che mai necessario far assumere ad Israele la responsabilità della propria violazione sistematica dei diritti umani del popolo palestinese, con particolare riferimento ai diritti dei prigionieri. Se Israele vuole la pace, ha dichiarato Erekat, “deve rilasciare i prigionieri”.

Issa Qaraqe, a capo della Commissione per i Prigionieri Palestinesi, ha richiesto una special riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per discutere la situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, sollecitando al contempo un impegno in loro favore da parte della Lega Araba.

Il Direttore del Dipartimento Studi e Documentazione dell’Ufficio Affari Prigionieri ed Ex-Prigionieri, Abdul-Nasser Farwana, intervenendo a Gaza ad un incontro sui prigionieri palestinesi qualche giorno prima dell’inizio dello sciopero, si era soffermato sui prigionieri provenienti dalla città di Gerusalemme, ricordando quanti di loro siano morti dentro alle carceri israeliane e quanto sia stato importante il loro ruolo nel contrastare le politiche oppressive dei loro carcerieri. Attualmente, ha sottolineato Farwana, sono di Gerusalemme 650 prigionieri, di cui 75 minorenni, 22 donne e due parlamentari. I palestinesi arrestati a Gerusalemme a partire dall’ultima ribellione popolare iniziata nell’ottobre 2015, poi, ammontano a 3.669, pari al 32% dei cittadini detenuti nello stesso periodo. Il messaggio politico è chiaro: sostenendo la resistenza dei prigionieri di Gerusalemme Est si sostiene la resistenza di chi non vuole vedere cancellata la propria esistenza e quella di tutti i palestinesi dalla capitale dello Stato di Palestina.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=prkPFda75435942780aprkPFd

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=sres65a75441653298asres65

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=GPmJdga75428328756aGPmJdg

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=2XjtQPa75449267322a2XjtQP

La rappresaglia

Di fronte alla convocazione dello sciopero della fame, il Servizio Penitenziario Israeliano (IPS) non si è scomposto, facendo sapere, attraverso un suo portavoce, che “se fanno uno sciopero della fame, fanno uno sciopero della fame. Sapremo come affrontarlo”.

La rappresaglia, in effetti, è stata immediata: nel giro di poche ore, i leader dello sciopero sono stati trasferiti in altre sezioni o in altre prigioni, e a tutti gli scioperanti sono stati confiscati vestiti e oggetti personali, mentre è stato vietato loro di guardare la televisione e le loro stanze sono state trasformate in celle d’isolamento.

Marwan Barghouthi, trasferito insieme ad altri due prigionieri (Karim Junis e Mahmoud Abu Srour) dal carcere di Hadarim a quello di Jalama, si trova ora in isolamento e stando a un comunicato della Commissione per i Prigionieri Palestinesi “sarà processato da una corte disciplinare” per il suo articolo pubblicato sul New York Times in cui ha spiegava le ragioni della lotta dei detenuti politici palestinesi rinchiusi nella prigioni di Israele. Le autorità carcerarie israeliane accusano Barghouthi di aver utilizzato sua moglie per “contrabbandare” l’articolo in questione fuori dalla prigione e consegnarlo poi al noto quotidiano statunitense.

La Commissione ha anche fatto sapere che l’IPS avrebbe allestito un ospedale da campo nella prigione di Ktziot così da impedire, qualora le condizioni di salute dovessero peggiorare, un eventuale trasferimento dei detenuti in sciopero della fame negli ospedali civili. La decisione partirebbe da una disposizione presa dal Ministro della Pubblica Sicurezza israeliano Gilad Erdan, che vieta tale trasferimento per evitare, in particolare, che i prigionieri possano essere presi in cura da medici che hanno già espresso contrarietà rispetto all’alimentazione forzata. In sostanza, il Ministro vuole essere sicuro che i prigionieri restino là dove è garantita loro questa forma di tortura lesiva dei diritti umani.

Vedi:

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Fatah-leader-to-spearhead-hunger-strike-in-Israeli-prisons-486811

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=2H5L5ka75452122581a2H5L5k

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=TBnbG2a75450219075aTBnbG2

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=O24EX1a75446412063aO24EX1

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=vehe22a75444508557avehe22

http://nena-news.it/palestinesi-misure-repressive-contro-i-nostri-detenuti-in-sciopero-della-fame/