Gerusalemme

Gerusalemme ieri e oggi

Per secoli, Gerusalemme è stata il centro politico, amministrativo e spirituale della Palestina. Nel 1948, con la Nakba, gli israeliani hanno scacciato tutti i palestinesi che vivevano nel settore Ovest della città, pari al 40% della popolazione, confiscando le loro case e demolendone perfino il cimitero per costruirvi sopra uno dei maggiori alberghi israeliani della città.  Ma la città metropolitana di Gerusalemme Est, che si estende da Ramallah a Betlemme ed è stata occupata insieme al resto della Cisgiordania nel 1967, rappresenta ancora la forza motrice dell’economia palestinese, con circa un terzo della nostra attività economica che ruota intorno ad essa.

Considerando dunque l’importanza economica, culturale, sociale e religiosa di Gerusalemme Est per il nostro popolo, appare evidente che senza Gerusalemme Est non può esserci uno Stato di Palestina, e senza uno Stato di Palestina non può esserci la pace. Le attuali politiche israeliane nei confronti di Gerusalemme non fanno dunque che confermare la volontà del governo di Benjamin Netanyahu di scongiurare l’unica soluzione in grado di porre termine al conflitto garantendo la pace nella regione.

Incurante del fatto che Gerusalemme sia il cuore pulsante delle tre religioni monoteistiche, Israele persegue da cinquant’anni politiche volte ad assicurarsi l’esclusivo controllo della città in nome della fede ebraica, calpestando i diritti delle popolazioni di fede cristiana e musulmana. Tali misure, che strumentalizzano volutamente la religione per fini politici, equivalgono ad una vera e propria pulizia etnica e culturale, che comprende:

  • La costruzione del Muro dell’Apartheid e un’espansione senza freni degli insediamenti illegali israeliani tale da configurare la presenza di 260.000 coloni dentro la città e ad anello intorno a Gerusalemme Est, che viene in questo modo separata dal resto della Cisgiordania: siamo stati da poco testimoni da un lato dell’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite della Risoluzione 2334 che condanna gli insediamenti israeliani (23 dicembre 2016); e dall’altro dell’approvazione da parte della Knesset della “Legge di Regolarizzazione” che legalizza circa 6.000 abitazioni costruite su terreni privati di cittadini palestinesi, considerate sin qui illegali anche secondo gli standard israeliani (6 febbraio 2017).
  • La revoca dei permessi di residenza concessi ai cittadini palestinesi e il diniego della riunificazione familiare in questa città, per preservare la maggioranza demografica ebraica di Gerusalemme.
  • L’emissione di ordini di demolizione anziché di permessi di costruzione, derivante dal fatto che non solo ai cittadini palestinesi è concesso di costruire le proprie case limitatamente a una porzione del territorio di Gerusalemme Est pari al 13%, ma perfino questi permessi circoscritti sono resi impossibili da ottenere, in modo da fornire alle forze di occupazione una scusa per demolire le abitazioni che ne sono prive: in realtà la politica delle demolizioni viene utilizzata per svuotare Gerusalemme Est e la Cisgiordania dei suoi abitanti palestinesi, rendendo a questi ultimi la vita impossibile per fare spazio ai coloni israeliani. Negli ultimi dodici anni sono state distrutte circa 600 case di Gerusalemme Est, lasciando senza tetto più di 2.000 cittadini palestinesi. E non a caso l’attuale piano per costruire 1.000 nuove abitative riguarda proprio la zona di Gerusalemme Est più colpita dalle demolizioni, andando ad arricchire gli insediamenti di Har Homa, Pisgat Ze’ev, Maale Adumim, e Modi’in.
  • Uccisioni ingiustificate a sangue freddo – per questo denunciate dalla comunità internazionale – specialmente in corrispondenza dei numerosi posti blocco che tempestano la città, impedendo a milioni di palestinesi l’accesso ai luoghi sacri come la Spianata della Moschea, così come lo studio presso l’Università di Al-Quds e le cure mediche specialistiche di cui avrebbero bisogno: è proprio dall’impossibilità di recarsi alla Moschea mentre potevano entrarvi provocatoriamente coloni israeliani estremisti che sono scaturite le prime proteste dell’autunno 2015; ed è proprio per restituire al popolo palestinese un diritto costantemente calpestato che con la votazione del 18 ottobre 2016 l’UNESCO ha voluto ratificato la decisione in merito alla “Palestina Occupata”, riconoscendo l’importanza che la Città Vecchia di Gerusalemme e le sue Mura ricoprono per le tre religioni monoteiste: quella cristiana, quella ebraica e quella musulmana.

E’ ora che il diritto internazionale sia rispettato, è ora che l’occupazione israeliana abbia termine, è ora che sia rispettato il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e che sia riconosciuto da tutti lo Stato di Palestina sui confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est.