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Rifugiati

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Non c’è nulla di più rappresentativo dell’esperienza palestinese del 20° secolo che la tragedia di circa sette milioni di rifugiati. Circa il 70% dei palestinesi è rifugiato, mentre un terzo di tutti i rifugiati al mondo è palestinese. Quasi metà dei rifugiati palestinesi è apolide. Per decenni, Israele ha negato loro il diritto al ritorno, violando la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite n.194, mentre supportava una sregolata immigrazione ebraica. I rifugiati palestinesi sono i soggetti più colpiti dal conflitto con Israele: soffrono della mancanza dei diritti umani fondamentali, di protezione e assistenza internazionale.

Una giusta soluzione alla questione dei rifugiati, che riconosca il diritto al ritorno e preveda varie opzioni significative, è fondamentale per il successo dei negoziati del conflitto israelo-palestinese.

Breve storia della questione dei rifugiati palestinesi

Dal 1947 al 1949 (prima e dopo la dichiarazione d’indipendenza israeliana), più di 726.000 palestinesi vennero espulsi o costretti ad abbandonare le proprie case, diventando così rifugiati. Molti fuggivano da attacchi militari diretti, mentre altri dalla minaccia di aggressioni da parte delle milizie sioniste. Circa 150.000 palestinesi rimasero nella loro terra, divenuta “Stato di Israele”; di questi, 46.000 erano stati dislocati internamente durante la guerra e Israele vietò loro di tornare nei luoghi d’origine. Durante l’occupazione militare israeliana del 1967 della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, quasi 300.000 palestinesi vennero costretti a spostarsi all’interno dei territori palestinesi occupati e ad attraversare confini regionali. Di questa nuova ondata di profughi, 120.000 avevano già subito le conseguenze del 1948. Dal 1967, il popolo palestinese continua ad affrontare il trasferimento da e dentro i territori occupati che è il risultato di politiche israeliane quali la demolizione di case, sfratti, costruzione di colonie e del muro di separazione, confisca di terre, revoche di residenza e il massiccio supporto alla presenza militare. Israele non ha mai permesso né ai rifugiati del 1948 e del 1967 né alle persone spostate internamente di tornare nelle proprie case all’interno di quelli che sono ora i territori palestinesi occupati e lo Stato di Israele.

I palestinesi espulsi o fuggiti dalla violenza nel periodo intorno al 1948 furono di fatto denazionalizzati dal parlamento israeliano nel 1952. Le loro proprietà furono confiscate e poi trasferite allo Stato di Israele a vantaggio ed uso quasi esclusivo della sua popolazione. Durante e dopo la guerra del 1948, più di 400 villaggi palestinesi furono spopolati e distrutti. Al posto di alcuni di essi, Israele ordinò la fondazione di comunità riservate agli ebrei.

L’ex Ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan affermò nel 1969: “I villaggi ebraici furono costruiti al posto di quelli arabi. Voi non conoscete il nome di questi villaggi e non ve ne faccio una colpa, perché i libri di geografia non esistono più. Non solo non esistono più i libri, ma non esistono più nemmeno i villaggi. Nahlal sorse al posto di Mahlul; Kibbutz Gvat al posto di Jibta; Kibbutz Sarid al posto di Huneifis; e Kefar Yehushua al posto di Tel al-Shuman. Non c’è un solo posto in questo paese che non avesse una precedente popolazione araba”.

Tuttavia, secondo alcune stime, il 90% delle aree in cui vi erano i villaggi distrutti rimangono disabitate. Al contrario, la gran parte delle case dei rifugiati situate nei centri urbani sono state lasciate intatte nel 1948 ma occupate da immigranti israeliani.

Fatti principali

Attualmente ci sono 7 milioni di rifugiati palestinesi, la maggioranza dei quali vive all’interno del confine israeliano (100 kilometri). Tra di essi, 1.6 sono registrati presso i campi ufficiali UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) nei territori palestinesi occupati, Giordania, Siria e Libano (“paesi ospitanti”). Tuttavia, ci sono molti che non sono registrati ma vivono in quei campi ed altri che vivono in campi che non sono formalmente riconosciuti dall’Agenzia ONU o dallo stato in cui si trovano. La popolazione più grande di rifugiati risiede nella striscia di Gaza mentre, tra i paesi ospitanti, in Libano. Approssimativamente 770.000 rifugiati registrati vivono in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Di questi, circa 190.000 vivono divisi in 19 campi. Quasi 500.000 vivono in uno degli 8 campi nella striscia di Gaza. I rifugiati palestinesi nei territori occupati palestinesi godono degli stessi diritti alla casa, sanità, istruzione e lavoro dei non-rifugiati.

Il trattamento dei rifugiati palestinesi varia a seconda dei paesi ospitanti. La Giordania offrì la cittadinanza alla maggior parte dei profughi del 1948, insieme a tutti i diritti civili e sociali che ne derivano. I palestinesi residenti in Siria hanno gli stessi diritti e doveri dei cittadini siriani, tranne la nazionalità e i diritti politici.

I palestinesi oggi sono una comunità in diaspora, sparsa in tutto il mondo. Mentre la legge del ritorno israeliana permette ad ogni ebreo residente ovunque nel mondo di vivere in Israele e nei territori palestinesi occupati, indipendentemente dalla discendenza diretta in quelle terre, ai palestinesi che sono autoctoni e possiedono le “chiavi di casa” nella Palestina storica gli è vietato persino il diritto di visitare le famiglie, proprietà e la propria patria ancestrale.

Diritto internazionale

Nel 1948, in risposta al trasferimento di massa dei rifugiati palestinesi, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 194, il cui paragrafo 11 recita: “I rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini devono essere autorizzati a farlo al più presto possibile, un risarcimento deve essere pagato per la proprietà di coloro che scelgono di non ritornare e per la perdita  o i danni alla proprietà che, in base ai principi del diritto internazionale,  dovrebbe essere risarcito dai governi o dalle autorità competenti”. La Risoluzione 194, riaffermata ogni anno in quanto codifica del diritto internazionale consuetudinario, sostiene il diritto dei rifugiati palestinesi a scegliere se rimpatriare in quello che ora è Israele o essere risarciti.

Il diritto al ritorno è stabilito anche da altre norme internazionali, tra cui:

La Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo (adottata nel 1948): “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.” (Art. 13, par. 2)

Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (1966): “Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese.” (Art. 12, par. 4)

La Commissione ONU per i Diritti all’Abitazione e per la Restituzione delle Proprietà a Rifugiati e Sfollati: “Tutti i rifugiati e gli sfollati hanno il diritto di tornare volontariamente alle loro case, terre o luoghi di residenza abituale, in sicurezza e dignità.” (Art. 10.1), “I rifugiati e gli sfollati dovrebbero essere in grado di perseguire efficacemente soluzioni durevoli oltre al ritorno, se lo desiderano, senza pregiudicare il diritto alla restituzione delle loro case, terre e proprietà.” (Art. 10.3)

Il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale: “Il Comitato esprime la propria preoccupazione riguardo la negazione del diritto di molti palestinesi al ritorno e alla riappropriazione delle loro terre in Israele (Articolo 5 (d) (ii) e (v))”, “Il Comitato riafferma la posizione espressa nelle precedenti osservazioni su questa questione e sollecita lo Stato (di Israele, ndt) ad assicurare uguaglianza nel diritto al ritorno e nel possesso di proprietà.” (Art.18)

La nostra posizione

La nostra visione prevede una soluzione giusta alla questione dei rifugiati palestinesi nel rispetto del diritto internazionale, nello specifico della Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale ONU. Una soluzione giusta deve essere basata sul diritto al ritorno e sulle riparazioni. La nostra posizione sui rifugiata è supportata anche dall’iniziativa di pace araba, la quale richiede “una giusta soluzione al problema dei rifugiati palestinesi concordata sulla base della Risoluzione 194”.

Diritto al ritorno

Elemento chiave per la risoluzione della questione è il riconoscimento da parte di Israele dei diritti dei rifugiati, incluso il diritto al ritorno nelle proprie case e terre. Questo fatto permetterà di negoziare l’attuazione del diritto. La scelta è una parte cruciale del processo. Ai rifugiati palestinesi dovrà essere garantita la possibilità di scegliere come rendere effettivi i propri diritti e normalizzare il proprio status. Le opzioni dovrebbero essere: ritorno in Israele, ritorno in uno stato palestinese, integrazione nei “paesi ospitanti” o in stati terzi. Un’ulteriore componente necessaria è la riabilitazione nei vari settori: istruzione, formazione professionale, servizi medici, abitazione.

Riparazioni

Le riparazioni consistono in tre elementi. Il primo è il riconoscimento di Israele del suo ruolo nella creazione e perpetuazione della “catastrofe” dei rifugiati palestinesi. Israele ha la propria narrativa per spiegare le circostanze riguardo la creazione dei rifugiati, ma è innegabile che ogni volta che i rifugiati hanno provato a tornare nelle proprie case, Israele abbia sistematicamente bloccato i loro sforzi. Attualmente Israele continua a negare il loro diritto al ritorno. Israele deve riconoscere inequivocabilmente la propria responsabilità in queste azioni per raggiungere una soluzione giusta, pacifica e sostenibile al conflitto. La restituzione è il secondo elemento delle riparazioni. Secondo il diritto internazionale, è il rimedio primario per la proprietà che è stata confiscata arbitrariamente. Se la restituzione è materialmente impossibile o se non è sufficiente a rimediare il danno o se un rifugiato sceglie la compensazione al posto della restituzione, essa deve essere piena e completa. Alternativamente, la compensazione può essere offerta nella forma di terra disponibile in Israele. La compensazione, terzo elemento delle riparazioni ed è divisa in tre categorie: proprietà che non può essere restituita o scelta del rifugiato al posto della restituzione, danni materiali (oggetti personali, mezzi di sostentamento, ecc.), danni immateriali (sofferenza dovuta allo stato prolungato di trasferimento).