Newsletter No 28 – 6/6/2016

“La leadership palestinese ha aderito alla soluzione di due Stati che vivano in pace e sicurezza l’uno accanto all’altro. Qualunque cosa si rifaccia all’occupazione è illegale”

Abu Mazen, Presidente dello Stato di Palestina

 

Indice:

  1. Tanti auguri all’Italia e agli italiani
  2. Il 5 giugno si è commemorata la Naksa
  3. Le demolizioni fanno largo agli insediamenti
  4. La UE contro le demolizioni
  5. La pelle di chi lavora
  6. L’ILO è con i lavoratori palestinesi

I – Tanti auguri all’Italia e agli italiani

In occasione della Festa della Repubblica Italiana, celebrata lo scorso 2 giugno, l’Ambasciata di Palestina in Italia vuole esprimere a questo Paese e al suo popolo i più sentiti auguri.

La Palestina e l’Italia si trovano su due sponde dello stesso mare, il Mediterraneo. Questa loro posizione geografica ha rappresentato la base per buone relazioni nei secoli tra i due Paesi e tra i due popoli, a tutti i livelli: culturali, economici e di buon vicinato.

Per decenni l’Italia è stata il Paese europeo più solidale con il popolo palestinese e la sua causa.

L’Italia continua a sostenere economicamente e politicamente il popolo palestinese, impegnandosi nei tentativi di trovare una soluzione giusta, basata sulla legalità internazionale, per il conflitto israelo-palestinese. Il voto dell’Italia a favore del riconoscimento della Palestina come Stato Osservatore alle Nazioni Unite, nel Parlamento Europeo e al Consiglio di Europa, così come la votazione del Parlamento Italiano a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina, testimoniano la solidità delle buone relazioni tra la Palestina e l’Italia e tra il popolo italiano e quello palestinese.

II – Il 5 giugno si è commemorata la Naksa

La Naksa, in arabo “sconfitta”, designa la seconda diaspora palestinese successiva all’occupazione

  di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, cominciata dall’esercito israeliano, con la Guerra dei Sei Giorni, il 5 giugno del 1967. Circa 300.000 palestinesi furono costretti a lasciare le loro case, per spostarsi in altre parti dei Territori Palestinesi Occupati o al di là dei loro confini.  Di questi, in 120.000 erano già stati sfollati nel 1948.

Nel 49° anniversario della Naksa e dell’occupazione, il Presidente Abu Mazen ha dichiarato che “Non accetteremo nulla che sia meno della fine dell’occupazione israeliana e della creazione del nostro Stato”. Di fatto, ha aggiunto, “uno Stato indipendente è ormai in arrivo”.

Nel frattempo, centinaia di coloni israeliani si radunavano alle porte della Città vecchia, a Gerusalemme, per celebrare l’anniversario dell’occupazione.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=ygLRZLa36659622054aygLRZL

III – Le demolizioni fanno largo agli insediamenti

Un esempio lampante di come le demolizioni portate avanti dalle forze di occupazione israeliane siano funzionali al fiorire degli insediamenti di coloni su terra palestinese, si è verificato mercoledì 25 maggio, quando l’esercito israeliano ha distrutto la casa di una famiglia palestinese nel quartiere Shuafat di Gerusalemme Est, per creare una strada che collegasse due insediamenti illegali. Il pretesto è stato quello della mancanza di un permesso di costruzione, che in effetti Israele ha sempre rifiutato di concedere alla famiglia ora senza tetto, nonostante le numerose richieste presentate nel corso degli anni.  La zona “liberata” grazie alla distruzione della casa sarà guarda caso utilizzata per unire, di fatto, gli insediamenti di Ramat Shlomo e Pisagat Ze’ev.

Proprio sugli insediamenti, presso l’Ambasciata di Palestina in Italia, venerdì 3 giugno si è tenuto un incontro con Fadi Arouri, del Gruppo di Volontariato Civile, che ha spiegato l’impatto delle demolizioni nell’area C, con particolare riferimento alla comunità di Susiya. In questa occasione, l’Ambasciatrice Mai Alkaila ha voluto sottolineare l’effetto devastante che le demolizioni hanno non solo sulle persone, ma anche sull’economia e la sicurezza alimentare da un lato e, più in generale, sulla costruzione dei “due Stati”.

 

Vedi:

http://english.pnn.ps/2016/05/18/iof-demolish-palestinians-home-to-connect-two-settlemens-jerusalem/

 

IV – La UE contro le demolizioni

Sembrerebbe proprio un avvertimento quello lanciato dall’Unione Europea a Israele: la politica

delle demolizioni nell’Area finirà per nuocere alle loro relazioni.  Sotto il mirino della UE le evacuazioni forzate della popolazione palestinese e la distruzione di strutture spesso finanziate proprio dall’Europa. In una riunione tenuta a fine maggio con il Coordinatore delle attività israeliane nei territori occupati, Maggior Generale Yoav Mordechai, l’Ambasciatore della UE in Israele, Lars Faaborg-Andersen, è stato abbastanza esplicito al riguardo e ha condannato duramente una politica che colpisce le fasce più deboli della popolazione palestinese. In particolare, l’Ambasciatore ha dichiarato che sia la UE nel suo insieme che i 28 Paesi Membri che la compongono e l’opinione pubblica europea in generale, credono fermamente che le demolizioni vadano contro la soluzione dei “due Stati”.

Dall’inizio del 2016 c’è stato un significativo aumento delle attività dell’Amministrazione Civile israeliana contro quelle che descrive come “costruzioni illegali”: le abitazioni dei palestinesi a cui Israele rifiuta di dare un permesso nonostante siano finanziate in molti casi dall’Europa. Ciò si può spiegare con due ordini di motivi contingenti, in aggiunta a quelli che stanno dietro alla politica di occupazione: da un lato la crescente pressione dei parlamentari di destra su Mordechai; e dall’altro una forma di rappresaglia contro la decisione della UE di applicare apposite etichette sui prodotti degli insediamenti.

Secondo i dati ONU, nel 2015 Israele avrebbe distrutto 531 strutture, di cui 75 finanziate dall’Europa, e nei primi quattro mesi del 2016 lo stesso numero di edifici finanziati dalla UE, su un totale di 591 strutture distrutte. Di conseguenza, 688 palestinesi sarebbero rimasti senza tetto nel 2015, e 808 nei primi mesi del 2016.

Faaborg-Andersen ha voluto affrontare anche il tema dei beduini dell’Area E1 tra Ma’aleh Adumim e Gerusalemme, dove pure sono state condotte diverse demolizioni. La violazione dei diritti di queste persone, ha detto a Mordechai, va contro il diritto internazionale e non può essere accettata dalla UE.

Ma se dietro l’intervento dell’Ambasciatore UE c’erano le pressioni sulla Ministra degli Esteri della UE, Federica Mogherini, da parte di parlamentari europei che chiedevano a Israele un chiarimento su questa precisa questione ed eventuali compensazioni per le strutture targate UE, Mordechai non ha fatto una piega, confermando che Israele continuerà a demolire le costruzioni palestinesi “illegali”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=OT4umma36631069464aOT4umm

http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.722519

V– La pelle di chi lavora

Il Centro Europeo per i Diritti Umani e Costituzionali (ECCHR) ha ospitato a Berlino una mostra del fotografo palestinese Mohamed Badarneh dal titolo “Come back safe” (Torna sano e salvo) per fare luce sui numerosi casi di morte sul lavoro dei palestinesi costretti a guadagnarsi da vivere negli insediamenti illegali israeliani. I loro nomi, città di provenienza e circostanze di morte scritti sul vetro delle finestre; gli abiti di altri lavoratori, appesi alle pareti bianche accanto a fotografie di uomini di tutte le età.

Il progetto fotografico, intrapreso nel 2013, vuole affrontare un fenomeno oscurato da altri tipi di violenze che colpiscono quotidianamente il popolo palestinese, ma che ogni anno uccide circa 60 lavoratori palestinesi a causa di condizioni di lavoro insicure e in circostanze dettate dalla più profonda ingiustizia sociale.

Inoltre, con questa mostra Badarneh si pone l’obiettivo di dare ai lavoratori uno spazio per riflettere sulla realtà in cui vivono e parlare della perdita della loro terra.  “Molti di loro erano proprietari di una terra adesso occupata da Israele”, spiega infatti il fotografo. Si sono trovati di fronte a una scelta durissima: “costruire gli insediamenti dell’occupazione o morire di fame”. Restano sogni e speranze, espresse dai sorrisi e dagli occhi immortalati nelle fotografie della mostra.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=rQOjvya36585385320arQOjvy

https://www.youtube.com/watch?v=R6cXfaykrt0

VI – L’ILO è con i lavoratori palestinesi

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne, con il Rapporto pubblicato lo scorso 25 maggio ha assestato un duro colpo alla “decennale occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est”, così come al “blocco della Striscia di Gaza che dura da ormai 9 anni”, colpevoli entrambi di “soffocare l’economia palestinese”.

In particolare, il Rapporto segnala un aumento del 5,1% dei lavoratori palestinesi impiegati negli insediamenti israeliani illegali, che raggiungono ora le 115.000 unità, pari all’11,6% degli occupati palestinesi. Questi dati, secondo l’ILO, sono preoccupanti per “i crescenti rischi di sfruttamento, abuso da parte degli intermediari, e violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori”. Tanto più che altri 30.000 palestinesi lavorano in Israele e negli insediamenti senza nessun permesso di lavoro. D’altra parte, secondo lo stesso rapporto, se le cose non cambiano Gaza diventerà completamente inabitabile per i suoi residenti già intorno al 2020.

Da parte sua, il Ministro delle Finanze della Palestina, Shukri Bishara, in un discorso pronunciato lo stesso 25 maggio a Ramallah, non aveva potuto che constatare come un’economia costretta a basarsi largamente sugli aiuti esteri abbia visto questi aiuti ridursi di ben il 55% nel corso degli ultimi due anni.

Vedi:

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=771634