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Muro e insediamenti

Gli insediamenti dal 1967 a oggi

Subito dopo l’occupazione della Cisgiordania, di Gaza e dei 72 Km² di Gerusalemme Est da parte di Israele nel giugno del 1967, un buon numero di civili israeliani, sostenuti dal governo e protetti dalle forze di sicurezza, ha cominciato a muoversi verso il confine Est di Israele per “insediarsi” e rivendicare quelle terre come parte di Israele.Insediamenti in palestina

Obiettivo – sin qui conseguito – di questa politica è stata l’alterazione dello status dei Territori Occupati, sia da un punto di vista fisico che demografico, affinché non tornassero nelle mani dei palestinesi. La costruzione degli insediamenti è infatti pensata per confiscare illegalmente la terra palestinese e le sue risorse naturali, confinando la popolazione palestinese in enclave sempre più piccole e staccando Gerusalemme Est dal resto dei Territori Palestinesi.

In questo modo, gli insediamenti rappresentano la minaccia più seria alla costruzione di uno Stato di Palestina indipendente e, di conseguenza, ad una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi.

E’ stato chiaro fin da subito, perfino agli occhi del consigliere legale del Ministero degli Esteri israeliano, Theodore Meron, che gli insediamenti costituivano una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, che impedisce alle forze occupanti di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. Per questo, secondo Meron, gli insediamenti potevano essere solo militari e temporanei.

Invece, durante gli anni ’70, l’esercito confiscò porzioni sempre maggiori di terra, compresi terreni privati, per costruirvi nuovi insediamenti come quello di Ariel che, con i suoi 461 ettari, fu presto riconosciuto come consiglio municipale.

Né servirono a molto la sentenza della Corte Suprema israeliana dell’ottobre 1979, che prende il nome di Elon Moreh dall’insediamento che solo per qualche tempo riuscì o fu disposta a contrastare; e la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 465 (1980) che chiedeva di smantellare gli insediamenti.

Israele decise infatti di inaugurare nuove regole che gli permettessero di appropriarsi della terra palestinese per farne insediamenti ebraici. Così, al principio degli anni ’80, fece rivivere un’antica legge ottomana secondo la quale il governo poteva dichiarare “terra dello Stato” qualsiasi terreno che non fosse “considerato privato” o non fosse stato coltivato nel corso degli ultimi tre anni.

Da quel momento, nel giro di pochi decenni l’Amministrazione Civile israeliana designò come “terra dello Stato” vastissimi tratti della Cisgiordania, fino ad arrivare a 130.000 ettari che, per la metà finirono in insediamenti o comunque ad imprese israeliane.insediamenti gerusalemme est

L’Accordo ad interim di Oslo del 1995 dava a Israele il controllo esclusivo dell’area chiamata C, che copre il 60% della Cisgiordania, cedendo alla neonata Autorità Palestinese il controllo totale dell’area A e parziale dell’area B. E’ nell’area C, l’unica non frammentata, che si trova la maggior parte degli insediamenti israeliani e delle risorse naturali, compresi i terreni agricoli o da pascolo.  Le aree A e B radunano invece più di 227 cantoni che includono quasi tutte le città palestinesi. Doveva essere un accordo provvisorio, in vista della nascita di uno Stato di Palestina entro 5 anni, ma è ancora in vigore. Forte di questo controllo sull’area C, Israele ha designato il 70% di quest’area ai consigli regionali degli insediamenti entro i quali i palestinesi non possono costruire, e approvato piani di insediamento che coprono il 26% della stessa area.

Tutto questo nonostante lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, stipulato nel luglio del 1998, definisse la politica degli insediamenti un “crimine di guerra” perseguibile dalla Corte.

Lo stesso anno in cui Israele evacuò gli 8.200 coloni da Gaza, nel 2005, la popolazione dei coloni in Cisgiordania aumentò di 12.000 unità. La popolazione degli insediamenti è ancora cresciuta del 23% dal 2009 al 2014, superando di gran lunga la media di crescita, pari a meno del 10%, nell’insieme del territorio di Israele.  E continua a crescere, come osserviamo dagli insediamenti più recenti o ancora in via di costruzione. Si tratta di veri e propri villaggi, spesso città, esclusivamente ebraiche, talmente assimilate all’economia e alle infrastrutture israeliane da non poterle distinguere da Israele.

Le imprese israeliane o internazionali che si stabiliscono negli insediamenti o nella zona circostante divengono anch’esse “colonie”. Israele amministra 20 zone industriali che coprono 1.365 ettari di terreno in Cisgiordania, i coloni israeliani provvedono alla coltivazione di 9.300 ettari, e le aziende degli insediamenti gestiscono 187 centri commerciali dentro agli insediamenti, mentre 11 cave riforniscono circa il 25% del mercato israeliano della ghiaia. L’impronta geografica delle attività commerciali di Israele in Cisgiordania va infatti oltre i terreni degli insediamenti residenziali, che occupano circa 6.000 ettari. Questi numeri danno un’idea del peso che le attività commerciali hanno come forma di presenza civile israeliana in Cisgiordania.

Oggi, la presenza di civili israeliani è arrivata a comporre una rete di più di mezzo milione di coloni – compresi i circa 200.000 dell’area di Gerusalemme Est – che vivono in 137 insediamenti riconosciuti ufficialmente dal Ministero degli Interni israeliano e in più di 100 “avamposti” non autorizzati dal governo ma che ricevono lo stesso considerevoli aiuti dallo Stato. Sono stati soprattutto gli incentivi del governo, infatti, ad attrarre i cittadini israeliani nelle colonie. Secondo un sondaggio della ONG israeliana Peace Now, il 77% dei coloni intervistati vive negli insediamenti per la qualità della vita, non per motivi religiosi o di sicurezza. Forse con incentivi simili gli stessi coloni potrebbero essere convinti ad abbandonare i Territori Palestinesi.

Le infrastrutture degli insediamenti – come le strade che portano agli insediamenti, i posti di blocco e, soprattutto, il Muro di Separazione – sono anch’esse costruite su terra palestinese espropriata, causando enormi danni, costi e ostacoli alla vita, all’economia e alla mobilità dei palestinesi.