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Economia

L’economia palestinese versa in gravi condizioni a causa dell’occupazione da parte di Israele e per la separazione tra le due componenti territoriali, Gaza e Cisgiordania, che fanno capo all’Autorità Nazionale Palestinese. Le due aree, infatti, non sono comunicanti tra loro, in quanto vi si interpone il territorio israeliano. La costruzione da parte di Israele, tra il 2002 e il 2006, del Muro dell’Apartheid lungo i 360 chilometri di confine con la Cisgiordania, ha inciso sensibilmente sulle condizioni economiche complessive dei Territori, che già risentono pesantemente della situazione di continua instabilità.

Dopo il 1967, Israele ha acquisito un ruolo di primo piano nell’ambito dell’economia dei territori, imponendosi come unico interlocutore negli scambi commerciali e assorbendo gran parte della manodopera palestinese, in particolare quella non specializzata. Nei decenni successivi è stata la grande emigrazione di lavoratori verso i Paesi del Golfo a sostenere, in maniera determinante, il PIL palestinese. Negli anni Novanta e soprattutto dopo la seconda Intifada, dall’anno 2000, la frequente chiusura delle comunicazioni tra le città della Cisgiordania e tra questa e il territorio di Gaza ha danneggiato pesantemente l’economia palestinese. La situazione è ancora più critica nella striscia di Gaza, a causa del sovrappopolamento e della pressione militare israeliana. A partire dal 2006, con la vittoria di Ḥamas nelle elezioni legislative e l’aggravarsi della crisi interna, gli indicatori economici hanno subito un’ulteriore caduta in relazione al boicottaggio economico attuato da Israele e Unione Europea. Praticamente tutti i settori e comparti, con l’eccezione della coltivazione dell’olivo e della produzione di olio d’oliva, hanno subito una flessione più o meno accentuata: industria, edilizia, commercio, trasporti, finanza, turismo.

Israele, che raccoglie le imposte e i dazi doganali per l’ANP, ha cessato nel 2006 il trasferimento all’autorità palestinese delle somme previste, compromettendo ulteriormente la grave situazione, tenendo conto del fatto che più di metà della forza lavoro palestinese è impiegata nell’amministrazione pubblica e non può di conseguenza essere pagata.

I maggiori introiti per l’economia palestinese provengono dagli aiuti internazionali e dalle rimesse di chi lavora in Israele con permessi altalenanti.

Il popolo palestinese viene riconosciuto storicamente come uno dei popoli più produttivi, industriosi e colti di tutto il mondo arabo, ma questo contributo monetario e professionale risulta congelato, vittima delle restrizioni imposte da Israele e in parte dalla comunità internazionale.