Newsletter No 46 – 21/11/2016

“La Palestina, terra delle tre fedi monoteistiche, è dove il popolo arabo palestinese è nato, dove è cresciuto, si è sviluppato e si è distinto”

Dalla Dichiarazione di Indipendenza della Palestina del 1988

Indice:

  1. Intimidazioni nel Giorno dell’Indipendenza
  2. Il tentativo di legalizzare gli avamposti dei coloni
  3. Israele vuole silenziare il richiamo alla preghiera dei musulmani
  4. Violente incursioni dell’esercito israeliano dentro Università e ONG
  5. Un nuovo villaggio contro le demolizioni

I – Intimidazioni nel Giorno dell’Indipendenza

Si è celebrato il 15 novembre il 28esimo anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza della Palestina, definita oggi “storica” dal Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, per aver posto le basi di uno Stato palestinese. Si tratta di 12 pagine scritte dal grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, assunte come proprie dal Consiglio Nazionale Palestinese – organo legislativo dell’OLP – il 15 novembre del 1988, in occasione della sua 19esima sessione tenuta ad Algeri. La Dichiarazione d’Indipendenza fu così proclamata da Yasser Arafat, allora Presidente dell’OLP, nel bel mezzo della Prima Intifada palestinese, la rivolta esplosa un anno prima. In seguito a questa Dichiarazione, molti Paesi cominciarono a riconoscere lo Stato di Palestina. In particolare, nel 2012 le Nazioni Unite riconobbero la Palestina come Stato sotto occupazione lungo i confini del 1967, mentre i singoli Stati che riconoscono lo Stato palestinese sono attualmente 138 più lo Stato del Vaticano, senza contare le recenti decisioni di quasi tutti i parlamenti europei, che vanno nella stessa direzione. E’ forse per questo sostegno internazionale sempre più diffuso che lo Stato di Israele ha voluto infierire sul Giorno dell’Indipendenza con speciale accanimento, ricordando al popolo palestinese chi comanda sui Territori Occupati. E’ potuto così accadere che la settimana scorsa l’esercito israeliano abbia deciso di colpire i distretti di Hebron, Betlemme e Gerusalemme Est demolendo o minacciando di demolizione diverse strutture abitative; che le stesse forze di occupazione solo martedì 15 novembre abbiano condotto ben 15 arresti facendo irruzioni all’alba nelle case palestinesi; e che la distruzione abbia colpito anche stalle e fabbriche di carbone, accompagnandosi al furto di materiali.

Vedi:

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773981

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773979

http://en.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13950825001324

http://imemc.org/article/israeli-soldiers-abduct-four-palestinians-in-hebron/

http://imemc.org/article/israeli-soldiers-demolish-a-store-stable-and-a-room-in-jerusalem/

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=yLfSGqa51662104593ayLfSGq

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=774013

 

II – Il tentativo di legalizzare gli avamposti dei coloni

La Knesset – il Parlamento israeliano – il 16 novembre ha approvato in prima lettura il decreto ministeriale che legalizzerebbe gli “avamposti” israeliani, attraverso la sanatoria di circa 2.500 abitazioni e il sequestro definitivo delle terre di privati palestinesi nella Cisgiordania occupata, a fronte di un compenso. La differenza tra questi avamposti e i più grandi insediamenti dei coloni consiste nel fatto che se gli insediamenti sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale, gli avamposti non sono legali nemmeno secondo la legge israeliana. Attivisti israeliani e leader politici palestinesi non nascondono la loro preoccupazione e attaccano il governo di Benjamin Netanyahu che, dicono, per pur di restare al potere viola “lo Stato di diritto”. Con la sua entrata in vigore, la norma sancirebbe anche l’esistenza dell’avamposto di Amona; un’entità territoriale considerata illegale dalla stessa magistratura israeliana, che ne ha disposto lo sgombero e la successiva demolizione entro il 25 dicembre.

Anat Ben Nun, direttore delle relazioni esterne di Peace Now, ONG israeliana in prima linea contro l’occupazione, sottolinea che la “politica” di Netanyahu per legalizzare gli insediamenti “è incominciata durante i precedenti mandati”. Queste scelte, aggiunge l’attivista, mostrano che egli “non è davvero interessato alla soluzione dei due Stati”, ma è concentrato solo sulla lotta di potere interna al Paese, in particolare “con il ministro Naftali Bennett e “deve far fronte a questa pressione”.

Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Al-Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, sottolinea che la legge conferma le “ambizioni” della destra israeliana, la quale “vuole annettere tutta la Cisgiordania”. Sebbene l’amministrazione americana ancora guidata da Barack Obama abbia espresso “profonda preoccupazione” per il voto espresso dal Parlamento israeliano, Sono convinti che Trump “darà loro mano libera” nelle politiche verso i palestinesi e la regione. “Non so cosa effettivamente succederà – spiega – ma in questo momento è essenziale l’intervento dell’Europa” per fermare l’escalation. Bruxelles, aggiunge, “non può restare inerte, sarebbe un disastro” perché qui “non sono in gioco le simpatie o la vicinanza politica a Israele, ma il diritto internazionale”. Secondo il leader palestinese una parte della destra israeliana ritiene di possedere una “legittimazione non solo politica, ma anche religiosa” a fare ciò che vuole. “Un atteggiamento pericolosissimo – aggiunge – perché pone Israele al di sopra del diritto internazionale”.

Ad oggi, almeno 570mila cittadini israeliani vivono in oltre 130 insediamenti costruiti da Israele a partire dal 1967, data di inizio dell’occupazione. Agli insediamenti si aggiungono i 97 avamposti che la legge vorrebbe regolarizzare.

Vedi:

http://www.cdt.ch/mondo/politica/166739/israele-primo-s%C3%AC-alla-sanatoria-degli-avamposti-ebraici-in-cisgiordania

http://www.ilpost.it/2016/11/16/israele-legge-colonie/

http://it.radiovaticana.va/news/2016/11/17/israele_parlamento_vota_s%C3%AC_alla_sanatoria_degli_avamposti/1272966

http://www.haaretz.com/israel-news/1.753180

http://www.haaretz.com/israel-news/1.753484

http://www.haaretz.com/israel-news/1.753593

http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4879047,00.html

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773992

III – Israele vuole silenziare il richiamo alla preghiera dei musulmani

L’invito alla preghiera nell’Islam, come il suono delle campane della Chiesa, ha un significato religioso e spirituale molto profondo che nel corso degli ultimi 15 secoli si è sempre rinnovato, per cinque volte al giorno, senza mai interruzioni. La preghiera cinque volte al giorno è il secondo dei cinque pilastri principali nell’Islam e la chiamata ricorda di adempiere a tale obbligo. In Palestina, queste tradizioni religiose hanno anche un significato simbolico che ha a che fare con l’occupazione e con l’assedio.

Per i rifugiati di un campo di Gaza, ad esempio, la preghiera dell’alba significa che l’esercito israeliano se n’è andato, che le incursioni notturne terrificanti e violente sono terminate e che il muezzin ha potuto riaprire le vecchie porte arrugginite della moschea, annunciando ai fedeli che un nuovo giorno è arrivato. E anche quando l’esercito decide di andare oltre, di chiudere una moschea e di arrestare l’imam, succede che la gente dei campi salga sui tetti di casa per annunciare la chiamata alla preghiera: perché non si tratta di una questione esclusivamente religiosa, ma di un atto di sfida collettiva, che dimostra come nemmeno gli ordini dell’esercito possono mettere a tacere la voce del popolo. La chiamata alla preghiera significa continuità, sopravvivenza, rinascita, speranza e tanto altro ancora, che l’esercito israeliano non ha mai davvero capito. L’assalto alle moschee non è mai finito. Secondo il governo e i media, un terzo delle moschee di Gaza è stato distrutto nel 2014: 73 moschee sono state completamente demolite da missili e bombe e 205 sono state parzialmente danneggiate. Tra queste anche la moschea di Al-Omari a Gaza, che risale al 649 d.C.

Ora Israele sta cercando di formalizzare la pratica ormai consueta di impedire la chiamata alla preghiera, vietandola ufficialmente in varie comunità palestinesi, a partire da Gerusalemme Est. Tutto ha avuto inizio il 3 novembre scorso, quando una piccola folla di coloni dell’insediamento illegale di Pisgat Zeev è andata davanti alla casa del sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barakat, e ha chiesto al governo di porre fine all’ “inquinamento acustico” proveniente dalle moschee della città. Detto fatto. “I funzionari militari sono arrivati prima dell’alba per informare i muezzin del divieto, impedendo ai musulmani locali di raggiungere i luoghi di culto”.  Pretendere questo a Gerusalemme vuol dire privare questa città della sua identità intrinseca, che vede le campane della chiesa e il richiamo alla preghiera musulmana intrecciarsi in un’armonia che indica come la convivenza tra diverse religioni sia una possibilità reale.

Per tutti questi motivi, la cosiddetta “Legge sui Muezzin”, che pure è stata autorizzata dalla Commissione Ministeriale Israeliana per la Legislazione domenica 13 novembre, se nella pratica è destinata a fallire, nel suo valore simbolico ha già scatenato numerosissime critiche, anche da parte di un pezzo della società civile israeliana. In particolare, il Sottosegretario giordano agli Affari Islamici e al Waqf, che gestisce la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, ha ricordato che “Una forza occupante non può apportare nessun cambiamento storico alla città che occupa”. Da parte sua, il Portavoce del Presidente Abu Mazen ha dichiarato che questa legge, se approvata dalla Knesset, “porterebbe a una catastrofe”, mentre Hanan Ashrawi, Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha detto che questa proposta “smaschera la vera natura del governo israeliano, basata sulla discriminazione razziale, l’esclusione e il rifiuto dell’altro, in violazione del diritto internazionale e umanitario”. Di “attacco razzista alla libertà di culto in generale e alla fede musulmana in particolare” ha parlato anche la Lista Araba Congiunta della Knesset.

In risposta a questa iniziativa israeliana, i residenti musulmani della città di Gerusalemme hanno deciso di scandire la preghiera dai tetti delle loro case, mentre un forte segnale di solidarietà è arrivato da una chiesa cristiana di Nazareth, che ha voluto diffondere dalle sue stesse mura la preghiera dei muezzin, confermando così la lunga storia di sostegno reciproco che lega i musulmani e i cristiani di Palestina.

Vedi:

http://arabpress.eu/perche-israele-vietato-richiamo-alla-preghiera-dei-musulmani-gerusalemme/76122/

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Jordan-against-Israeli-mosque-noise-bill-False-and-insignificant-472700

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2016/11/16/mo-lega-araba-condanna-legge-israele-altoparlanti-moschee_85f063c6-915b-4455-936a-f19245d6736c.html

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=770961

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/14/israele-disegno-di-legge-via-altoparlanti-da-moschee-voce-del-muezzin-e-rumore/3191507/

https://www.moroccoworldnews.com/2016/11/201817/palestine-church-defies-israeli-ban-performs-muslim-call-to-prayer/

IV – Violente incursioni dell’esercito israeliano dentro Università e ONG

Nelle prime ore del 16 novembre, soldati dell’esercito israeliano hanno fatto irruzione negli uffici dell’Istituto per la Salute, lo Sviluppo, l’Informazione e la Politica (HDIPI), mettendo sottosopra l’agenzia di Ramallah e distruggendo sia attrezzature che arredi. Circa otto auto blindate sono arrivate in Rukab Street, nel cuore di Ramallah, intorno alle 2 della notte. Dopo aver fatto saltare le porte con cariche esplosive, i soldati hanno distrutto il sistema di videosorveglianza e si sono poi impadroniti di dischi rigidi, documenti e filmati. Durante l’incursione hanno anche manomesso apparecchiature informatiche, sfasciato finestre e fatto buchi nelle pareti.

L’HDPI è un’organizzazione non governativa nata nel 1989 con l’obiettivo di favorire gruppi svantaggiati come donne, giovani e invalidi, fornendo servizi educativi e assistenziali. E’ la seconda volta che viene colpita. La prima fu nel 2002, quando l’esercito israeliano rioccupò Ramallah.

Il raid fa parte di una più ampia aggressione di Israele contro la società civile palestinese. Un altro gravissimo esempio di come l’occupazione di Israele vada a ledere i diritti fondamentali del popolo palestinese, dal diritto alla salute al diritto all’istruzione, è arrivato pochi giorni dopo, quando le forze di occupazione sono entrati sfondando le porte d’ingresso nell’Università Tecnica di Kadoorie, a Tulkarem, e in quella di Al-Quds, a Gerusalemme Est, distruggendo libri e portando via con sé materiale elettronico ed archivi.

Per questo, il Ministero degli esteri della Palestina domenica 20 ha fatto appello alla comunità internazionale e in particolare alle Nazioni Unite, affinché garantiscano la protezione necessaria alle istituzioni accademiche palestinesi.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=E0u7B5a51653538816aE0u7B5

http://mondoweiss.net/2016/11/military-computers-palestinian/

http://www.hdip.org/

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=qncC0ea51679236147aqncC0e

 

V – Un nuovo villaggio contro le demolizioni

Attivisti palestinesi e internazionali hanno deciso di rispondere alla politica israeliana delle demolizioni nella Valle del Giordano costruendo un nuovo villaggio nella zona di Khirbet Al-Hamma. Stando al racconto di Walid Assaf, a capo della Commissione dell’Autorità Palestinese contro il Muro e contro gli Insediamenti, la prima tenda del neonato villaggio di Al-Yasser sarebbe stata fissata il 17 novembre, a pochi metri da quelle con cui i coloni israeliani avrebbero voluto cominciare ad appropriarsi di quel terreno, dopo aver ottenuto la demolizione di ben 32 strutture residenziali palestinesi solo nel corso degli ultimi due mesi. Si tratta di un tipico esempio di resistenza nonviolenta, puntualmente combattuta con le armi dall’esercito israeliano, contro il furto di terra palestinese portato avanti dai successivi governi di Tel Aviv.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=uz0V8Ha51663056346auz0V8H