Newsletter No 47 – 28/11/2016

“Se oggi spingessimo per accordi bilaterali diretti, saremmo per alcuni dei sognatori, per altri degli ingenui, certamente non saremmo realistici”

Nickolay Mladenov, Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente

Indice:

  1. L’ONU per l’autodeterminazione contro l’occupazione
  2. “Breaking the Silence” merita un premio
  3. La Giornata del Fanciullo in Palestina vale doppio
  4. I rifiuti come ennesimo segno di disprezzo

I – L’ONU per l’autodeterminazione contro l’occupazione

Nel suo Primo Rapporto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 28 ottobre, il Relatore Speciale sulla Palestina al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (UNHRC), Michael Lynk, ha denunciato che il diritto allo sviluppo della Palestina è negato da Israele, responsabile di aver causato un ambiente afflitto da povertà, disoccupazione “epica” e stagnazione economica. Per questo Lynk ha chiesto a Israele di porre termine ai quasi 50 anni di occupazione dei Territori  Palestinesi, descrivendo un’economia “che non ha paralleli nel mondo moderno” e un’atmosfera di “disperazione” tra i cittadini palestinesi. Di fatto, ha detto Lynk, Israele “sta ostacolando gravemente la capacità della Palestina di raggiungere gli standard minimi previsti dagli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs)”. In questo contesto, “l’insicurezza alimentare sta divenendo più acuta”, mentre “la deliberata fragmentazione da parte di Israele dei Territori Occupati Palestinesi e la mancanza di sviluppo hanno un impatto molto negativo sui diritti umani”. In particolare, Gaza ha uno dei tassi di disoccupazione più alti del mondo – il 42% tra la popolazione in età da lavoro e il 58% tra i giovani –  mentre il tasso di disoccupazione in tutta la Palestina è cresciuto di 12 punti dal 1999, raggiungendo nel 2016 il 27%.

Una denuncia analoga è venuta da un altro Rapporto ONU, presentato il 24 novembre, che riguarda l’Analisi sul Paese Comune (CCA) e che si sofferma sulle categorie più svantaggiate, identificando 20 gruppi in Palestina che rischiano di “restare indietro” a causa dell’occupazione israeliana. Tra questi, i bambini, i rifugiati e i beduini. Robert Piper, Coordinatore dell’ONU per le Attività di Aiuto Umanitario e Sviluppo, ha parlato della mancanza di autonomia e di diritti del popolo palestinese. Sulla base della CCA, il Quadro di Assistenza allo Sviluppo in Palestina dell’ONU (UNDAF) costruirà un piano per i prossimi 5 anni, in stretto coordinamento con il governo palestinese e coerentemente con le priorità di quest’ultimo. Ma per risolvere i problemi derivanti dall’occupazione israeliana è necessario innanzi tutto porre fine all’occupazione, attraverso un’azione politica internazionale. Perché stando così le cose, “se oggi spingessimo per accordi bilaterali diretti, saremmo per alcuni dei sognatori, per altri degli ingenui, certamente non saremmo realistici”: parola di Nickolay Mladenov, Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente.

Vedi:

http://www.ohchr.org/Documents/Countries/PS/A_71_554_en.pdf

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/No-big-bang-theory-to-end-the-Israeli-Palestinian-conflict-471705

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=S4opGQa51719209773aS4opGQ

II – “Breaking the Silence” merita un premio

Breaking the Silence (BtS) non è l’unica ONG israeliana che sostiene i diritti del popolo palestinese. Ciò che la distingue dalle altre è che si tratta di un’organizzazione di veterani che hanno servito l’esercito israeliano dall’inizio della seconda Intifada, esplosa a Gerusalemme il 28 settembre del 2000. Il loro obiettivo immediato è quello di “rompere il silenzio”, facendo conoscere alla società israeliana la realtà dei Territori Occupati che conoscono bene, avendo contributo al controllo quotidiano di una popolazione costretta a vivere sotto occupazione. L’obiettivo finale è infatti quello di porre termine a questa occupazione.

Per tutti questi motivi, Breaking the Silence era stata insignita del Premio Berelson per il dialogo arabo-israeliano, prima che la Rettrice dell’Università Ben Gurion nel Negev a giugno ne bloccasse l’assegnazione. Per gli stessi motivi, atri accademici e intellettuali hanno ideato un premio alternativo, intitolato “Al di fuori del consenso” per ricordare la motivazione scelta invece dalla Rettrice Rivka Carmi per negare il riconoscimento alla ONG sostenendo che operi “al di fuori del consenso nazionale”. Nel riceverlo il 7 novembre, il Direttore Esecutivo di Bts, Yuli Novak, ha puntato il dito contro quanti “consentono all’occupazione di prosperare” e quanti “pur non sostenendola, restano silenti”, non facendo nulla per contrastarla. Contro quanti sanno che essa “mette in pericolo il futuro di Israele, ma non insorgono”; contro coloro i quali riconoscono che “l’occupazione contraddice e mina la democrazia, ma preferiscono rimanere, appunto, all’interno del consenso”.

L’onorificenza “alternativa” assegnata dagli accademici “al di fuori del consenso” è stata consegnata dallo scrittore Amos Oz, che ha tenuto un discorso ufficiale “Sul tradimento e la lealtà”: “Alle volte – ha spiegato l’intellettuale israeliano – la storia insegna che quanti vengono bollati come traditori, nel tempo si dimostrano dei precursori”. Nall’esaltare il coraggio del gruppo attivista, Oz ha denunciato al contempo le manifestazioni di “ira, odio e ostilità” contro “organizzazioni come Breaking the Silence, B’Tselem e Peace Now”. Attacchi – ha detto – che non provengono solo “da membri della destra estrema, ma anche da persone che si dichiarano moderate”. Il punto, ha concluso Oz, è che realtà come Bts “disturbano” i benpensanti e quanti non vogliono che l’immagine di Israele risulti incrinata. Per questo negli ultimi mesi gli attivisti di Breaking the Silence sono stati oggetto di un’ondata di attacchi senza precedenti. Una campagna di discredito prolungata nel tempo e di elevata intensità, che ha visto “infiltrazioni” all’interno della ONG e il coinvolgimento di alte sfere politiche fra cui lo stesso Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Il quale, nel frattempo, sta facendo del suo meglio per comminare pene esemplari ai refusnik, quei giovani israeliani e quelle giovani israeliane che rifiutano di arruolarsi nell’esercito di occupazione, per non dover poi raccontare i crimini che hanno commesso a cose fatte, come nel caso dei veterani di Breaking the Silence.

Vedi:

http://www.asianews.it/notizie-it/Breaking-the-Silence-premiata-per-la-lotta-%E2%80%9Cal-di-fuori-del-consenso%E2%80%9D-contro-l%E2%80%99occupazione-39182.html

http://www.breakingthesilence.org.il/about/organization

https://invictapalestina.wordpress.com/2016/11/15/il-mio-nome-e-tamar-alon/

http://www.assopacepalestina.org/2016/11/roma-1-dicembre-incontro-con-ragazza-israeliana-che-rifiuta-di-entrare-nellesercito/

III – La Giornata del Fanciullo in Palestina vale doppio

In occasione della Giornata Mondiale per i Diritti del Fanciullo, che si è celebrata il 20 novembre, l’Ufficio Centrale per le Statistiche della Palestina ha sottolineato che i minorenni costituiscono il 45,8% della popolazione dei Territori Occupati. L’Associazione per i Prigionieri Palestinesi (PPS) ha invece ricordato che al momento Israele detiene in carcere 350 minori palestinesi, comprese 12 ragazzine, per cui sono già state emesse numerose condanne. Il 2016 è stato un anno particolarmente duro, che ha visto promulgare una serie di “leggi razziste” in virtù delle quali i tribunali israeliani hanno comminato condanne superiori ai dieci anni – se non a vita, come in un caso dei primi di novembre – contro dei minorenni palestinesi. Queste detenzioni sono state accompagnate da numerose altre violazioni contro i diritti del fanciullo, compreso l’uso della forza e di armi da fuoco che ha causato la morte di più di 60 minorenni dall’ottobre del 2015 a oggi. Per non parlare del trattamento subito dai bambini al momento della detenzione e durante gli interrogatori a cui sono sottoposti senza la possibilità di essere accompagnati da un adulto di riferimento. Per tutti questi motivi, la PPS ha invitato tutte le organizzazioni per i diritti del fanciullo, e in particolare l’UNICEF, a fare di più per proteggere i bambini palestinesi.

In questa giornata, anche il Ministero dell’Istruzione Palestinese ha fatto appello alle organizzazioni umanitarie, concentrandosi sul diritto dei giovanissimi di accedere ai luoghi preposti alla loro educazione senza dover affrontare i pericoli dell’occupazione e le minacce dei coloni che invece funestano i lunghi tragitti che spesso – proprio per via del Muro dell’Apartheid e degli insediamenti israeliani – devono percorrere per raggiungere le scuole.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=kvxSL5a51672573876akvxSL5

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=774053

http://maannews.com/Content.aspx?id=773819

IV – I rifiuti come ennesimo segno di disprezzo

L’Autorità Palestinese per l’Ambiente ha presentato una denuncia contro Israele presso il Segretario Generale della Convenzione di Basilea per aver cercato di scaricare rifiuti pericolosi in un villaggio vicino a Betlemme. La Convenzione di Basilea è un accordo internazionale che ha il preciso obiettivo di scongiurare questi movimenti oltre confine per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Il Portavoce dell’Autorità Palestinese per l’Ambiente, Yasser Abu Shanab, ha annunciato che due camion israeliani sono stati bloccati il 18 ottobre mentre entravano nel villaggio di Zaatra, e che l’Autorità Palestinese ha giustamente sporto denuncia, ottemperando agli obblighi che ciascuno Stato Membro della Convenzione di Basilea ha di denunciare traffici illeciti di rifiuti. Non è la prima volta che rifiuti tossici passano il confine di Israele per essere depositati in Palestina. Lo scarico improprio di rifiuti tossici è da tempo una minaccia per l’acqua potabile nella regione, che è anche molto poca. I rifiuti tossici infatti si infiltrano nei terreni, e sostanze quali cloro, arsenico ma anche metalli pesanti come cadmio, mercurio e piombo finiscono nelle falde acquifere. Il bacino che alimenta queste falde è per lo più in Cisgiordania e fornisce acqua ad una popolazione di oltre 2,3 milioni di palestinesi. La gestione del ciclo dei rifiuti – e ovviamente non si parla di comuni rifiuti urbani – è certamente l’aspetto meno noto della vita quotidiana nei territori palestinesi di Cisgiordania. Eppure è una vera crisi, una vera emergenza.

Da anni gli israeliani usano la Cisgiordania come alternativa facile per scaricare i loro rifiuti, a spese della salute dei palestinesi. Molte industrie israeliane preferiscono questa soluzione di stampo mafioso, piuttosto che portare i loro scarichi tossici e nocivi nella discarica apposita per i rifiuti speciali, situata a Ramot Havav, nel Sud di Israele. Eclatante, poi, il caso della ditta produttrice di pesticidi per l’agricoltura che nel 1985 ha dovuto chiudere il suo stabilimento a Kfar Sava, in territorio israeliano, per ingiunzione del tribunale locale, e ha creduto bene di spostare l’attività produttiva in un nuovo stabilimento a Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Ma non si è trattato di un episodio isolato.

Secondo l’Applied Research Institute (ARI), un istituto indipendente di ricerca ambientale che ha sede a Gerusalemme, le autorità israeliane sono piuttosto tolleranti quando si tratta di scarichi tossici che avvengono in territorio palestinese. Secondo l’ARI, molti provengono direttamente dagli insediamenti israeliani, e includono sia reflui domestici, sia sostanze tossiche agricole, amianto, batterie, cemento e alluminio.

L’invasione dei rifiuti israeliani non fa che aggravare la gestione del ciclo dei rifiuti palestinese, di per sé problematica per le restrizioni ai movimenti imposte dall’esercito israeliano. Se ciò non bastasse, l’ONG internazionale Friends of the Earth ha denunciato da qualche anno la comparsa di una nuova minaccia alla salute degli abitanti della Cisgiordania: i frequenti roghi di rifiuti speciali di provenienza israeliana.

Tutto questo rappresenta un ennesimo segno di prevaricazione, una delle tante forme che può assumere l’occupazione: in questo caso l’occupazione attraverso i rifiuti, ai danni di un popolo trattato come se fosse uno scarto dell’umanità.

Vedi:

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/PA-registers-complaint-against-Israel-with-Basel-Convention-472611

http://www.altrenotizie.org/esteri/1735-i-rifiuti-di-israele-nei-polmoni-dei-palestinesi.html