Celebrazione della Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese – 6/12/2016

Gentili Senatori, Senatrici e Onorevoli,

Gentili rappresentanti del governo italiano,

Vostre Eccellenze Ambasciatori e Corpo Diplomatico,

Gentile Consigliera rappresentante del Sindaco di Roma,

Autorità,

Gentili rappresentanti delle Organizzazioni Internazionali,

Signori e Signore delle comunità arabe,

Signori e Signore della comunità palestinese,

Care amiche e cari amici,

Ringrazio tutti voi presenti, a nome dell’Ambasciatrice Mai Alkaila e di tutta l’Ambasciata di Palestina, per la vostra partecipazione alla Celebrazione della Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese.

Il 29 novembre, da poco trascorso, l’ONU celebra la Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese, in virtù del mandato conferito dall’Assemblea Generale con le risoluzioni 32/40 B del 2 dicembre 1977, 34/65 D del 12 dicembre 1979 e successive risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale sulla questione palestinese.

La data del 29 novembre fu scelta per il significato che essa ha per il popolo palestinese. Quel giorno, nel 1947, l’Assemblea Generale adottò la risoluzione 181 (II), che divenne nota come la Risoluzione sulla Partizione. La risoluzione stabiliva la creazione in Palestina di uno Stato israeliano e di uno Stato palestinese, con Gerusalemme come città aperta a tutte le religioni monoteiste. Dei due Stati previsti dalla risoluzione, tuttavia, solo uno, Israele, ha visto la luce. Il popolo palestinese, attualmente di dodici milioni, vive principalmente nel territorio palestinese occupato da Israele dal 1967, compresa Gerusalemme Est, in Israele, oltre che nei Paesi arabi confinanti, in campi profughi della regione, e sparso per il mondo, compresi i palestinesi che sono qui in Italia. La Giornata Mondiale di Solidarietà ha tradizionalmente rappresentato un’opportunità per la comunità internazionale per concentrare la propria attenzione sul fatto che la questione palestinese è ancora irrisolta e che il popolo palestinese deve ancora conseguire i propri inalienabili diritti così come sanciti dall’Assemblea Generale, cioè il diritto all’autodeterminazione senza interferenze esterne, il diritto all’indipendenza e alla sovranità nazionale, e il diritto di fare ritorno alle proprie dimore rientrando in controllo dei beni usurpati da Israele.

Da parte nostra, noi palestinesi celebriamo questa data perché è un riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, che i diritti del popolo palestinese sono calpestati e che bisogna tutelarli. Vogliamo ricordare che la questione palestinese è strettamente legata alle Nazioni Unite, in virtù delle diverse risoluzioni adottate dai suoi diversi organi e agenzie, che riflettono la responsabilità internazionale nei confronti del nostro popolo e in particolar modo nei confronti dei nostri rifugiati.

Proprio il 29 novembre del 2012, 138 Paesi Membri dell’Assemblea delle Nazioni Unite, compresa l’Italia, hanno votato a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina come Stato Osservatore presso le Nazioni Unite.

Il 30 settembre del 2015, 119 Paesi, compresa l’Italia, hanno votato a favore dell’innalzamento della bandiera palestinese sul Palazzo dell’ONU.

Poco dopo, nel novembre 2015, l’Unione Europea ha varato la norma per contrassegnare in modo specifico i prodotti che provengono dalle colonie israeliane nei Territori Occupati del 1967. Più recentemente, lo scorso mese d’ottobre, l’organizzazione dell’ONU per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), che si occupa di proteggere e preservare il patrimonio culturale di Gerusalemme e del resto del mondo, ha duramente criticato, attraverso una sua decisione, l’occupazione israeliana e l’impatto che questa ha – tra gli scavi che minacciano i luoghi sacri, le incursioni di esercito e coloni sulla Spianata delle Moschee, e i check-point militari che impediscono ai nostri cittadini di accedere ai luoghi di culto musulmani e cristiani – sulla città sacra alle tre religioni monoteistiche.

Tutti questi sono stati passi molto importanti verso la pace, e siamo immensamente grati agli Stati, alle organizzazioni e alle istituzioni che li hanno promossi riconoscendo anche formalmente l’esistenza della Palestina, ma non bisogna fermarsi, come non si ferma Israele, che persiste nei suoi tentativi di distorcere la realtà per intimidire la comunità internazionale e creare confusione tra ciò che riguarda la religione e ciò che riguarda la nostra umanità, mentre l’essenza di questo conflitto è prettamente politica.

Non c’è nessuna avversione da parte nostra nei confronti della fede ebraica e dei suoi fedeli. La nostra ostilità è contro l’occupazione israeliana della nostra terra. Cerchiamo una soluzione giusta e duratura del conflitto, basata sull’idea di due Stati sui confini del 1967: lo Stato di Israele e quello di Palestina uno a fianco all’altro in pace, sicurezza e rapporti di buon vicinato. Israele deve perciò riconoscere lo Stato di Palestina, lavorando per risolvere le questioni legate allo status finale e cessando le attività degli insediamenti, il furto della nostra terra e della nostra acqua, gli attacchi e le aggressioni alle nostre città, villaggi e campi profughi, vere e proprie guerre come quelle scatenate contro Gaza, da cui la popolazione della Striscia non si è ancora ripresa anche per via del pesantissimo blocco imposto da Israele, nonché la sua politica di uccisioni a sangue freddo, punizioni collettive attraverso la demolizione di intere case, arresti e detenzione di migliaia di prigionieri palestinesi nelle sue prigioni.

Un dato particolarmente agghiacciante è quello che riguarda i bambini: dall’ottobre 2015 sono stati uccisi più di 60 minorenni, mentre i ragazzi tra gli 11 e i 18 anni arrestati tra il gennaio e il settembre 2016 sono almeno 1000. Di questi, 340 si trovano attualmente nelle carceri israeliane. E per coloro che non restano uccisi o non vengono arrestati, le condizioni di vita sono comunque difficili e pericolose: il Ministero dell’Istruzione Palestinese ha fatto appello alle organizzazioni umanitarie, concentrandosi sul diritto dei giovanissimi di accedere ai luoghi preposti alla loro educazione senza dover affrontare i pericoli dell’occupazione e le minacce dei coloni che invece funestano i lunghi tragitti che spesso – proprio per via del Muro dell’Apartheid e degli insediamenti israeliani – devono percorrere per raggiungere le scuole.

Sapete, cari amici e care amiche, che il 2017 segnerà il 100esimo anniversario della Dichiarazione di Balfour del 1917, e il 50esimo anniversario dell’occupazione israeliana, avvenuta nel 1967, della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, nonché l’approssimarsi del 70esimo anniversario della Nakba, la catastrofe che si è abbattuta sul popolo palestinese nel 1948.

Facciamo sì che sia un anno internazionale per porre termine all’occupazione israeliana, un anno per intensificare i nostri sforzi coordinati e collettivi per assicurare che il popolo palestinese ottenga la libertà e l’indipendenza, e che la pace prevalga nell’intera regione.

Per questo contiamo sul continuo impegno delle Nazioni Unite e su quello dimostrato dall’Unione Europea, per fermare la prepotenza del governo israeliano e indurre Israele a rispettare le leggi internazionali che sanciscono la fine dell’occupazione, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi secondo la Risoluzione ONU  194 e la creazione dello Stato di Palestina sui Territori Occupati nel 1967 con Gerusalemme Est capitale. Chiediamo di rafforzare i pilastri di una pace giusta e duratura, basata sulle risoluzioni dell’ONU e sull’Iniziativa di Pace Araba, e chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità, compresa quella di adottare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per terminare le attività degli insediamenti, il principale ostacolo e la più grande minaccia al raggiungimento della pace. Le chiediamo anche di garantire protezione internazionale al nostro popolo. Chiediamo che sia convocata al più presto la Conferenza Internazionale di Pace proposta dalla Francia, e che siano fissati sia un meccanismo internazionale sia una cornice temporale per la fine dell’occupazione israeliana.  Ma speriamo anche che la nuova amministrazione USA, contrariamente a quanto dichiarato in campagna elettorale, deluda le aspettative di chi, in Israele, conta su Donald Trump per mettere una pietra tombale sulla soluzione dei due Stati.

In modo particolare, auspichiamo un rinnovato impegno dell’Italia, che ha sostenuto da sempre la causa del nostro popolo a livello politico ed economico con centinaia di progetti di sviluppo; e che attraverso il suo Parlamento si è già espressa per il riconoscimento dello Stato di Palestina.

Grazie, intanto, a tutti gli uomini e a tutte le donne che si impegnano attivamente per la giustizia in Palestina e in tutto il mondo, ma grazie soprattutto a voi, che siete qui con noi.

Viva l’Italia e Viva la Palestina libera e araba!