Newsletter No 50 – 19/12/2016

“Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace”

Mahmoud Darwish

Indice:

  1. L’ambasciata USA a Gerusalemme è una minaccia per la pace
  2. Colpire gli insegnanti per non educare nessuno
  3. Le condizioni dei prigionieri diventano sempre più dure
  4. Amnesty International con gli attivisti palestinesi

I – L’ambasciata USA a Gerusalemme è una minaccia per la pace

Donald Trump aveva promesso di riconoscere “Gerusalemme come capitale indivisa dello Stato di Israele”. Adesso ha nominato come ambasciatore degli Stati Uniti in Israele un grande sostenitore dell’espansione coloniale israeliana e dello spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme: David Friedman. Il quale Friedman, giovedì 15 dicembre ha accolto la propria nomina dicendo che non vede l’ora di lavorare “dall’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale eterna di Israele, Gerusalemme”.

Ma se la notizia è stata accolta con entusiasmo dal governo di Israele e in particolare dal Ministro della Giustizia Ayelet Shaked, secondo il quale questo incarico rappresenta “una dichiarazione d’intenti positiva”, in molti hanno protestato, anche tra gli ebrei degli Stati Uniti. Si tratta di quella parte dell’opinione pubblica americana che sostiene la soluzione dei due Stati e che lo stesso Friedman ha definito “peggio dei kapò”, riferendosi agli ebrei che lavoravano come guardie degli altri ebrei nei campi di concentramento nazisti.

Molto delusa la leadership palestinese. Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, il 16 dicembre ha ricordato che Gerusalemme rappresenta una delle questioni relative allo status finale che deve essere negoziato e per il quale i palestinesi chiedono Gerusalemme Est come capitale del loro Stato: “Nessuno dovrebbe prendere una decisione tale da ostacolare o pregiudicare i negoziati, perché questo significherebbe la distruzione dell’intero processo di pace”.

Vedi:

http://www.haaretz.com/middle-east-news/palestinians/1.759555

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=774517

II – Colpire gli insegnanti per non educare nessuno

Il 7 dicembre le forze di occupazione israeliane hanno detenuto un gruppo di 8 insegnanti al checkpoint di Shuhada, a Hebron (in arabo Al-Khalil), impedendo loro di raggiungere la scuola di Qurtuba e bloccando il passaggio a chiunque volesse uscire o entrare nel cuore di una città storica palestinese dove però ogni giorno fioriscono nuove indicazioni stradali solo in ebraico e in inglese.

Gli insegnanti devono affrontare ogni giorno l’umiliazione dei checkpoint e il corretto svolgimento delle lezioni dipende sempre da quanto i soldati si impegnano ad ostacolare l’arrivo dei docenti o degli allievi, fermandoli come questa volta o rallentando i loro spostamenti come succede quando proibiscono loro di salire la scalinata che collega la strada di Shuhada alla scuola.

Si tratta di forme di violenza contro il sistema educativo palestinese che si sommano a tanti altri modi di colpirlo: pensiamo agli attacchi alle scuole e alle Università che si sono susseguiti solo nel corso degli ultimi mesi, e ricordiamo le demolizioni di strutture scolastiche che hanno costretto gli insegnanti ad improvvisare lezioni all’aperto pur di garantire il diritto all’istruzione. Ma non dimentichiamo che, nonostante tutto questo, il premio per la migliore maestra dell’anno 2016 è stato vinto da Hanan Al-Hroub, una donna palestinese.

Vedi:

https://palsolidarity.org/2016/12/after-a-good-day-comes-a-bad-day/

https://palsolidarity.org/2016/12/%C2%ADnew-checkpoints-access-control-buildings-and-street-signs-in-the-historical-center-of-hebron/

III – Le condizioni dei prigionieri diventano sempre più dure

Con il peggiorare delle condizioni climatiche, i prigionieri palestinesi detenuti nel carcere israeliano di Etzion denunciano la situazione disastrosa in cui versano le loro celle allagate dalla pioggia e i loro letti zuppi d’acqua. Lo ha fatto sapere il 15 dicembre la Commissione per i Detenuti e gli Ex Detenuti Palestinesi.

Sebbene siano evidenti le crepe sui muri da cui passano acqua e freddo, la direzione della prigione continua a ignorare le lamentele dei detenuti. Per questo, la Commissione si è rivolta a tutte le organizzazioni per i diritti umani, e in particolare al Comitato Internazionale della Croce Rossa, affinché intervengano per fare pressione su Israele e garantire condizioni di reclusione dignitose ai prigionieri.

L’inverno ha aggiunto ulteriori sofferenze a chi già vive in celle sovraffollate, prive non solo di riscaldamento ma anche delle più elementari condizioni igienico-sanitarie; e dove non mancano invece ratti, insetti, torture e umiliazioni di ogni tipo.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=XL3Duga51859117464aXL3Dug

IV – Amnesty International con gli attivisti palestinesi

Il 9 dicembre Amnesty International ha rilasciato un comunicato in cui chiedeva a Israele di ritirare le “accuse infondate” contro i due “difensori dei diritti umani” di Hebron, Farid Al-Atrash e Issa Amro, che attendono il verdetto di un tribunale militare israeliano in merito al loro attivismo. Durante l’ultima udienza del 23 novembre, a cui hanno assistito rappresentanti del corpo diplomatico di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Spagna, Belgio, Finlandia, Svezia e Svizzera, oltre a quelli dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, di Human Rights Watch e di altre organizzazioni internazionali, l’avvocato dei due detenuti ha chiesto di diminuire il numero di imputazioni a loro carico, cosicché la decisione finale è attesa per il 21 dicembre.

Entrambi erano stati arrestati per aver partecipato, lo scorso 26 febbraio, ad una manifestazione pacifica organizzata per commemorare i 22 anni dalla strage della Moschea di Ibrahimi, avvenuta nel 1994 per mano del colono estremista Baruch Goldstein.

Issa Amro, in particolare, è il fondatore di Youth Against Settlements, un gruppo di attivisti palestinesi con sede ad Hebron nato nel 2006 con l’obiettivo di documentare attraverso video e fotografie le violazioni quotidiane dei diritti umani dei palestinesi che abitano la città. Gli attivisti YAS svolgono inoltre attività di sostegno alle famiglie colpite, aiutandole a riparare i danni alle case causati da coloni ed esercito, e portando avanti la campagna “Open Shuhada Street”, con la quale si chiede alla comunità internazionale di intervenire affinché la via principale della città venga riaperta ai palestinesi. Nella parte vecchia della città risiedono infatti 450 coloni che rendono la vita impossibile a migliaia di palestinesi, non solo impedendo loro l’accesso ai propri beni, ma confiscandoglieli, fino ad occupare le loro case.

Per questo, Amnesty International ha insistito che l’unica colpa dei due attivisti è quella di svolgere il loro lavoro di difensori dei diritti umani, mentre quella del governo israeliano consiste nel perseguitare chi difende i diritti umani in Palestina. Di fatto, secondo il Vice-Direttore Regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International, Magdalena Mughrabi, se Issa Amro fosse condannato sarebbe da considerare un “prigioniero di coscienza”. Piuttosto, la stessa Organizzazione ha chiesto di verificare le affermazioni di Amro per cui dopo l’arresto sarebbe stato ripetutamente picchiato dalla polizia israeliana, individuando gli eventuali responsabili.

Vedi:

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=774360

http://www.assopacepalestina.org/2015/03/youth-against-settlements-e-la-lotta-per-la-riapertura-di-shuhada-street/