Newsletter No 22 – 25/4/2016

“Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà”

Norberto Bobbio

Indice:

  1. Le demolizioni non si fermano, anzi
  2. Non importa quel che dice Netanyahu
  3. Anche Merkel è per la Conferenza
  4. Uccidere il BDS
  5. Una strana democrazia

I – Le demolizioni non si fermano, anzi

La prima settimana di aprile ha visto una nuova ondata di demolizioni ad opera dell’esercito di occupazione israeliano, con la distruzione di sette case nei villaggi di Surif, Qabatia e Duma, nella Gerusalemme Est occupata, e di altre sei nel villaggio di Om Al Khair,  nelle colline a sud di Hebron, che ha lasciato senza tetto famiglie palestinesi molto numerose.

A questi attacchi, il Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, ha reagito avvertendo che “ogni crimine che Israele commette in violazione dei nostri diritti è documentato, verbalizzato e presentato agli organismi internazionali preposti, compresa la Corte Penale Internazionale”.

Secondo Erekat, l’impunità di Israele non incoraggia la ripresa dei negoziati con la Palestina, “ma uccide, anzi, qualsiasi realistico orizzonte politico per porre fine all’occupazione dello Stato della Palestina da parte di Israele”.

Sono più di 160 le case palestinesi demolite dalla metà di settembre del 2015. Nelle zone colpite, è forte la convinzione che si tratti di una manovra ad ampio raggio per deportare, di fatto, la popolazione palestinese, facendo spazio agli insediamenti.

Vedi:

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=632

http://www.alternativenews.org/english/index.php/news/1333-cashes-closings-demolitions-across-west-bankhttp://www.alternativenews.org/english/index.php/news/15-hebron/1337-hundreds-of-palestinians-displaced-in-routine-demolitions

 

II – Non importa quel che dice Netanyahu

Antefatto: Israele ha conquistato le Alture del Golan, in Siria, durante la Guerra dei Sei Giorni del 5-10 giugno 1967 e le ha annesse nel 1981 senza che la comunità internazionale riconoscesse questa annessione.

Al momento, questa parte del mondo è abitata da circa 23.000 cittadini israeliani che vi convivono con più o meno lo stesso numero di arabi drusi fedeli a Damasco.

Domenica 17 aprile, per dare un segnale a Russia e Stati Uniti a proposito del future della Siria di cui stanno discutendo e per la prima volta dall’occupazione di questo territorio, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha deciso di convocare una riunione di governo proprio sul Golan, dichiarando in questa occasione che “le Alture del Golan resteranno per sempre nelle mani di Israele”.

Il Segretario di Stato americano John Kerry era già stato avvertito per telefono: la sicurezza di Israele non può essere messa a repentaglio da nessun accordo di pace volto a porre termine alla guerra civile che va avanti da 5 anni in Siria, quindi, tanto vale “che la comunità internazionale riconosca finalmente che il Golan rimarrà definitivamente sotto la sovranità israeliana”.

La prima reazione, lunedì, è stata quella della Germania, per bocca del Portavoce del Ministero degli Esteri, Martin Schaefer: “E’ un principio fondamentale del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite quello per cui nessuno Stato può reclamare il diritto di annettersi il territorio di un altro Stato così, come se niente fosse”.  Ma anche la reazione degli Stati Uniti è stata immediata e insolitamente dura. Incontrando i giornalisti in serata, il Portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha reiterato il fatto che gli Stati Uniti considerano illegale l’annessione delle Alture del Golan, e ricordato che “questa posizione accumuna le amministrazioni democratiche e quelle repubblicane. Quei territori non fanno parte di Israele”. Non è forse un caso che, nella stessa serata di lunedì, il Vice-Presidente Joe Biden e il Segretario di Stato John Kerry abbiano scelto l’occasione di un incontro con il gruppo di ebrei americani per la pace e per Israele, “J Street”, per sferrare una dura critica a Israele. Biden ha affrontato in generale la politica israeliana, dichiarando che “il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta portando il Paese nella direzione sbagliata. La continua e sistematica espansione degli insediamenti, la legalizzazione degli avamposti e il furto della terra palestinese” stanno infatti conducendo alla costruzione di un solo Stato, cioè a una “soluzione pericolosa sia per il palestinesi che per gli ebrei, i quali rischiano di trasformarsi in una minoranza”. Di fronte a questo, e “nonostante un senso di frustrazione schiacciante nel rapportarsi con il governo israeliano”, gli Stati Uniti hanno l’obbligo di insistere perché si realizzi la soluzione dei due Stati. “Continuiamo a spingere per la soluzione dei due Stati come unica soluzione possibile”, è intervenuto il Segretario di Stato John Kerry.

A tornare sul tema del Golan è stata, da ultima, Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, sottolineando come “l’Unione Europea riconosca Israele entro i confini del 1967”.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/1.715143

https://www.rt.com/usa/340157-biden-us-frustration-netanyahu/

http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-israel-russia-idUSKCN0XE0KX

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=tj8Gbwa34473445413atj8Gbw

III – Anche Merkel è per la Conferenza

Il 19 aprile la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ricevuto a Berlino il Presidente Abu Mazen. Merkel ha ribadito la contrarieta’ della Germania agli insediamenti israeliani – definiti come “una politica controproducente” – e la necessita’ di creare “due Stati che si rispettino tra loro”.

Abu Mazen ha invece confermato che i palestinesi ricorreranno nuovamente all’Onu, pur consapevoli che si tratti di una via “molto difficile”. A proposito della Conferenza internazionale per una soluzione politica in Medioriente proposta dalla Francia, salutata con grande favore dalla Palestina e recentemente rilanciata dal

Presidente russo Vladimir Putin, Merkel si e’ detta favorevole “ad ogni iniziativa diplomatica che possa favorire il dialogo”.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=tj8Gbwa34473445413atj8Gbw

http://www.agi.it/rubriche/medio-oriente/2016/04/19/news/m_o_merkel_incontra_abbas_si_a_due_stati_no_a_insediamenti-708346/

IV – Uccidere il BDS                          

La conferenza del quotidiano israeliano Yediot Achronot contro il BDS  è diventata  una  vera  e  propria fiera

dell’odio. L’apice si è raggiunto il 29 marzo, quando il Ministro Israeliano dell’Intelligence, Yisrael Katz, ha invocato “uccisioni civili mirate” contro i leader del BDS come Omar Barghouti.  La frase che ha utilizzato (sikul ezrahi memukad) deriva da un eufemismo usato nella lingua ebraica per gli omicidi mirati dei terroristi (il significato letterale è “vanificazione mirata”). Katz non sta dicendo che vuole uccidere fisicamente i rappresentanti del BDS, ma che li perseguirà in ogni altro modo possibile. Per non essere da meno, il Ministro degli Interni Aryeh Deri ha spudoratamente mentito, sostenendo che Barghouti e gli altri attivisti del BDS siano al soldo di organizzazioni terroristiche e nazioni ostili a Israele. Ha anche dichiarato che Israele userà tutte le armi di intelligence a disposizione contro gli attivisti, trattandoli alla stregua dei terroristi. In questo contesto, e conoscendo la storia criminale di Israele per quanto attiene l’uccisione dei suoi nemici, non è difficile prevedere come andrà a finire, a meno che la comunità internazionale non faccia qualcosa per fermare questo istinto “omicida”.

Vedi:

http://www.richardsilverstein.com/2016/03/30/israeli-minster-calls-for-civil-targeted-killings-of-bds-leaders/

V – Una strana democrazia

Una Commissione Palestinese per i Detenuti – composta da detenuti ed ex detenuti – ha rivelato che le autorità israeliane nel 2015 hanno arrestato un totale di 130 palestinesi solo per i loro post su facebook. Come per tutti gli altri arresti, l’escalation si è avuta a partire dal mese di ottobre e rientra nelle azioni del governo israeliano volte a stroncare qualsiasi forma di protesta, fosse anche attraverso un pensiero condiviso attraverso i social.

Infatti, sebbene l’imputazione sia di “istigazione ad azioni violente”, le persone arrestate avevano semplicemente espresso la propria vicinanza alle famiglie dei palestinesi uccisi per aver apparentemente voluto attentare all’incolumità di cittadini israeliani.

A rendere più semplice l’operazione delle forze dell’ordine, la creazione, proprio agli inizi di ottobre, di un ufficio ad hoc per monitorare le attività dei palestinesi sui social.

Ad essere maggiormente colpiti, i cittadini residenti nel distretto di Gerusalemme.

La stessa Commissione ha voluto sottolineare come le autorità israeliane si sentano spinte a reagire con forza di fronte a critiche che viaggiano velocemente sul web raggiungendo ogni parte del mondo. Una forza che “l’unica democrazia del Medioriente” dispiega tranquillamente per colpire la libertà di pensiero e di espressione dei cittadini palestinesi, ma non si sogna nemmeno di impiegare contro le decine di israeliani che, regolarmente, sugli stessi social media, incitano alla violenza e chiedono che i palestinesi vengano uccisi.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=HoWtBma29958329181aHoWtBm