“Ma loro sanno che la mia terra
ha conosciuto migliaia di conquistatori
e sanno
che tutte queste migliaia
si sono poi sciolte
come neve al sole”
Tawfiq Zayyad, poeta palestinese
Indice:
- Bombe e paura di una nuova guerra contro Gaza
- I pescatori e i contadini di Gaza sempre sotto attacco
- Chiudono le cave palestinesi, aprono gli insediamenti israeliani
- La legge israeliana in Cisgiordania
- Proteggere i cristiani
I – Bombe e paura di una nuova guerra contro Gaza
I primi attacchi delle forze aeree israeliane sono arrivati il 4 maggio, in orari in cui le strade e le scuole sono piene di civili; cosicché alcune scuole ed edifici pubblici sono stati sgomberati per sicurezza. E il Coordinatore delle Nazioni Unite per il Medioriente, Nickolay Mladenov ha subito fatto una dichiarazione in cui chiedeva alle parti di scongiurare a tutti i costi una escalation. Ma poi i bombardamenti sono andati avanti per 4 giorni, spostandosi verso Sud, uccidendo una donna e facendo vari feriti, tra cui tre bambini. E la tregua che sembra essere stata raggiunta nella mattinata di domenica 8 potrebbe preludere a nuove aggressioni, secondo una ciclicità che caratterizza i bombardamenti israeliani su Gaza.
Vedi:
http://www.pressenza.com/it/2016/05/bombe-gaza-israele-viola-accordi-nel-silenzio-mondiale/
http://www.maannews.com/Content.aspx?id=771402
http://www.maannews.com/Content.aspx?id=771425
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=LzC5CBa34567668960aLzC5CB
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4800634,00.html
II – I pescatori e i contadini di Gaza sempre sotto attacco
Il 1 maggio, le navi israeliane hanno sparato contro dei pescatori palestinesi che si trovavano entro le 6 miglia dalla costa teoricamente concesse per la pesca dal governo di Tel Aviv. Un’imbarcazione è stata così danneggiata, senza alcun motivo, mentre i pescatori sono dovuti scappare per paura di essere uccisi. Non sarebbe stata la prima volta; mentre gli attacchi contro i pescatori palestinesi sono pressoché quotidiani, in barba alla tregua stabilita nell’agosto del 2014, in seguito ai 51 giorni di aggressioni sanguinose sferrate contro la Striscia di Gaza dall’esercito israeliano, che avevano causato più di 2.200 morti palestinesi, quasi tutti civili. La mancanza di rispetto delle 6 miglia marittime da parte della flotta israeliana indica, secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR), che “la politica delle forze di occupazione mira ad aumentare le restrizioni nei confronti dei pescatori di Gaza e dei loro mezzi di sostentamento”, indipendentemente dalle concessioni formali che, come il mese scorso, avevano esteso a 9 miglia le acque agibili dai pescatori nella parte meridionale della Striscia.
Lo stesso trattamento punitivo viene riservato regolarmente ai contadini di Gaza. Il 28 aprile, come infinite alter volte in passato, i soldati israeIiani posizionati nelle torri di controllo lungo la linea di frontiera non hanno esitato ad aprire il fuoco contro dei contadini che cercavano di accedere ai propri campi vicini al confine con Israele, a Est di Khan Younis, nel Sud della Striscia, costringendoli alla fuga.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=fW22HKa34534357605afW22HK
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=bW2OyOa34524840075abW2OyO
III – Chiudono le cave palestinesi, aprono gli insediamenti israeliani
Lo sviluppo delle colonie ebraiche e il sostegno che esse ricevono dalle autorità militari e politiche di Israele sono tra i problemi centrali nella vita dei palestinesi sotto occupazione. A farne le spese recentemente è stata la “città della pietra”, Beit Fajar, che si è vista chiudere dall’Amministrazione Civile israeliana dozzine di piccole cave che davano lavoro a 3500 palestinesi e redditi per 25 milioni di dollari. I raid del 21 marzo sono stati spiegati dall’Amministrazione Civile con “ragioni di legalità e di sicurezza”, derivanti, queste ultime, da presunti attentati commessi da alcuni residenti della cittadina ai danni di israeliani. Questi motivi sono stati però respinti sia dai proprietari delle cave, secondo i quali la loro chiusura e la confisca di tutta l’attrezzatura rappresentano una punizione collettiva”; sia dalle migliaia di famiglie che non hanno più un reddito – “Israele vuole colpire l’economia palestinese, vuole costringerci a lasciare la nostra terra per riempirla di coloni” ha protestato Subhi Thawabteh, capo dell’Associazione per la Pietra e il Marmo in Palestina; sia da Human Rights Watch. L’Ong americana a tutela dei diritti umani nota in un rapporto come dal 1994 Israele non abbia autorizzato alcuna cava palestinese a Beit Fajar. Al contrario, ha rilasciato permessi a varie imprese che operano nelle colonie ebraiche della zona per l’apertura di ben 11 cave che producono – in un territorio occupato – il 25 per cento del fabbisogno di Israele. Israele, 23 anni dopo la firma degli Accordi di Oslo, mantiene il controllo esclusivo della Zona C della Cisgiordania, dove le colonie si espandono senza problema mentre i palestinesi che vi abitano, anche solo per alzare un muretto, devono chiedere all’Amministrazione Civile autorizzazioni che raramente essa concede. Nella Zona C Israele non esita ad eseguire demolizioni di edifici palestinesi “illegali” mentre, incurante di leggi e risoluzioni internazionali, espande le colonie.
Vedi:
IV – La legge israeliana in Cisgiordania
Intervenendo il 1 maggio al Forum legale per la Terra d’Israele, la Ministra della Giustizia israeliana Ayelet Shaqed, esponente di punta del partito dei coloni “Casa ebraica”, ha parlato della Hoq Hanormot ( o “Legge della normalizzazione”) che dovrebbe estendere il controllo giuridico israeliano anche al territorio cisgiordano. A questo proposito, la ministra ha spiegato di aver creato “una Commissione congiunta con il Ministro della Difesa Ya’alon, affinché ogni norma passata alla Knesset venga applicata anche alla Giudea e la Samaria” – cioè alla Cisgiordania – “o per mezzo della legge stessa, o per ordine di un generale o con ogni altro modo considerato appropriato”.
Dopo questa dichiarazione, che segue quella di Netanyahu sulle Alture del Golan (“per sempre israeliane” e che si fa analogamente beffa delle risoluzioni internazionali in quanto considera la Cisgiordania territorio israeliano e non parte dello Stato di Palestina, Shaked ha spiegato in un’intervista alla radio militare israeliana che la sua iniziativa è motivata dalla necessità di ovviare ad “anomalie” e di garantire la protezione di leggi di carattere sociale, ambientale e lavorativo non solo agli israeliani che risiedono in Giudea e Samaria (cioè in Cisgiordania), ma anche eventualmente ai palestinesi che si trovino alle loro dipendenze.
Ambiguo il commento della “centrista” Tzipi Livni, ex ministra degli esteri prima e della giustizia poi:
“Il risultato finale – ha infatti spiegato – sarà il collasso dell’idea dei due Stati, una terribile pressione internazionale e, alla fine, 2,5 milioni di palestinesi che votano alla Knesset”. Più che un’attenzione per i diritti dei palestinesi sembra infatti tornare, nelle parole di Livni, lo spettro della minaccia demografica rappresentata dagli “arabi” che, integrati nel sistema israeliano, cancellerebbero l’identità “ebraica” dello Stato d’Israele.
Più “umana” la condanna espressa dalla leader di Meretz, Zehava Gal, secondo cui Shaked sta combinando “annessione e Apartheid”, rendendo Israele “puzzolente” e “lebbroso” all’opinione pubblica mondiale.
Vedi:
http://www.bocchescucite.org/shaked-fra-un-anno-la-legge-israeliana-anche-in-cisgiordania/
V – Proteggere i cristiani
La tutela della presenza cristiana in Palestina e in tutto l’Oriente “è per noi un compito e una missione”: così il presidente palestinese Abu Mazen ha ribadito il proprio impegno a far tutto il possibile per onorare tale dovere, a vantaggio dell’unità e del bene comune di tutto il popolo palestinese. Il Capo di Stato ha confermato il suo impegno nel messaggio rivolto ai cristiani in occasione della Pasqua, celebrata il 1 maggio dalla Chiese che seguono il Calendario giuliano e vissuta in Palestina come festività nazionale. “Non è un segreto”, si legge nel testo diffuso dal leader palestinese, “che il destino dei cristiani in Medioriente sia carico di insidie”, dentro una spirale che mette a rischio la convivenza, il pluralismo e la libertà religiosa. Per questo – ha rimarcato Abu Mazen – occorre contrastare in ogni modo tutti i tentativi volti a indebolire la presenza dei cristiani autoctoni in Terra Santa, molto apprezzata dai cristiani provenienti da ogni parte del mondo, che trovano nei correligionari una ricchezza e un aiuto a vivere in pienezza il proprio pellegrinaggio. Tra le novità positive registrate negli ultimi tempi riguardo alla presenza cristiana in Terra Santa, il Presidente palestinese ha ricordato l’accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato palestinese, firmato il 26 giugno 2015 ed entrato in vigore all’inizio del 2016.
Vedi: