Newsletter No 33 – 18/7/2016

“Realizzare la pace in Medioriente è più importante che costruire insediamenti”

Abu Mazen

Indice:

  1. Dove penetra la violenza
  2. Gli insediamenti al centro del problema
  3. L’occupazione rappresenta un’aggressione
  4. Il razzismo dell’occupazione
  5. La ferita del Muro

I – Dove penetra la violenza

Il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, ha preso spunto da un “esperimento” condotto dal canale televisivo israeliano Channel 10 per confermare la sua condanna all’attuale governo di Tel Aviv, “che non solo non promuove una cultura di pace all’interno della società israeliana, ma rafforza l’odio, il razzismo e gli atteggiamenti discriminatori verso i palestinesi”, garantendo “protezione istituzionale” a chi commette o incita alla violenza contro i palestinesi.

Channel 10 aveva chiesto a un ragazzo palestinese e a un ragazzo israeliano di pubblicare sulle loro pagine facebook un messaggio in cui dichiaravano di voler mettere in atto un attacco violento contro – rispettivamente – cittadini israeliani e palestinesi. Il reportage racconta che, mentre l’annuncio del ragazzo palestinese si è guadagnato solo 7 “mi piace”, molti avvertimenti sul rischio che il suo account fosse in mano a un hacker e altrettante invocazioni affinché non commettesse nessuna violenza, il ragazzo israeliano ha ricevuto 1.200 “mi piace” e molti messaggi di incoraggiamento per il gesto violento, ivi comprese alcune proposte di assistere. Inoltre, mentre nel primo caso la reazione della polizia israeliana è stata tempestiva, con tanto di irruzione in casa del ragazzo palestinese con lo scopo di arrestarlo, nel secondo non è stata intrapresa nessuna azione e non c’è stato alcun bisogno che Channel 10 spiegasse l’esperimento.

Di qui il commento di Erekat, che ha parlato di “normalizzazione dell’odio”, laddove manca “qualsiasi misura concreta che dal punto di vista legale, sociale o politico possa servire da deterrente o da argine all’istigazione che regna in Israele”. Le conseguenze sono ogni giorno sotto agli occhi e sulla pelle dei palestinesi: dal terrore esercitato dai coloni nei Territori Occupati alle esecuzioni sommarie commesse dai soldati ai danni di cittadini inermi e feriti. Per questo, secondo l’OLP “la comunità internazionale dovrebbe intervenire garantendo protezione a un popolo sotto occupazione”.

Vedi:

http://www.nad.ps/en/media-room/statements/erekat-holds-current-israeli-government-responsible-incitement-and-calls

II – Gli insediamenti al centro del problema

L’Istituto per la Ricerca Applicata di Gerusalemme (ARIJ) ha rivelato a fine giugno che le autorità israeliane hanno confiscato dall’inizio dell’anno 3.109 ettari di terra palestinese, aumentando così del 439%, rispetto all’anno scorso, la quantità di terra rubata al popolo palestinese. Questo Istituto sottolinea il fatto che le forze di occupazione hanno rinvigorito la politica di giudaizzazione della Cisgiordania, soprattutto attraverso l’allargamento degli insediamenti. Non a caso il 12 luglio il Primo Ministro Palestinese Rami Hamdallah ha rilasciato una dichiarazione di condanna per il piano israeliano di sostenere con ulteriori 13 milioni di dollari l’insediamento illegale di Kiryat Arba e i suoi coloni, alla periferia di Hebron. “La continua espansione degli insediamenti illegali e le somme di denaro che vengono versate a questo scopo”, ha fatto sapere il Primo Ministro, “dimostrano che il sostegno dichiarato da Israele per la soluzione dei due Stati non è credibile” e che “il suo unico scopo è quello di sviare l’opinione pubblica internazionale dalle sue reali intenzioni, rendendo impossibile la creazione di uno Stato palestinese e mantenendo per sempre la brutale occupazione dei palestinesi”.

Il piano da 13 milioni di dollari si colloca infatti in un contesto di costante crescita degli insediamenti in tutta la Cisgiordania e, in particolare, segue di poco l’approvazione di 800 nuove case per i coloni di Gerusalemme Est e Ma’aleh Adumim, fortemente criticata dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite.

E se l’Ambasciatore della Palestina presso le nazioni Unite, Riyad Mansour, lo stesso 12 luglio è stato ancora più esplicito nell’affermare, davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che gli insediamenti “stanno inchiodando, un chiodo alla volta la bara della soluzione dei due Stati”, anche il recente Rapporto del Quartetto per il Medioriente ha affermato con chiarezza che la continua espansione degli insediamenti rappresenta uno dei maggiori ostacoli per la pace. Un riconoscimento dovuto, viste le segnalazioni che arrivano dai Territori Occupati e considerato, in particolare, il Rapporto dei Diplomatici di Gerusalemme, ancora segreto ma i cui contenuti sono stati appena svelati dal quotidiano inglese The Guardian. Un Rapporto che sottolinea “la disperazione, la rabbia e la perdita di speranza per il futuro” tra i palestinesi di Gerusalemme, e di cui i rappresentanti dei 27 governi della UE a Bruxelles hanno avuto modo di prendere accurata visione, da quando è stato prodotto, alla fine del 2015.  In pratica, i diplomatici di Gerusalemme chiedono ormai da tempo che i governi europei 1) assicurino l’attuazione delle linee guida europee sull’etichettatura dei prodotti delle colonie; 2) adottino una strategia di comunicazione che chiarisca la posizione della UE contro gli insediamenti e non contro Israele; 3) assicurino tra i cittadini e le imprese europee la consapevolezza dei rischi di investimenti fatti negli insediamenti; 4) esaminino lo sviluppo di nuove linee guida che facciano una distinzione tra Israele e gli insediamenti anche in altri campi.

A quest’ultimo proposito, un Consiglio Europeo degli Affari Esteri già l’anno scorso suggeriva che gli insediamenti non dovrebbero usufruire né dell’integrazione che vige tra banche europee e israeliane; né dello status di “organizzazione caritatevole” applicato a chi li finanzia; né della validità nei Paesi europei di documenti israeliani emessi nei Territori Occupati.

Vedi:

http://www.un.org/sg/statements/index.asp?nid=9863

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=pW98cca37791256371apW98cc

https://www.theguardian.com/world/2016/jul/12/israeli-settlements-eu-fails-to-act-on-its-diplomats-report

http://palestineun.org/statement-by-h-e-ambassador-dr-riyad-mansour-before-the-united-nations-security-council-open-debate-on-the-situation-in-the-middle-east-including-the-palestine-question-new-york-12-july-2016/

http://imemc.org/article/israeli-land-theft-440-increase-in-2016/

III – L’occupazione rappresenta un’aggressione

Il 26 giugno lo Stato di Palestina ha depositato il suo strumento di ratifica degli Emendamenti allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale relativi al crimine di aggressione, adottati a Kampala, in Uganda, durante la Conferenza di revisione svoltasi dal 31 maggio all’11 giugno 2010. La Palestina ha potuto compiere questo passo in virtù del fatto che il 1 aprile del 2015 è entrata a far parte di questa Corte, ma si tratta di un giorno storico e di un passaggio fondamentale non solo per il popolo palestinese: era infatti necessaria la ratifica di 30 Stati aderenti – e la Palestina è stato il trentesimo – affinché gli emendamenti entrassero in vigore con tutto ciò che questo comporta in termini di definizione del concetto di “aggressione” e di giurisdizione specifica della Corte. Particolarmente rilevante, per la Palestina, il fatto che a Kampala si sia stabilito di includere “l’occupazione” tra le aggressioni da perseguire, comprendendo quindi i crimini contro l’umanità che l’occupante israeliano commette ogni giorno nei confronti del popolo palestinese sotto occupazione.

Adesso manca solo la decisione sull’attivazione della giurisdizione della Corte in merito ai crimini di aggressione, attesa da parte degli Stati aderenti per il 2017, per arrivare ad un sistema internazionale permanente che inchiodi alle proprie responsabilità chiunque sia ritenuto colpevole di un tale crimine.

Vedi:

http://crimeofaggression.info/

http://crimeofaggression.info/role-of-the-icc/definition-of-the-crime-of-aggression/

IV- Il razzismo dell’occupazione

Combattere l’antisemitismo significa ascoltare le voci di tutti gli oppressi e perseguitati. A maggior ragione se le persecuzioni che alcuni subiscono vengono fatte in nome della religione ebraica. E’ questo il senso dell’incontro, avvenuto il 13 luglio a Ramallah, tra Hanan Ashrawi, Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP a Capo del Dipartimento Cultura e Informazione, e Katharina von Schnurbein, Coordinatrice della Commissione Europea per la lotta all’antisemitismo.  In occasione di questa visita, Ashrawi ha voluto sottolineare come “La cultura del razzismo e dell’odio generata dall’occupazione sia una delle espressioni più distruttive delle condizioni anormali in cui viviamo, per cui i palestinesi languono sotto una crudele occupazione mentre Israele gode di un’immunità e di un trattamento preferenziale.

Per ottenere la pace e sconfiggere violenza, odio ed estremismo bisogna affrontare le cause dell’occupazione e far rispettare il diritto internazionale umanitario”.

Vedi:

http://dci.plo.ps/EN/index.php?option=com_content&view=article&id=4776:july-14-2016-dr-ashrawi-meets-with-the-eu-commissions-coordinator-on-combating-anti-semitism-katharina-von-schnurbein&catid=92:news&Itemid=420

V – La ferita del Muro

Nel dodicesimo anniversario dell’Opinione espressa dalla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sul Muro di Apartheid costruito da Israele su territorio palestinese, il 9 luglio di quest’anno l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha voluto ricordare la storia di questo scempio e il fallimento della comunità internazionale, incapace di assicurare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.

Nel comunicato emesso dal Dipartimento per i Negoziati dell’OLP si legge infatti che il 14 aprile del 2002 il governo israeliano adottò la decisione di costruire un muro che, stando ai piani originali, per l’88% del suo percorso avrebbe attraversato la terra di Palestina, separando i palestinesi dalle proprie terre, dal lavoro che svolgevano, dai servizi anche sanitari e dai luoghi di culto, e lasciando Gerusalemme Est completamente isolata dagli altri Territori Occupati.

In seguito ad una richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di un’Opinione della Corte Internazionale di Giustizia sulle conseguenze legali della costruzione da parte di Israele di un muro sui Territori Occupati Palestinesi, il 9 luglio 2004 la Corte concluse che: 1) La costruzione del Muro rappresenta un tentativo di annettersi territorio in violazione del diritto internazionale che vieta l’acquisizione di territorio con l’uso della forza, e per questo Israele deve smantellarlo, provvedendo ai necessari risarcimenti; 2) Secondo il diritto internazionale, tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere la situazione illegale che risulta dalla costruzione del Muro e di non sostenerla in alcun modo, assicurando invece il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.

Il commento di Raanan Gisin, portavoce dell’allora Primo Ministro Ariel Sharon, fu lapidario: “Credo che quando il rancore sarà sopito questa risoluzione troverà il suo posto nel bidone dell’immondizia della storia. La Corte ha preso una decisione ingiusta negando a Israele il diritto all’autodifesa”.

Il commento di Raanan Gisin, portavoce dell’allora Primo Ministro Ariel Sharon, fu lapidario: “Credo che quando il rancore sarà sopito questa risoluzione troverà il suo posto nel bidone dell’immondizia della storia. La Corte ha preso una decisione ingiusta negando a Israele il diritto all’autodifesa”.

Fatto sta che la comunità internazionale, pur non riconoscendo la legittimità del Muro e degli insediamenti, non è ancora stata capace di proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, così come stipulato dalla ICJ. In pratica, quel che potrebbe fare si riassume in semplici passaggi, quali: 1) Contribuire alla banca dati dell’ONU con i nomi delle aziende che contribuiscono alla colonizzazione della Palestina; 2) Etichettare e bandire dal mercato internazionale i prodotti provenienti dagli insediamenti; 3) Riconoscere lo Stato di Palestina sui confini del 1967.

La strada per la pace è quella della giustizia, non quella dell’impunità. Continuando a tollerare 50 anni di occupazione e di colonizzazione israeliana della Palestina, la comunità internazionale facilita i piani israeliani di annessione della terra palestinese e viola i propri obblighi nei confronti del diritto inalienabile all’autodeterminazione del popolo palestinese.

Vedi:

http://www.nad.ps/en/node/50426

http://www.nad.ps/en/publication-resources/maps/israels-wall-and-settlements-july-2016

http://www.icj-cij.org/docket/files/131/1677.pdf