Newsletter No 53 – 16/1/2017

“Spero che gli altri Stati prenderanno esempio dal Vaticano per riconoscere lo Stato palestinese”

Il Presidente Mahmoud Abbas

Indice:

  1. Il Presidente Abu Mazen ha incontrato il Papa e inaugurato l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede
  2. La Conferenza Internazionale per la Pace si è finalmente tenuta
  3. L’Europa disapprova il paventato spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme
  4. Gli insediamenti in pratica

I – Il Presidente Abu Mazen ha incontrato il Papa e inaugurato l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede

Non era la prima volta che il Presidente Mahmoud Abbas incontrava Papa Francesco, ma quella di sabato 14 gennaio è stata una circostanza un po’ speciale, soprattutto dal punto di vista politico. Dopo un colloquio fraterno cominciato con un abbraccio e durato quasi mezz’ora, il Presidente palestinese si è congedato da Bergoglio per andare ad inaugurare l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede, commentando che entrambi gli appuntamenti illustrano quanto “il Papa ami il popolo palestinese e ami la pace”. In particolare, al termine dell’incontro con il Santo Padre il Presidente della Palestina ha voluto enfatizzare la gratitudine del popolo palestinese per il ruolo che la Santa Sede si è assunta riconoscendo lo Stato di Palestina con l’Accordo Globale firmato il 26 giugno 2015 ed entrato in vigore il 2 gennaio del 2016. Abbas ha poi rivelato di aver discusso con il pontefice la questione di Gerusalemme, occupata da Israele dal 1967 e così importante per le tre religioni monoteistiche, come recentemente affermato dalla Decisione dell’UNESCO adottata lo scorso mese di ottobre. Infine, il Presidente ha sottolineato l’importanza del momento in cui questo scambio di idee è avvenuto: “un momento denso di aspettative”, alla vigilia della Conferenza Internazionale per la Pace di Parigi.

“Questa è una giornata storica non solo per i palestinesi, ma per tutti coloro che amano la pace”, ha successivamente confermato l’ambasciatrice di Palestina in Italia, Mai Alkaila, presente all’inaugurazione dell’Ambasciata presso la Santa Sede”.

Nel corso della cerimonia, il Presidente dello Stato di Palestina, accompagnato dal Ministro degli Esteri Riad Malki e dal Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, ha scoperto la targa dell’Ambasciata e issato la bandiera palestinese da una delle finestre della nuova sede, rivolgendo ai molti giornalisti presenti una breve dichiarazione in cui auspicava che gli altri Stati seguissero il buon esempio del Vaticano e riconoscessero lo Stato di Palestina.

Vedi:

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=PwjHrva52078020654aPwjHrv

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=dSw23ma52094200455adSw23m

http://www.famigliacristiana.it/articolo/abu-mazen-dal-papa-apre-l-ambasciata-di-palestina.aspx

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/abupapa-medio-oriente-pace-israele

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_gennaio_14/vaticano-papa-incontra-abu-mazen-ama-popolo-palestinese-pace-1e53f3f2-da44-11e6-817c-c522bb7cbdb6.shtml

II – La Conferenza Internazionale per la Pace si è finalmente tenuta

Domenica 15 gennaio si è tenuta a Parigi la Conferenza Internazionale per la Pace in Medio Oriente convocata dal Presidente francese Francois Hollande, presenti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la Lega Araba. Al termine dei lavori, oltre 70 Paesi hanno sottoscritto una dichiarazione comune, che rinnova l’appello internazionale a Tel Aviv e ai palestinesi perché restaurino il loro impegno per un accordo di pace ed evitino azioni unilaterali: un forte messaggio spedito soprattutto a Israele e alla entrante amministrazione Trump negli Usa.

Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas si è infatti rallegrato per l’esito della Conferenza di Parigi, che “riafferma i principi del diritto e le risoluzioni internazionali” per la creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est (…) e che ha avuto come obiettivo quello di mobilitare l’appoggio internazionale per la pace e preservare la soluzione dei due Stati”.

Anche Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, si è detto soddisfatto: la Conferenza ha chiesto a Israele, la potenza occupante, di rispettare il diritto internazionale e quello umanitario e di porre fine all’ occupazione militare dei Territori Palestinesi del 1967 per raggiungere la pace e la stabilità nella regione” ha subito dichiarato il Capo Negoziatore per la Palestina.  Dopo aver apprezzato l’impegno di tutti i partecipanti perché si affermi il diritto del popolo palestinese ad uno Stato sovrano indipendente, Erakat ha chiesto alla Francia e agli altri Paesi presenti a Parigi di riconoscere immediatamente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale.

Secondo il Portavoce del Presidente palestinese, Nabil Abu Rudeineh, le ultime “conquiste palestinesi” provano quanto siano isolate le politiche di Israele e quanto sia giusta la causa palestinese. Dopo la decisione dell’UNESCO che ad ottobre ha condannato l’occupazione di Gerusalemme, c’è infatti stata la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che il 23 dicembre ha condannato gli insediamenti israeliani, c’è stato, come sappiamo, l’innalzamento della bandiera palestinese nell’ambasciata appena inaugurata presso la Santa Sede, e c’è stata, infine, la Conferenza di Parigi, quasi a coronamento di questo percorso.

Un percorso che il Presidente François Hollande ha voluto rivendicare rispondendo personalmente a Netanyahu, che aveva definito la conferenza organizzata dalla Francia come una “reliquia del passato”, contrapponendo ad essa il “domani” rappresentato da Trump: “Cercare la pace – ha affermato il capo dell’Eliseo – non è un sogno del passato. E’ l’obiettivo della comunità internazionale, nella diversità che quest’ultima esprime”. “La creazione di uno Stato palestinese – ha proseguito il Presidente francese – resta l’unica possibile soluzione al conflitto. “Non si tratta – ha concluso Hollande – di dettare ai Paesi i binari di una soluzione, ma di prendere atto che quella dei due Stati è in pericolo.  E di mettere nell’agenda il processo di pace”.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/1.765207

https://www.nad.ps/en/media-room/press-releases/dr-saeb-erekat-paris-middle-east-peace-conference

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=jN5UsWa52106573244ajN5UsW

http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/15/news/medio_oriente_conferenza_parigi-156062824/

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Parigi-al-via-la-conferenza-di-pace-Netanyau-inutile-Hollande-in-MO-il-conflitto-piu-antico-9180449c-341a-4dd8-a5a5-dec4c691a0bd.html

III – L’Europa disapprova il paventato spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme

All’indomani della Conferenza di Parigi, l’Unione Europea ha continuato a discutere la questione israelo-palestinese nel corso del primo Consiglio del 2017. L’idea della nuova amministrazione americana di spostare l’ambasciata in Israele a Gerusalemme “preoccupa”, in particolare, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. A tre giorni dall’insediamento di Donald Trump così atteso da Israele, Federica Mogherini ha infatti lanciato un monito: “La UE continuerà a rispettare il consenso internazionale contenuto nella Risoluzione 478 del 1980 (che a proposito di Gerusalemme dichiarava inammissibile l’acquisizione di territorio attraverso la forza). Di sicuro non sposteremo la nostra delegazione, che è a Tel Aviv (…) Credo che sia molto importante per tutti evitare azioni unilaterali, specialmente quelle che possono avere serie conseguenze in grandi settori delle pubbliche opinioni in grandi parti del mondo”. Per poi concludere: “Non posso prevedere quali reazioni potrebbero esserci ad una decisione che non è stata ancora presa. Di sicuro sono preoccupata” per le possibili reazioni “nel mondo arabo, in Asia, in Africa e in parte dell’Europa” ad “una mossa che di sicuro non sarebbe in linea” con lo spirito delle risoluzioni Onu.

Vedi:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/01/16/mo-mogherini-no-ue-a-idea-usa-su-ambasciata-a-gerusalemme_c4f9daa6-bb71-4acc-bd98-2a294c90bbdb.html

IV – Gli insediamenti in pratica         

Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII presente dal 2004 nell’area a Sud di Hebron con base ad At-Tuwani, denuncia che lo scorso 7 gennaio alcuni suoi volontari e gli attivisti dell’organizzazione pacifista israeliana Ta’ayush sono stati aggrediti da coloni israeliani mentre accompagnavano un contadino palestinese ad arare la propria terra, vicino all’avamposto coloniale israeliano di Havat Ma’on.

Sulla strada del ritorno, riferisce Operazione Colomba in un suo comunicato, “il gruppo di volontari e attivisti è stato avvicinato da alcuni coloni israeliani, provenienti da quell’avamposto. I coloni, mascherandosi il volto, hanno iniziato a spintonare e provocare alcuni degli attivisti”. Dopo qualche minuto, prosegue il comunicato, “il livello di violenza si è alzato: i coloni, per lo più ragazzi, hanno iniziato a lanciare pietre verso il gruppo e hanno poi spinto a terra uno degli attivisti israeliani e una volontaria italiana, rubandole la fotocamera”.

Attacchi e intimidazioni, sottolinea Operazione Colomba, “sono la norma per i palestinesi che vivono nelle colline a sud di Hebron”. I volontari sono lì per aiutarli, accompagnandoli nelle loro attività quotidiane per proteggerli da attacchi e abusi e per documentare le violazioni dei loro diritti umani. “Oltre all’occupazione militare, in questa zona sorgono numerosi insediamenti e avamposti coloniali israeliani. Quotidianamente i coloni ostacolano il lavoro della terra dei contadini e la loro libertà di movimento, attaccando e provocando la popolazione palestinese”.

Nel 2016, i volontari di Operazione Colomba hanno registrato 80 casi di aggressione, abuso o intimidazione solamente da parte dei coloni dell’avamposto di Havat Ma’on. “Vittime di questi attacchi sono gli abitanti dei villaggi palestinesi circostanti, a cui i coloni rendono la vita impossibile”,

denuncia l’associazione italiana. “Spesso a dover scappare dai coloni sono donne o bambini: è molto pericoloso anche semplicemente passare vicino all’avamposto per andare a scuola”. Eppure, nessuno dei coloni autori delle aggressioni registrate nel 2016 ha pagato alcuna conseguenza delle proprie azioni, anche perché le forze militari occupanti lavorano a stretto contatto con gli abitanti degli insediamenti.

Vedi:

http://nena-news.it/operazione-colomba-nostri-volontari-e-attivisti-israeliani-aggrediti-da-coloni/