Newsletter No 37 – 5/9/2016

“Al-Quds conosce se stessa”

Tamim Barghouti

Indice:

  1. La Palestina chiama il mondo per porre fine agli insediamenti
  2. Un’altra estate di bombe a Gaza
  3. La scuola di gomme di nuovo a rischio
  4. Demolizioni e insediamenti: l’esempio di Qalandiya
  5. Restituito dopo 325 giorni il corpo di Bahaa Elayyan
  6. I tifosi del Celtic sfidano la UEFA per la Palestina

I – La Palestina chiama il mondo per porre fine agli insediamenti

Il gruppo dirigente palestinese si sta appellando con sempre maggiore determinazione alla comunità internazionale affinché si faccia carico della questione degli insediamenti israeliani.  Riyad Mansour, Osservatore Permanente della Palestina presso le Nazioni Unite,  si è rivolto all’ONU, lo scorso 1 settembre, a proposito della recente approvazione, da parte di Israele, di 463 nuove unità abitative per gli insediamenti in Cisgiordania; la presidenza palestinese sta facendo pressione perché una risoluzione delle Nazioni Unite costringa finalmente Israele a porre termine all’espansione degli insediamenti illegali; e il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, già a metà agosto aveva inviato identiche lettere ai ministri degli esteri di diversi Paesi  perché intervenissero rapidamente per impedire che queste costruzioni illegali continuino a corrodere la terra palestinese minacciando la soluzione dei due Stati.

In particolare, Mansour, in quella che ha presentato come la 594esima dichiarazione fatta davanti alle Nazioni Unite dal settembre del 2000 per chiedere un intervento contro le violazioni israeliane, ha sottolineato il fatto che l’accelerazione nella costruzione degli insediamenti, che va di pari passo con le demolizioni, “conferma le reali intenzioni di Israele di mantenere l’occupazione della Palestina”. D’altra parte, ha aggiunto, nonostante “il consenso internazionale” su questa questione e le numerose condanne venute da più parti, “non è stato fatto nulla per fermare le costruzioni”.

Il Portavoce della presidenza palestinese, Abu Rudeineh, intervenendo il 3 settembre un giorno dopo la condanna da parte dell’Unione Europea delle recenti attività di insediamento, ha invece specificato che la leadership palestinese si sta coordinando con la Lega Araba e un gruppo di ministri arabi per sollevare una pressione internazionale tale da convocare una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite mirata a discutere una risoluzione sul tema degli insediamenti che minano così gravemente gli sforzi regionali ed internazionali per riavviare il processo di pace.

Vedi:

http://www.mofa.pna.ps/en/2016/09/04/palestinian-president-observer-to-un-demand-action-on-israeli-settlements/

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=772959

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=772933

 

II – Un’altra estate di bombe a Gaza
Robert Piper, Coordinatore dell’ONU per gli Aiuti Umanitari e le Attività di Sviluppo, mette in guardia che “riparare i danni dei 51 giorni di ostilità non può essere la sola misura di riuscita, visto che gli indicatori umanitari e socio-economici erano già disastrosi prima del 2014”.  E aggiunge: “Dobbiamo cambiare la traiettoria dello sviluppo di Gaza e occuparci dei bisogni di una popolazione che ha subito tre serie di conflitti, nove anni di blocco israeliano e le conseguenze della divisione interna dei palestinesi”. Servono per questo “investimenti economici molto più importanti e veri cambiamenti politici, ivi compresa la fine delle restrizioni (imposte da Israele) sulle importazioni e le esportazioni”.L’esercito israeliano continua le sue aggressioni alla Striscia di Gaza. In seguito ai bombardamenti che hanno colpito questa prigione a cielo aperto domenica 21 agosto, sono stati feriti 5 palestinesi. La sera di lunedì 22 i raid degli aerei militari sono stati 50. Si è trattato dell’attacco più duro dopo l’offensiva dell’estate 2014. Ma le violenze che subiscono gli abitanti di Gaza sono quotidiane e poco sembra cambiato da due anni a questa parte: il blocco, le incursioni, i morti e le sofferenze sono all’ordine del giorno. Lo sottolinea il Rapporto appena pubblicato dalle agenzie dell’ONU che operano in Palestina ed esortano a mettere fine a ciò che descrivono come una “spirale di de-sviluppo”.  Nel comunicato rilasciato il 26 agosto, 16 responsabili di queste agenzie richiedono “un flusso stabile e continuo di materiali e di finanziamenti per far fronte ai bisogni umanitari e stimolare le prospettive economiche del 1.900.000 residenti di Gaza”. Il Rapporto aggiorna anche sulla ricostruzione dopo i danni catastrofici inflitti dall’operazione “Margine protettivo”: ad oggi, la metà delle case che hanno subito danni ingenti e un terzo di quelle totalmente distrutte non sono state ancora ricostruite.

Vedi:

http://www.agencemediapalestine.fr/blog/2016/08/26/22-aout-2016-50-raids-israeliens-sur-gaza-une-nuit-tres-difficile-pour-les-habitants-de-gaza/

http://www.agencemediapalestine.fr/blog/2016/08/26/pour-lanniversaire-du-cessez-le-feu-les-agences-de-lonu-exhortent-a-mettre-fin-a-la-spirale-de-de-developpement-de-gaza/

III – La scuola di gomme di nuovo a rischio

Al Villaggio beduino di Khan Al-Ahmar l’attività didattica è ripresa con due settimane di anticipo.

La Scuola di Gomme, realizzata dall’Ong Vento di Terra, rischia di essere rasa al suolo. Sostenuta negli anni dalla diplomazia internazionale e in particolare dalle Agenzie ONU, è divenuta un simbolo del diritto alla studio e dei diritti delle comunità beduine palestinesi residenti nell’Area C della Palestina, occupata militarmente da Israele. Si tratta di una struttura che per caratteristiche costruttive e materiali utilizzati è considerata un modello di architettura bioclimatica. Progettata dallo studio Arcò di Milano senza fondamenta e con pneumatici usati, per fare fronte alla proibizione delle autorità israeliane di realizzare costruzioni in muratura nell’area C, dal giorno della sua fondazione è stata comunque sotto ordine di demolizione ed ha subito numerosi assalti dal movimento dei coloni quale “minaccia all’esistenza dello Stato di Israele”.

La Corte Suprema Israeliana si è espressa nel 2014 invitando le parti a trovare un accordo e ribadendo il valore sociale della struttura. Il prossimo 14 settembre l’esecutivo israeliano presenterà alla Corte Suprema israeliana la propria posizione in merito alla demolizione richiesta dai coloni. Nella stessa zona, non sono state realizzate strutture per la popolazione palestinese, mentre continua a crescere e ad ampliarsi la colonia di Ma’ale Adumim, la cui costruzione ha significato il trasferimento e l’evacuazione della popolazione beduina che viveva su quel terreno. Si tratta infatti di una zona considerata strategica dai militari israeliani, che vorrebbero usarla per completare il Muro dell’Apartheid, separando in due tronconi ciò che rimane dei Territori Palestinesi.

Il plesso di Khan Al-Ahmar – realizzato nel 2009 dalla Ong italiana Vento di Terra con il contributo della Cooperazione Italiana, della CEI e di una rete di Enti Locali lombardi – ospita 8 classi, per un totale di circa 200 minori. Minori che a causa delle limitazioni imposte dai militari e dell’isolamento dei villaggi dove risiedono non posseggono alternative reali e rischiano di perdere il diritto all’istruzione primaria.

Qualora si verificasse, si tratterebbe della seconda demolizione di una struttura realizzata dalla Cooperazione italiana in due anni, dopo lo spianamento nel luglio 2014 del Centro per l’infanzia di Um Al Nasser, anch’esso realizzato dalla Ong Vento di Terra, nella Striscia di Gaza.

La costruzione delle colonie, la deportazione dei residenti, la demolizione delle case, la realizzazione di infrastrutture militari e civili da parte della potenza occupante, rappresentano una grave violazione del Diritto internazionale.

Per questo, Vento di Terra Ong e AssopacePalestina hanno lanciato un appello a personalità del mondo della politica, della cultura e dell’arte per chiedere al Governo Italiano e all’Unione Europea di intervenire per la tutela dei diritti umani fondamentali, per il diritto all’istruzione delle comunità beduine, per la difesa della Scuola di Gomme, e perché i bambini di Khan Al-Ahmar possano avere un futuro.

Vedi:

http://www.assopacepalestina.org/2016/09/chi-demolisce-una-scuola-demolisce-il-futuro/

http://it.radiovaticana.va/news/2016/08/22/palestina_a_rischio_la_scuola_di_gomme,_ospita_178_bambini/1252795

 

IV– Demolizioni e insediamenti: l’esempio di Qalandiya

Nell’ultima settimana di luglio, le forze di occupazione israeliane hanno demolito 15 case solo nel villaggio di Qalandiya. Situato nel governatorato di Gerusalemme e a Sud di Ramallah, il villaggio è attraversato dal Muro dell’Apartheid ed è divenuto emblema degli sforzi di Israele per separare Gerusalemme Est Occupata, la capitale della Palestina, dal resto dello Stato di Palestina Occupato. Il villaggio è stato infatti diviso dal suo centro di riferimento, Gerusalemme, utilizzando il Muro e posti di blocco militari, ma soprattutto il proliferare di insediamenti di coloni ed annesse strade di collegamento, che aumentano in maniera esponenziale l’occupazione delle terre palestinesi.  E’ in questo contesto vessatorio che vanno interpretate le demolizioni intraprese dalle forze di occupazione il 25 luglio verso le 10 di sera. Ed è per questo che è stata distrutta la casa di Hisham Abdel Ghani Hussein, 42 anni e padre di 6 figli tra i 20 e i 7 anni. Circondati, hanno avuto 10 minuti per evacuare, dopodiché sono scattati gli spari e i lacrimogeni che hanno generato panico e orrore nei bambini. Hisham ha spiegato che in queste condizioni non è riuscito a portar via nulla con sé: “Hanno demolito la nostra casa davanti ai nostri occhi. Avevo investito 25 anni del mio lavoro per costruirla pietra su pietra e mi ci ero trasferito solo da 2 giorni. Adesso dovrò continuare a pagare 3 anni di debiti per una casa che non c’è più”. Questo il suo appello: “Esorto i Paesi arabi e la comunità internazionale ad intervenire speditamente per fermare il trasferimento forzato e la pulizia etnica del nostro popolo”.

Vedi:

https://www.nad.ps/en/media-room/media-brief/home-demolitions-settlement-expansion-village-qalendia

https://www.nad.ps/en/publication-resources/maps/settlement-expansion-and-home-demolitions-village-qalandiya

 

V – Restituito dopo 325 giorni il corpo di Bahaa Elayyan

Il 1 settembre, a mezzogiorno, le autorità israeliane hanno finalmente restituito il corpo di Bahaa Elayyan, 22 anni di vita, consentendo alla sua famiglia – che coordina il movimento per la liberazione dei corpi dei palestinesi uccisi – di seppellirlo 325 giorni dopo la sua morte.  Il corpo è stato sepolto in un cimitero vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme, secondo le condizioni stabilite dalla polizia israeliana per cui chi è stato ucciso perché considerato un “terrorista” non può essere sepolto nel proprio villaggio o quartiere di origine ma in un cimitero scelto dalla polizia.  Né è stato possibile celebrare il funerale di Bahaa tra i suoi vicini di Jabal Al-Mukabbir, a Gerusalemme Est. Di fatto, è stato consentito solo a 25 persone di partecipare alle esequie, mentre alla famiglia è stato chiesto di versare circa 5.000 dollari di “cauzione” a garanzia del rispetto delle regole pattuite.  “Uno dei momenti più difficili della vita è quello che capita se i genitori devono seppellire i propri figli”, ha detto il padre di Bahaa, Muhammad Elayyan. E ha proseguito: “Israele trattiene i corpi dei martiri seguendo una politica che vuole punire i loro genitori e metterli sotto pressione”. Non a caso la casa degli Elayyan è stata demolita a gennaio. Il corpo di Bahaa è stato tenuto per 10 mesi in un congelatore e, a detta di Muhammad, “non l’avrei riconosciuto se non fossi stato suo padre”.

Un Rapporto delle Nazioni Unite pubblicato lo scorso mese di maggio conferma le condizioni disumane in cui vengono conservati i corpi dei palestinesi uccisi, dichiarando che sono “impilati uno sopra all’altro”. Le autorità israeliane trattengono ancora altri 12 corpi, comprese tre donne.

Vedi:

http://www.maannews.com/Content.aspx?id=772944

VI – I tifosi del Celtic sfidano la UEFA per la Palestina

Il 17 agosto, durante la partita preliminare della Coppa dei Campioni contro la squadra israeliana Hapoël Beer-Sheva, i tifosi del Celtic di Glasgow, contravvenendo alla regola che impedirebbe la diffusone di idee politiche durante gli incontri di calcio, hanno tirato fuori un tale numero di bandiere palestinesi da far prendere alla propria squadra una sostanziosa multa. I tifosi non si sono però scoraggiati ed hanno indetto una colletta per sostenere la Palestina con gli stessi soldi richiesti dalla UEFA. Un vero successo, visto che le donazioni in due giorni hanno superato la somma di 75.000 dollari prevista dalla multa. La campagna si chiama #matchthefineforpalestine e ha lo scopo di raccogliere fondi per Medical Aid Palestine (MAP) e per il Centro culturale Lajee, che lavora con i bambini nel campo profughi di Aida, a Betlemme.

Vedi:

http://www.football.fr/ligue-des-champions/articles/les-fans-du-celtic-ne-lachent-pas-la-palestine-815069/

http://www.agencemediapalestine.fr/blog/2016/08/26/solidarite-les-fans-du-celtic-defient-luefa-pour-la-palestine/

https://www.youtube.com/watch?v=Zdm09DOieHc

http://www.tpi.it/mondo/regno-unito/tifosi-celtic-100mila-euro-palestina-multa-uefa