Newsletter No 54 – 23/1/2017

“La propaganda israeliana richiede una posizione ferma e chiara da parte della comunità internazionale e soprattutto da parte della nuova amministrazione USA, per garantire la soluzione dei due Stati e meccanismi che pongano fine all’espansione degli insediamenti”

Il Ministero degli Esteri della Palestina

Indice:

  1. Israele sfida l’Onu
  2. Così non si distruggono solo le case
  3. Uccidere per uccidere: anche questo è terrorismo
  4. I medici italiani aiutano Gaza

I – Israele sfida l’Onu

Va avanti il progetto di costruzione di nuove case a Gerusalemme Est da parte dei coloni israeliani. Due giorni dopo l’insediamento di Donald Trump, la municipalità di Gerusalemme ha infatti dato il via libera all’edificazione di 566 unità abitative in tre quartieri di Gerusalemme Est, come ha reso noto il vice sindaco il 22 gennaio. I permessi di costruzione erano stati congelati su richiesta del Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo la risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei confronti dell’attività coloniale di Israele e in attesa del cambio di amministrazione alla Casa Bianca.

La commissione per l’approvazione urbanistica della municipalità ha autorizzato progetti a Pisgat Zeev, Ramot e Ramot Shlomo’, tutti nella zona occupata di Gerusalemme che i palestinesi reclamano come capitale del loro Stato. Dopo la vittoria di Trump c’è stata un’accelerazione nei piani e nei progetti presentati alla municipalità per le più varie costruzioni al di fuori delle frontiere del 1967. Così, mentre nel 2014 erano state approvate 775 abitazioni nelle colonie della parte occupata della città e nel 2015 le autorizzazioni sono state 395, nel 2016 si è arrivati a 1.506, con più di mille abitazioni che hanno superato il processo di approvazione proprio dopo le elezioni statunitensi novembre. La destra nazionalista considera l’elezione di Trump come un semaforo verde per rilanciare la colonizzazione del territorio palestinese e ora, ad appena due giorni dall’insediamento, cresce il pressing per approvare ogni tipo di progetto di annessione.

La Presidenza dell’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato la mossa del Comune di Gerusalemme di dare il via libera ai piani per la costruzione di 566 case a Gerusalemme Est. “E’ una decisione che sfida il Consiglio di sicurezza dell’Onu – ha detto il portavoce di Abu Mazen, Nabil Abu Rudeineh – soprattutto dopo la recente Risoluzione 2334, che ha confermato l’illegalità degli insediamenti”. “Chiediamo al Consiglio di Sicurezza – ha aggiunto – di agire immediatamente in conformità con la Risoluzione 2334 per porre fine alla politica estremista del governo israeliano, che sta distruggendo la Soluzione dei due Stati”. Dello stesso avviso il Ministero degli Esteri della Palestina, che ha ribadito come la Risoluzione 2334 debba essere “una priorità”, perché garantisce la ripresa di “negoziati fruttuosi” e il raggiungimento della pace.

Vedi:

http://tg.la7.it/esteri/israele-autorizza-566-case-di-coloni-a-gerusalemme-est-22-01-2017-112064

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2017/01/22/palestinesi-su-case-si-muova-lonu_44c59e88-64f2-4cd1-af2e-9864bcbf1333.html

http://english.wafa.ps/page.aspx?id=vPRETFa52166533683avPRETF

 

II – Così non si distruggono solo le case

In seguito alla sentenza della Corte Suprema israeliana, che il 17 gennaio ha respinto in via definitiva il ricorso della popolazione contro la demolizione del villaggio di Umm Al-Hiran, nel deserto del Negev, pensata per far posto a una nuova cittadina ebraica, la situazione è precipitata. Non c’è stata solo l’ennesima distruzione, ci sono state anche l’uccisione di Yaakub Abu Al-Kyan, stimatissimo vicepreside di una scuola locale, e quella, fortuita, di un poliziotto israeliano investito dal maestro beduino di 45 anni che, ormai moribondo, non ha potuto controllare il veicolo di cui era alla guida.

La polizia ha anche lanciato granate stordenti e sparato proiettili rivestiti di gomma, uno dei quali ha ferito al volto il deputato della Knesset Ayman Odeh, leader della Lista Araba Unita, terzo partito del Parlamento israeliano.

L’accaduto ha suscitato clamore e preoccupazione tra gli arabo-israeliani, che hanno proclamato uno sciopero generale, come avevano già fatto la settimana prima dopo la demolizione di 11 case dichiarate “illegali” nella cittadina di Qalanswa, organizzando raduni a Umm Al-Fahem, Tel Aviv, Jaffa, Lod, Haifa, Nazareth, Shefa Amer e San Giovanni d’Acri. È dal 1956 che gli abitanti di Umm Al-Hiran lottano per vedere riconosciuto il loro villaggio, anche se vivono nel Negev da molto prima della fondazione di Israele. Per questo la solidarietà nei loro confronti è arrivata da tutte le città della Palestina, dove si sono tenute molte manifestazioni.

Inoltre, in seguito alla morte di Yaakub Abu Al-Kyan, sono state invocate le dimissioni del Ministro per la Sicurezza Interna Ghilad Erdan (del Likud).

Sullo sfondo, dietro alle circostanze da indagare, resta il “Piano Prawer”, che prevede il “trasferimento” – cioè l’espulsione e la sedentarizzazione obbligata – di intere comunità beduine in sette “township” (per analogia con il Sudafrica): Rahat, Hura, Tel as-Sabi, Ararat an-Naqab, Lakiya, Kuseife e Shaqib Al-Salam. Se questa è la prospettiva, non sorprende che un ragazzo di Umm Al-Hiran, accovacciato sulle rovine di casa sua, abbia risposto alla domanda su dove avrebbe dormito adesso la gente del villaggio con una semplice verità: “Non dormiremo”.

Vedi:

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/More-than-just-our-homes-were-destroyed-478884

http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Watch-Footage-emerges-of-deadly-suspected-ramming-attack-in-Negev-478817

http://www.jpost.com/Israel-News/Protestors-claim-Joint-List-MK-shot-in-head-as-police-secure-Umm-al-Hiran-478798

http://www.haaretz.com/israel-news/1.766473

https://www.maannews.com/Content.aspx?id=775001

 

III – Uccidere per uccidere: anche questo è terrorismo

In questi giorni in cui si parla molto di terrorismo e agli occhi di Israele le distanze prese dal governo palestinese nei confronti di qualsiasi forma di terrorismo non sembrano mai sufficienti, per ragioni chiaramente opportunistiche che hanno a che fare con il tentativo del Premier Netanyahu di manipolare l’opinione pubblica internazionale, è giusto ricordare come l’intera popolazione palestinese sia costantemente vittima di quello che può essere definito come “terrorismo di Stato”. Un terrorismo che nel migliore dei casi calpesta la dignità delle persone rendendo impossibile la loro vita quotidiana, e nel peggiore toglie loro la vita, in maniera brutale. Come è successo, ancora una volta, il 16 gennaio, quando la polizia di confine israeliana ha ucciso nei pressi di Betlemme un ragazzo di 17 anni disarmato che si chiamava Qusai Al-Amour. Secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese, Amour è stato colpito al busto e alle gambe da una distanza abbastanza ravvicinata che non lascia dubbi circa i propositi della polizia, che nella stessa occasione ha ferito altri quattro palestinesi, tra cui la sorella di Amour.  Mohammad Awad, a capo della Mezzaluna Rossa di quest’area, ha denunciato il fatto che, come spesso accade, è stato impedito alla sua ambulanza di avvicinarsi per prestare soccorso. In compenso, Amour è stato preso e trasportato dai poliziotti israeliani che lo tenevano per le braccia e per le gambe senza evitare che la sua testa colpisse ripetutamente il terreno.

Per questo, l’associazione di Medici per i Diritti Umani (Physicians for Human Rights) ha chiesto di aprire un’inchiesta perché c’è il sospetto di una diretta connessione tra il comportamento delle forze dell’ordine e il deteriorarsi delle condizioni della vittima, che non opponeva alcuna resistenza e avrebbe dovuto essere immediatamente adagiata su una barella. Verrebbe da aggiungere che ciò non sorprende, visto che sono state le stesse forze dell’ordine a sparargli e ad essere per questo già colpevoli di un uso indiscriminato delle armi. Come ha infatti osservato il deputato della Knesset Ayman Odeh (Lista Araba Unita), “Il solo fatto che durante le manifestazioni vengano utilizzate armi da fuoco (contro i dimostranti) è grave e inaccettabile. Ma la crudeltà e l’indifferenza con cui i soldati hanno trattato il corpo martoriato di Amour è intollerabile e scioccante”. Di fatto, ha aggiunto, “Questa è la vera brutta faccia dell’occupazione. Un esercito occupante non può avere nessuna moralità perché la natura stessa della sua missione contraddice ogni coscienza e moralità”. I palestinesi sono semplici prede.

Vedi:

http://www.haaretz.com/israel-news/1.765689

http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.765915

IV – I medici italiani aiutano Gaza

C’era un’atmosfera emozionata, il 23 gennaio, nell’ “Ospedale Europeo di Gaza” a Khan Yunes, mentre nelle sale operatorie due chirurghi giunti dall’Italia come volontari erano impegnati in una serie di interventi a catena per soccorrere pazienti adulti e bambini che altrimenti si sarebbero trovati privi di cure. Non è la prima volta che – su iniziativa del Palestine Children’s Relief Fund (PCRF) – il dottor Andrea Carrobi e il dottor Pietro Massei vengono da Pisa a Gaza per alcuni giorni sia per assistere pazienti sia per condividere con i loro colleghi palestinesi innovazioni mediche di cui potrebbero essere ignari a causa delle limitazioni negli spostamenti all’estero che gravano sugli abitanti della Striscia. Anche in questo caso l’arrivo dell’equipe straniera era atteso con ansia dalla popolazione locale che – almeno in questa zona – è pressoché priva di mezzi.

Nei tre giorni trascorsi a Gaza il dottor Massei ha operato 17 piccoli pazienti: fra di loro – ha raccontato –  vi erano bambini con ustioni dovute alla mancanza di acqua calda per cui si ricorre troppo spesso al fuoco, e giovanissimi colpiti da schegge di bombe. Indubbiamente – ha spiegato Massei – a Gaza operano chirurghi locali di buon livello, ma non sono in grado di assistere tutta la popolazione. In particolare, nell’Ospedale Europeo di Gaza manca un team di chirurghi plastici e “in assenza di volontari dall’estero questi pazienti non verrebbero curati”. Dopo alcuni giorni molto intensi a Gaza i due medici italiani proseguiranno per Nablus (Cisgiordania), consapevoli di ”aver migliorato la qualità di vita” dei loro pazienti e di averli confortati con un gesto di solidarietà umana che né loro né i loro familiari potranno mai dimenticare.

Vedi:

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2017/01/23/gaza-in-sala-operatoria-medici-italiani_2e830260-e14b-4474-94ea-74146976ff3a.html

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/palestina/2017/01/23/ansa-gaza-in-sala-operatoria-medici-volontari-da-italia_ce866d0e-2b8d-4c1b-bf53-3ea45bb436e5.html