Newsletter No 6 – 28/12/2015

“Ho dentro di me un milione d’usignoli per cantare la mia canzone di lotta”

Mahmoud Darwish

Indice:

  1. Gli auguri dell’Ambasciatrice
  2. In stato di arresto anche da morti
  3. L’esercito contro gli studenti
  4. Viaggio in Palestina dei Parlamentari per la Pace
  5. “Il giocatore d’azzardo” è in libreria

I – Gli auguri dell’Ambasciatrice

Betlemme: Natale  triste, nella città della pace

A Betlemme, nella piazza della Mangiatoia costruita sulla grotta dove nacque Gesù, quest’anno l’albero di Natale è stato decorato come ogni anno, ma le celebrazioni sono state diverse, perché tra la gente di Betlemme e della Palestina mancava la gioia. Per l’oppressione che subisce dalle forze di occupazione israeliane, per la tensione costante e le uccisioni di cui è vittima, questa gente ha deciso di limitare i festeggiamenti a riti religiosi e inni patriottici.

Per gli stessi motivi, accanto al bellissimo albero di Natale, gli attivisti palestinesi hanno voluto  allestirne un altro, l’Albero della Resistenza: un ulivo secolare sradicato dalla zona di Beer Onee per far posto al Muro dell’Apartheid; un albero che con la sua storia simboleggia la storia del popolo palestinese perseguitato. L’albero è morto ma vivrà per sempre, come la volontà e il coraggio del popolo palestinese. L’ulivo, decorato con le immagini dei palestinesi uccisi e con i candelotti lacrimogeni lanciati dall’esercito israeliano, ha ripreso vita nel cuore di Betlemme, la città della pace. Si dice che dal pozzo d’acqua di Beer Onee abbia bevuto la Vergine Maria e così si vuol far tornare il sorriso ai bambini, lanciando due messaggi al mondo intero: che la vita va avanti perché il popolo palestinese resiste; e che nella città della pace in realtà non c’è pace. Il popolo palestinese è fiero che la sua terra abbia dato i natali a Gesù, considerato un simbolo per tutti i palestinesi. La sua nascita, il Natale, invia un messaggio di speranza e di pace che dovrebbe prevalere anche nei momenti difficili del popolo palestinese e del mondo. Ma nella città di Betlemme i palestinesi hanno celebrato il Natale circondati da diciotto insediamenti illegali e da un Muro dell’Apartheid che occupa la loro terra. Negli ultimi cinque mesi, abbiamo visto come il governo israeliano abbia continuato a rafforzare il sistema di apartheid, accelerando il ritmo delle sue politiche di insediamento che minano la soluzione dei “due Stati”. I palestinesi continuano a sfidare l’ingiustizia quotidiana imposta dall’occupazione israeliana attraverso la resistenza e l’amore per la loro terra. Nel 2015 lo Stato di Palestina ha firmato con il Vaticano un accordo storico per il rispetto della libertà di culto, e il presidente Mahmoud Abbas nel suo discorso della vigilia di Natale ha detto  che “i cristiani non sono una minoranza in Palestina, ma sono parte integrante del nostro tessuto sociale”, aggiungendo che “stiamo cercando con questo accordo di facilitare il lavoro svolto dalla Chiesa locale, con centinaia di persone che hanno dedicato la loro vita per garantire l’istruzione al popolo palestinese prendendosi cura della sua salute e del suo benessere”. Nel 2015 – ha ricordato il presidente –  le due suore palestinesi Marie Alphonsine Danil Ghattas e Mariam Baouardy sono diventate sante. Ne dobbiamo essere orgogliosi come popolo e per il contributo che hanno dato alla nostra società.  Il Presidente Mahmoud Abbas ha poi concluso: “Quest’anno abbiamo visto il crescente sostegno di diverse Chiese che da varie parti del mondo hanno chiesto ai parlamentari e ai governi di riconoscere lo Stato di Palestina. Esprimiamo la nostra gratitudine a tutti i Paesi che hanno fatto un passo costruttivo verso questo riconoscimento e chiediamo ai Paesi che non hanno ancora riconosciuto il nostro Stato di fare questo passo come investimento per la pace”.

Il Presidente palestinese ha partecipato alla messa di mezzanotte – secondo una tradizione annuale iniziata dal leader e simbolo della lotta palestinese Abu Ammar al suo ritorno nei territori palestinesi nel 1993 – per comunicare alla comunità internazionale le sofferenze causate dall’occupazione alla città della pace e a tutto il popolo palestinese, indipendentemente dal ceto sociale e dalla religione.

Il Natale quest’anno ha messo la coscienza dei popoli, degli individui e dei governi di tutto il mondo di fronte a un esame importante e serio perché si consegua la pace in tutte le città palestinesi e in particolare a Gerusalemme, culla delle tre religioni monoteiste.

Che la nascita di Gesù sia per il 2016 una nascita di amore e di fratellanza come predicato dal Messaggero di pace.  Lavoriamo insieme e con convinzione per questo, per un futuro migliore per i nostri figli, in tutto il mondo. Amiamoci gli uni con gli altri, e insieme costruiremo una vera pace. Auguro a tutti voi e alle Vostre Famiglie un nuovo anno 2016 pieno Bontà, Benedizioni, Sicurezza e Amore.

Dra Mai Alkaila

Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia

Rappresentante permanente presso le organizzazioni delle Nazioni Unite

FAO, IFAD e  WFP

Vedi:

http://mondoweiss.net/2015/12/christmas-bethlehem-resistance

http://palestineinsight.net/category/bethlehem-resistance-tree/

II – In stato di arresto anche da morti

I corpi di 55 palestinesi uccisi nell’ondata di violenza di questi ultimi tre mesi non sono stati restituiti alle loro famiglie. Questo numero include 11 ragazzini. Si tratta di una misura che ancor più del morto – che non viene riconosciuto come persona – punisce la sua famiglia senza che questa sia coinvolta o responsabile di alcun crimine. Impedendo ai familiari di seppellire i propri morti si causa loro forte angoscia, si ostacola l’elaborazione del lutto, e si intralcia l’osservanza dei riti tradizionali che aiutano a separarsi dai defunti.  Capita spesso che i corpi dei presunti terroristi siano seppelliti in modo a dir poco degradante nei cosiddetti “cimiteri per il nemico morto” – ce ne sono almeno uno nella Valle del Giordano e uno sulle Alture del Golan – di cui è responsabile l’ufficio del rabbino militare. L’incertezza sulla loro possibile restituzione, su tempi e modi, fa male. Se infatti si decide di restituire il compianto alla famiglia solo quando abbia finito di scontare la pena anche da morto, magari dopo 50 anni, al momento della restituzione non ci sarà più nessuno ad attenderlo, certamente non i suoi genitori.  Ciò vale anche per chi muore in prigione.

La condizione che a volte viene posta dalle autorità israeliane affinché un corpo sia restituito è che i funerali siano piccoli e celebrati in sordina, possibilmente di notte. Secondo la polizia israeliana, infatti, le cerimonie di commiato possono “glorificare la memoria del terrorista e farne un modello per altri”.

Quella della non-restituzione dei corpi è una politica agghiacciante ma ufficiale del governo israeliano, adottata già in passato come “deterrente”.  Tuttavia, non si può accettare che sotto l’ombrello della “deterrenza” si accumulino simili misfatti contro la dignità umana. Questa prassi, oltre ad essere evidentemente immorale, testimonia il disprezzo che le autorità israeliane nutrono per i palestinesi, vivi o morti che siano, e rientra – insieme alla demolizione delle case – nella tipologia di “punizioni collettive” a cui fa spesso ricorso il governo di Israele in spregio alla normativa internazionale. In questo clima di odio, può succedere che ad un matrimonio tra israeliani si festeggi l’uccisione di Ali Dawabsha – il piccolo palestinese arso vivo da una banda di coloni ancora impuniti –  bruciando la sua fotografia tra beffe e schiamazzi.

Vedi:

http://www.btselem.org/press_releases/20151217_failure_to_return_bodies

http://www.btselem.org/jerusalem/20141126_refusal_to_return_bodies_harsm_innocents

http://www.btselem.org/publications/199903_captive_corpses

https://www.lastampa.it/2015/12/24/esteri/in-un-video-di-nozze-estremisti-ebrei-esultano-per-la-morte-del-bimbo-palestinese-arso-vivo-in-cisgiordania-PJqyhoRXH0OI1fbdLm622M/pagina.html

III – L’esercito contro gli studenti

Lunghi e accidentati sono i percorsi che devono affrontare i giovani studenti palestinesi per raggiungere le loro scuole dai villaggi dove vivono evitando di essere aggrediti dai coloni degli insediamenti circostanti. Secondo il Ministero dell’Istruzione, i coloni dell’insediamento vicino alla scuola Qortoba di Hebron –frequentata da ragazzi dai 7 ai 16 anni – vogliono che questo istituto sia chiuso e per questo aggrediscono quotidianamente gli scolari che vi si recano.

Terribili le vessazioni a cui vengono sottoposti questi ragazzi ai posti di blocco, come quello di Gerusalemme Est costruito ad ottobre, dove passano ogni giorno in 5.000 per raggiungere le scuole di Ras al-Amud. Asma Abasi, che coordina un comitato di genitori con figli in quest’area, ha denunciato lo stato di agitazione dei bambini quando finalmente riescono ad arrivare a scuola. Ma neanche lì sono al sicuro, viste le continue irruzioni di cui sono vittime e testimoni. Il Ministero ha spiegato che 45 scuole della Cisgiordania sono state recentemente attaccate dalle forze armate israeliane o dai coloni, e che almeno 19 studenti sono rimasti uccisi, mentre centinaia di alunni e decine di insegnanti sono stati feriti dai proiettili rivestiti di gomma o picchiati dai soldati, soffrendo di problemi respiratori per aver inalato gas lacrimogeni. 102 studenti e 15 insegnanti sono stati arrestati o rapiti, come è avvenuto alla preside della scuola Beit al-Maqdes di Hebron, Haifa Abu Ramila, portata via da casa sua all’alba. Nel migliore dei casi, è stato impedito l’accesso a scuola degli insegnanti, facendo saltare circa 800 lezioni. Per questo il Ministero dell’Istruzione si è rivolto a tutte le organizzazioni umanitarie affinché facciano pressione su Israele e si chiuda il ciclo di violazioni che colpisce l’educazione dei giovani palestinesi, da sempre fiore all’occhiello di questa terra martoriata.

Il diritto allo studio in un luogo sicuro, sancito dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, viene continuamente calpestato. Lo dimostra anche il fatto che le forze di occupazione israeliane stanno bloccando la costruzione di scuole nei villaggi dei beduini intorno a Gerico.

Ma gli studenti universitari sono ugualmente colpiti dalle aggressioni dell’esercito israeliano. Nella prima metà del mese di dicembre l’Università Tecnica di Palestina a Tulkarem, in Cisgiordania, è stata attaccata due volte. Nel tentativo di placare una protesta studentesca, i soldati israeliani hanno sparato gas lacrimogeni che hanno intossicato almeno 200 ragazzi e proiettili di gomma che ne hanno feriti una ventina. Nota con il nome di Khadoorie, questa Università, situata accanto al Muro di Apartheid che occupa ulteriormente la Cisgiordania e rende la vita impossibile ai palestinesi, separandoli dai loro stessi terreni e dalla maggior parte dei servizi, è dagli inizi di ottobre teatro di manifestazioni contro l’occupazione e di puntuali rappresaglie da parte dell’esercito.

Secondo l’organizzazione umanitaria Al-Haq, Israele ha confiscato all’Università 20 ettari per costruire il muro e altri 2,5 per costruire un campo di esercitazioni militari all’interno del campus universitario. Se ciò non bastasse, le autorità militari hanno anche fissato un posto di blocco all’ingresso dell’Università. Gli studenti si sono visti puntare i fucili più volte, vivendo momenti di reale terrore; l’Università è rimasta chiusa diversi giorni per via di queste aggressioni. Di qui le proteste degli studenti. Legittimate dal fatto che la presenza dell’esercito israeliano a Khadoorie viola di fatto gli accordi di Oslo del 1993, che situavano l’Università nell’Area A della Cisgiordania, cioè sotto il totale controllo palestinese. Da ottobre nel campus è parcheggiata un’ambulanza pronta a portare il prossimo studente all’ospedale.

Vedi:

http://english.wafa.ps/index.php?action=detail&id=30210

http://www.middleeastrising.com/israel-attacks-west-bank-college-twice-in-one-week/

http://palsolidarity.org/2015/12/attack-on-khadouri-university-continues/

IV – Viaggio in Palestina dei Parlamentari per la Pace

Ai primi di dicembre una delegazione dei Parlamentari per la Pace ha viaggiato in Palestina e in Israele insieme a Luisa Morgantini, già Vice Presidente del Parlamento Europeo e Presidente di AssopacePalestina. Visitando Gerusalemme, Hebron, Betlemme, Ramallah e il campo profughi di Aida, i parlamentari italiani hanno incontrato rappresentanti istituzionali palestinesi e israeliani, associazioni, e comitati popolari per la resistenza nonviolenta.

Sono partiti per vedere, sono tornati per raccontare. Durante la conferenza stampa che si è tenuta il 22 dicembre presso la Camera dei Deputati i parlamentari si sono infatti presentati come testimoni. Marietta Tidei (PD) ha esordito illustrando il preoccupante contesto politico che ha fatto da cornice al viaggio: il processo di pace è a un punto morto – ha detto – e c’è il forte rischio che un conflitto di natura politica sia trasformato in conflitto religioso.

L’idea dei Parlamentari per la Pace è di sottoporre di nuovo al governo, e in particolare al Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina, ricaduta in sordina dopo la mozione di riconoscimento votata a febbraio dal parlamento italiano.

L’Italia partecipa a una missione di osservazione internazionale in Palestina, dove è rappresentata da ufficiali dei carabinieri che stilano puntuali relazioni confidenziali su quanto sono in grado di osservare sul territorio palestinese ed in particolare ad Hebron, dove sono insediati. I Parlamentari per la Pace, avendo verificato personalmente cosa comporta per i palestinesi l’occupazione israeliana, hanno preparato un’interrogazione per venire a conoscenza di questi rapporti dei carabinieri e capire in che modo il governo italiano intenda avvalersene.

L’On. Tidei ha infatti insistito che “se dal 1993 – cioè dagli Accordi di Oslo – gli insediamenti dei coloni sono triplicati, ciò significa che la terra che adesso stanno occupando i coloni è stata rubata ai palestinesi”. Franco Bordo (SEL/SI) ha denunciato lo stato di abbandono in cui versa la popolazione palestinese, la mancanza di interlocuzione politica e l’assenza di una sponda internazionale, ed ha per questo sottolineato l’importanza del prossimo viaggio in Palestina della Corte Penale Internazionale, previsto per febbraio.  L’On. Carella (PD) si è detto allarmato dal fatto che l’uccisione dei bambini non faccia più notizia, sostenendo che l’Europa debba farsi carico dei diritti dei palestinesi e lamentando l’attuale delegittimazione delle istituzioni palestinesi.  Secondo Filippo Fossati (PD) le azioni del governo israeliano sono molto chiare e coerenti con quanto promesso dal Premier Netanyahu ai suoi elettori. Il risultato della sua politica di occupazione è che, ad esempio, “la Gerusalemme araba quasi non si vede più”. Elena Carnevali (PD) ha denunciato come il diritto alla cura e alla salute dei palestinesi sia impedito dalle forze di occupazione. Se i medici palestinesi hanno difficoltà a vedersi riconosciuta l’autorizzazione a praticare il proprio mestiere, l’impatto più dirompente dell’occupazione si vede nelle continue incursioni violente negli ospedali, di cui sono stati testimoni gli stessi parlamentari: si trovavano di fronte all’ospedale Makassed di Gerusalemme quando l’esercito israeliano ha lanciato gas lacrimogeni dentro ai reparti di pediatria e di rianimazione.

Michele Piras (SEL/SI) ha denunciato la mancanza di continuità territoriale che rende difficile anche solo immaginare la soluzione “Due Popoli, due Stati”, ma proprio per questo – ha dichiarato – è necessario combattere l’assuefazione e non perdere altro tempo, perché “ogni giorno sottratto al riconoscimento della Palestina è un giorno lasciato nelle mani di chi coltiva l’odio”.  Per raggiungere tale obiettivo, ha detto Giuditta Pini (PD), l’Italia deve spendere la credibilità politica che ha tradizionalmente caratterizzato l’approccio dei suoi governi alla questione palestinese, riportando al centro del dibattito la politica e il diritto internazionale.

L’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia, Mai Alkaila, presente alla conferenza stampa, ha ringraziato i parlamentari, enfatizzando l’importanza della loro testimonianza e sottolineando il fatto che “il popolo palestinese ha bisogno di protezione”.

V – “Il giocatore d’azzardo” è in libreria

Quando Mahmoud Darwish morì, nel 2008, lasciò incompiuto un diwan, cioè una raccolta di poesie, che i suoi amici di una vita, tra cui lo scrittore libanese Elias Khoury, decisero di dare alle stampe e che ora è arrivato anche in traduzione italiana.

Nella postfazione alla versione italiana del diwan, appena pubblicata da Mesogea con testo a fronte in arabo e intitolata Il giocatore d’azzardo, la traduttrice Ramona Ciucani ci racconta la storia di come e perché le poesie vennero pubblicate. Una storia, quella del taccuino azzurro di fronte al quale amici e colleghi restarono per un po’ commossi e indecisi sul da farsi, in segno di rispetto per un opera a cui Darwish stava ancora lavorando, che lascia l’amaro in bocca al pensiero di quanto questo poeta avrebbe potuto ancora dare al mondo della poesia se non fosse scomparso così prematuramente.

Le poesie “Qui, ora, qui e ora”, “Due occhi”, “Di gigli, l’aria”, “Alla stazione di un treno caduto dalla mappa”, “Il giocatore d’azzardo”, “Un copione già pronto”, appaiono in traduzione italiana per la prima volta e sono le uniche complete del diwan incompiuto, il “testamento poetico” in cui Darwish, in realtà, celebra la vita. Dopo la chiusura definitiva della casa editrice Epochè, che aveva pubblicato in italiano una parte degli scritti di Mahmud Darwish, per la maggior parte tuttora inediti in italiano, è diventato sempre più difficile poter leggere in Italia l’opera del grande poeta palestinese. E’ per questo che siamo particolarmente felici di annunciare la pubblicazione dell’ultimo lavoro del poeta definito dal premio Nobel José Saramago “il più grande del mondo”.

Vedi:

http://arabpress.eu/novita-editoriali-il-giocatore-dazzardo-di-mahmud-darwish/71456/