Newsletter No 7 – 4/1/2016

“Solo la fine dell’occupazione può portare un futuro pieno di giustizia, libertà e dignità per tutti quelli che vivono qui”

Amos Oz

Indice:

  1. Cosa si aspettano i palestinesi dal 2016
  2. Il diritto alla tortura
  3. Due pesi e due misure
  4. Record di distruzioni nel 2015
  5. Rispunta il piano per i nuovi insediamenti

I – Cosa si aspettano i palestinesi dal 2016

Il popolo palestinese ha salutato la fine dell’anno sotto quotidiane aggressioni israeliane. Nelle ultime ore del 2015, le autorità di occupazione israeliane hanno restituito 23 corpi di martiri che nelle settimane precedenti, con diversi pretesti, erano stati uccisi dai proiettili delle forze d’occupazione in diverse città della Cisgiordania: 17 a Hebron, 3 a Ramallah, 2 a Jenin e uno a Nablus.  Questi corpi finalmente sono stati seppelliti nei primi giorni del 2016.

Il mondo arabo ha salutato la fine dell’anno con le tragedie che si stanno verificando in Siria, Iraq, Libia e Yemen per i combattimenti e il tiro alla fune che vede coinvolte forze regionali e internazionali secondo modalità che gettano ombra sulle sorti del conflitto arabo-israeliano.

Anche quest’anno si è concluso senza che fossero prese misure reali e concrete, a livello internazionale, per mettere fine all’occupazione israeliana e alle sue pratiche repressive contro il popolo palestinese; senza l’applicazione delle risoluzioni prese dalle Nazioni Unite che, tra Consiglio di Sicurezza, Assemblea Generale e Corte dell’Aia, hanno espresso dal 1948 più di 800 decisioni a favore della causa palestinese, mai attuate nella realtà pianificata e imposta da Israele. Ricordiamo infatti che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato a favore della Palestina attraverso 602 risoluzioni. Di queste, 74 erano state emanate dal Consiglio di Sicurezza, 26 dal Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, 5 dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), e altre 10 dalla Commissione per la Prevenzione della Discriminazione e la Protezione delle Minoranze, come recentemente ribadito da una relazione del Centro Stampa Internazionale di Gaza.

Di fronte a tutto questo, il popolo palestinese attende con interesse che cosa porterà il 2016 e si interroga su quale sarà il suo futuro.

Colgo l’occasione per ringraziare Sua Santità il Pontefice Papa Francesco per la firma dell’Accordo che riconosce lo Stato di Palestina con entrata in vigore proprio a decorrere dal 01/01/2016. Un Accordo che considero motivo d’ottimismo per il popolo palestinese in vista del nuovo anno.

Sua Santità Papa Francesco con questo riconoscimento allevia il dolore dei bambini della Palestina e attenua l’ingiustizia che colpisce le città di Gerusalemme e di Betlemme, sollecitando il resto del mondo a porre fine all’occupazione della Palestina e ad applicare la soluzione dei due Stati.

Nonostante le continue sofferenze, il popolo palestinese guarda avanti a ciò che è meglio per il nuovo anno, con uno sguardo attento al ruolo della comunità internazionale nel risolvere la questione palestinese. In particolare, il nostro popolo si aspetta misure vincolanti che concretizzino tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite volte a porre fine al conflitto israelo-palestinese e a celebrare la nascita di uno Stato palestinese democratico e laico.

     Dra Mai Alkaila

Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia

Rappresentante permanente presso le organizzazioni delle Nazioni Unite

FAO, IFAD e WFP

Vedi:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/06/26/0511/01117.html

http://www.repubblica.it/vaticano/2016/01/02/news/entra_in_vigore_l_accordo_tra_santa_sede_e_stato_di_palestina-130513715/

http://www.corriere.it/cronache/16_gennaio_02/vaticano-entra-vigore-l-accordo-santa-sede-stato-palestina-b4e2f6f6-b15a-11e5-b083-4e1e773a98ad.shtml

 

II – Il diritto alla tortura

Esiste una Convenzione dell’Onu contro la tortura ed esistono delle leggi nazionali contro la tortura. Esistono anche centinaia di testimonianze, come quelle rilasciate alle organizzazioni israeliane per i diritti umani, B’T Selem e HaMoked, che indicano come abusi e tortura siano una routine negli interrogatori inflitti ai palestinesi dall’Agenzia di Sicurezza Israeliana (ISA). Il Sistema che regola gli interrogatori è stato formulato dalle autorità israeliane, non è l’iniziativa di un singolo inquirente o di un carceriere efferato.  I prigionieri palestinesi non smetteranno mai di denunciare i maltrattamenti che subiscono – spesso senza essere stati nemmeno giudicati – anche a costo di morire nel corso di lunghi scioperi della fame. La “Campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi”, oltre a sollevare l’inammissibilità di molte detenzioni, serve a denunciare le condizioni dei prigionieri nelle carceri israeliane.

Come quelle illustrate la settimana scorsa dal Comitato per i Prigionieri dell’Autorità Palestinese, che si riferiscono al centro di detenzione di Etzion e ai prigionieri in isolamento nel carcere di Magiddo. I detenuti hanno dichiarato di non avere abbigliamento invernale né materassi sufficienti, denunciando anche la scarsa quantità e qualità di cibo. Ma la nota più dolente viene proprio dai maltrattamenti a cui dicono di essere esposti. Si va dall’uso della violenza fisica da parte di guardie che li colpiscono con i fucili o prendendoli a calci, alla pressioni psicologiche con cui vengono loro estorte le confessioni. Una volta a pezzi, feriti dentro e fuori, i detenuti vengono lasciati senza cure.

L’associazione per I diritti dei detenuti Addameer sostiene che il Sistema Carcerario Israeliano osserva sistematicamente una politica di negligenza medica nei confronti dei prigionieri palestinesi.

La situazione più dura è quella che denunciano 9 prigionieri reclusi a Magiddo, che stanno vivendo sulla propria pelle un’escalation di repressioni che vanno dalla privazione di cibo e acqua calda in ambienti pieni di topi e insetti, al divieto di prendere anche solo una boccata d’aria o di ricevere visite dai parenti.

Vedi:

http://www.btselem.org/press_releases/20151223_abuse_and_torture_prohibited

http://english.wafa.ps/index.php?action=detail&id=30302

 

III – Due pesi e due misure

All’interno del governo di Tel Aviv è in corso un dibattito, che sembra più un gioco delle parti, su come affrontare l’ondata di violenze commesse dai cittadini israeliani, estremisti di destra o coloni che siano. Sebbene infatti il premier Netanyahu si sia affrettato ad impugnare la bandiera della legalità contro ogni terrorismo lasciando ai presunti falchi il lavoro sporco, è sua la teoria per cui l’uccisione di qualsiasi essere umano per mano di un ebreo non è paragonabile all’uccisone di un ebreo per mano di un non-ebreo. Ed è a questa teoria che il Segretario del Comitato Esecutivo dell’OLP, Saeb Erekat, ha voluto ricondurre dei fatti molto gravi e precisi. E’ forse questo, secondo Erekat, il motivo per cui non solo gli assassini della famiglia Dawabsha non sono stati ancora arrestati, ma alcuni israeliani si permettono di festeggiare la morte del piccolo Ali accoltellando la sua foto tra beffe e schiamazzi durante un matrimonio; ed è per la stessa ragione che la famiglia di  Mohammed Abu Khdeir – rapito il 2 luglio 2014 come vendetta per il rapimento e l’uccisione di tre giovani israeliani, e bruciato vivo anche lui, a 16 anni – attende ancora che giustizia sia fatta, visto che sono stati condannati due minorenni mentre per la mente del gruppo è stata richiesta la perizia psichiatrica. In quest’ottica, diventa ridicolo il richiamo di Netanyahu alle “provocazioni palestinesi” come vera causa di quelle sarebbero solo “reazioni” da parte degli israeliani. La verità è che Netanyahu ha delle responsabilità dirette per ciò che avviene in un territorio dove le forze di occupazione violano i diritti fondamentali del popolo palestinese usando continuamente il terrore contro questo popolo. E lo Stato di Israele onora da sempre la memoria di terroristi che si sono macchiati del sangue di migliaia di cristiani, musulmani ed ebrei, compresi coloro che nel 1948 hanno ucciso il mediatore ONU Folke Bernadotte, e gli autori del massacro del villaggio di Deir Yassin. Per non parlare del terrorista Baruch Goldstein, che uccise 29 palestinesi nella Moschea Ibrahim di Hebron e la cui tomba è divenuta luogo di pellegrinaggio, in un insediamento illegale accanto al parco che prende il nome da un altro terrorista Meir Kahane. Non sorprende, allora, che in questi giorni un legislatore della Knesset, Bezalel Smotrich, si sia speso per dimostrare che il rogo della famiglia Dawabsha non costituisce un atto di terrorismo. Sta alla comunità internazionale il compito di non trattare Israele come uno Stato al di sopra delle leggi.

Vedi:

http://www.nad-plo.org/etemplate.php?id=607

http://www.agi.it/estero/notizie/palestinese_arso_vivo_israele_condanna_2_minori_ma_e_polemica-201511301056-est-rt10037

http://www.imemc.org/article/74204?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

 

IV – Record di distruzioni nel 2015

Un centro di ricerca affiliato all’OLP ha documentato che durante il corso del 2015 le forze di occupazione israeliane hanno distrutto circa 478 edifici palestinesi, comprese case, cliniche e siti storici, in Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Abdullah al-Horani, del Centro di ricerca e documentazione, ha affermato che tra le strutture distrutte dalle forze israeliane ci sono 247 abitazioni.

“Le autorità israeliane distruggono le abitazioni con pretesti diversi”, ha spiegato l’avvocato Hanna Issa. “Questi includono ragioni di sicurezza, tra cui la vicinanza degli edifici agli insediamenti o a strade di accesso agli insediamenti israeliani, la presunta mancanza di licenze edilizie, o la localizzazione in presunte aree verdi”.

Secondo il rapporto, la politica israeliana di distruzione di abitazioni, fattorie, strutture commerciali, agricole e industriali, insieme allo sradicamento dei cittadini dalle loro case, costituisce una “pulizia etnica dei palestinesi dalla loro terra”.

Tale politica è utilizzata da Israele come punizione collettiva contro un popolo che non vuole arrendersi all’occupazione, e da ottobre ha subito una forte accelerazione.

Vedi:

http://www.imemc.org/article/74402

https://www.middleeastmonitor.com/news/middle-east/23098-israel-destroyed-478-palestinian-facilities-in-2015

http://english.pnn.ps/2015/12/31/iof-destroyed-over-450-palestinian-facilities-in-2015/

 

V – Rispunta il piano per i nuovi insediamenti

Il quotidiano israeliano Haaretz ha diffuso pochi giorni fa un documento della Ong israeliana Peace Now secondo il quale il Ministro israeliano per gli Alloggi e l’Edilizia, Yoav Gallant, avrebbe dato il via a un piano di sviluppo delle colonie ebraiche che prevede la costruzione nei prossimi anni di 55.548 nuove case. Nel novembre del 2014 sarebbero stati infatti assunti nuovi architetti per un progetto controverso, già ritirato da Netanyahu nel 2013 per le forti pressioni internazionali e ora riesumato. Si tratta di una immensa colata di cemento in Cisgiordania e a Gerusalemme Est che, se realizzata, confinerà i palestinesi in dei cantoni che un giorno saranno, forse, chiamati Stato di Palestina. La rivelazione è in linea con le dichiarazioni fatte dal Ministro dell’Economia e dei Servizi Religiosi, Naftali Bennett, leader dell’ultranazionalismo religioso. «È giunto il momento di dire che Eretz Israel (la Terra di Israele) ci appartiene. Dobbiamo passare da una posizione di difensiva ad un’iniziativa che estenda la sovranità israeliana alle parti della Giudea-Samaria (Cisgiordania) che sono già sotto il nostro controllo», ha detto il ministro alla radio militare.

Le case saranno costruite in punti strategici: 11.543 alloggi, ad esempio, sono progettati a Maale Adumin, a Est di Gerusalemme, dove si trova la più grande delle colonie ebraiche; e nella vicina e strategica area E-1. Un nuovo insediamento in quella zona spezzerebbe in due la Cisgiordania all’altezza di Gerusalemme. L’estensione della colonizzazione all’area E-1, avverte Peace Now, «impedirebbe la continuità territoriale di un futuro Stato palestinese». La loro esecuzione, aggiunge l’organizzazione pacifista, «contrasta con le promesse fatte agli Stati Uniti e minaccia concretamente la possibilità di arrivare alla soluzione dei due Stati». Peace Now è a conoscenza di altri progetti volti a costruire migliaia di alloggi a est del Muro eretto da Israele in Cisgiordania e ad estendere la presenza ebraica a Gerusalemme Est. Haaretz ha rivelato che nel novembre 2014 il Ministro per gli Alloggi e l’Edilizia avrebbe corrisposto a un urbanista circa 930.000 dollari senza indire nessun appalto, per evitare la pubblicità che in passato aveva suscitato tante controversie, anche a livello internazionale. L’iter per il compimento di questi progetti potrebbe richiedere anni ma ormai i piani sono stati avviati e con il governo di destra al potere la loro realizzazione è garantita.

È un’offensiva incessante contro il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu, che si manifesta mentre il premier Netanyahu e gran parte dei suoi ministri lanciano appelli per il rispetto della legalità e delle istituzioni dello Stato.

Fonte Wafa/Nena News/Il Manifesto

Vedi:

http://english.wafa.ps/index.php?action=detail&id=30278